Capita sempre più spesso di leggere commenti di cosiddetti atei, che non solo sono convinti di essere nel giusto, ma che la loro razionalità sia inattaccabile. Per questo si sentono autorizzati a canzonare gli incolpevoli cristiani, trattandoli da illusi.
Ricordo, dopo tanto tempo, una particolare affermazione di mia madre. Era semianalfabeta ma forse molto più saggia di tanti, che oggi si vantano di essere atei e che non vogliono realisticamente riconoscersi come “diversamente credenti”. Diceva: non se pò gì di là de non poté (non si può andare al di là delle possibilità umane). Spero che si voglia convenire sul fatto che le possibilità umane siano incluse nello spazio-tempo, di cui siamo parte integrante. Margherita Hack, che si riteneva atea, sosteneva il modello del multiverso in inflazione eterna. L’inflazione eterna, per essere da lei compresa avrebbe avuto bisogno che la scienziata fosse stata capace di posizionarsi in una situazione di eternità, il multiverso di verifiche strumentali, così come la proliferazione dei mondi, è continua e quasi istantanea. A me sembra che andasse al di là de non poté, che veleggiasse nel mondo incontrollabile della fantasia, senza rendersene conto.
Al centro del problema: avverto che si potrà notare una certa ripetitività, dovuta alla necessità di avere ben chiari determinati concetti, prima di passare ad affermazioni successive. In tutte le lingue del mondo sono state e sono in uso parole come: mai, sempre, eterno, infinito, immortale, verità assoluta, ecc. Se vogliamo capirne razionalmente il significato profondo, ci accorgiamo che non riusciamo a farlo: per spiegare il vero significato di una di queste parole dobbiamo necessariamente far riferimento a vocabolo appartenente allo stesso gruppo e ritorniamo al punto di partenza. Il fatto è che tali vocaboli non significano cose appartenenti alla nostra realtà finita, immersa nello spazio-tempo e parte dello stesso. Il loro vero significato si trova in un’altra realtà diversa e non penetrabile dalle possibilità umane, ma nonostante ciò tutte fanno parte del linguaggio, di conseguenza significano qualcosa di reale, di concreto, per l’uomo che le ha inventate e le usa.
A questa prima considerazione ne voglio aggiungere un’altra, su cui riflettere. Se facessimo un’analisi attenta, potremo convenire che alla base delle nostre conoscenze più razionali, quelle matematiche, sono stati posti corollari e verità da accettare senza poterne verificare il significato preciso. Termini e concetti basilari come: numero periodico, preciso valore del Pi greco, lo zero, il punto, la retta, le parallele, et cetera, sfuggono all’umana comprensione. L’uso dei termini basilari accennati e di diversi altri, non è detto che implichi l’esistenza di un altro mondo, ma una esigenza umana sì, senza dubbio. L’uomo ha bisogno di puntelli, di riferimenti che oltrepassino il suo mondo finito, immerso nello spazio-tempo. Il fatto che riesca a riflettere su se stesso, comporta la necessità di punti fermi, di poter ancorare il suo io a realtà esterne, non fallaci e non corruttibili.
Voler eliminare questa “ancora di salvezza” vuol dire fare sprofondare l’uomo nella disperazione e nell’autodistruzione. Questa situazione, normalmente non si potrà raggiungere, nonostante gli errati convincimenti, semplicemente perché l’uomo non sarebbe più tale, perderebbe le sue capacità d’introspezione, ritornerebbe a essere come prima di diventare tale. Il primo gruppo di parole, visto nel suo insieme, in estrema sintesi, costituisce gli attributi della divinità, almeno come concepita nel tempo. Si puntualizza ancora che non si intende parlare dell’esistenza di dio, impossibile da accertare, viste le possibilità umane, ma di necessità di fare riferimenti a realtà non appartenenti al nostro mondo. Solo con questa ammissione si potrà superare il razionale e non contestabile collegato agnosticismo. Sperando che il mio pensiero sia compreso e condiviso, passo ora ad analizzare le caratteristiche principali delle religioni passate e attuali, ben sapendo che hanno interessato e ancora interessano tutti. Sono state e ancora sono, solamente due:
- A) la prima, superata nelle civiltà evolute, ha ritenuto dio immanente, cioè parte del nostro mondo, ma con possibilità di superarlo: animismo, idolatria, politeismo;
- B) la seconda vede la divinità trascendente, cioè non soggetta allo spazio-tempo, con possibilità di intervenire nel finito.
Con il suo intelletto, facente parte integrante del suo io, l’uomo non riesce a valutare l’esistenza o meno di realtà svincolate dal suo mondo. Se non riesce a capire il vero significato delle parole elencate all’inizio, non può nemmeno ammettere o escludere l’esistenza di Dio che tutte le racchiude. L’ateo esclude l’esistenza divina basandosi sul suo intelletto, che fa parte di se stesso, che quindi non può uscire dalla sua realtà, inserita nello spazio-tempo. L’essenza dell’ateo, per poter affermare che dio non esiste, avrebbe la capacità di elevarsi fino a un piano impossibile per gli umani. Solo uscendo dal finito, dallo spazio-tempo, potrebbe vedere l’inesistenza del divino. In definitiva l’ateo è convinto che la sua ragione superi la condizione umana, diventando così divinità essa stessa. Non solo visione fallace, ma pure presuntuosa! Gli illuministi, più modestamente, parlavano di dea ragione! La ragione è umana, ma credendo che abbia caratteristiche sovrumane (o divine), si cade nell’idolatria: diventa essa stessa un idolo. L’ateismo non può esistere, così come la certezza dell’esistenza di Dio e della Creazione. Proprio per questo interviene la fede (San Tommaso). Quando uno afferma di essere ateo, ci dice semplicemente di essere un “diversamente credente”, uno che è ritornato all’immanentismo e alla superata idolatria. Questo è ateismo? No è idolatria!
Giustino Falasconi
8 ottobre 2024