Gli abitanti della Terra crescono: il film “The time machine” mostra un futuro possibile

Pensando a un domani lontano mi torna in mente un film americano del 1960 che ricordo per la protagonista femminile, la bellissima Yvette Mimieux, dal titolo “The time machine”, nell’edizione italiana “L’uomo che visse nel futuro”.

Era di moda la fantascienza e gli autori provavano a immaginare la nostra civiltà negli anni tremila vedendola però sempre in modo pessimistico, come pensavamo a quei tempi, in modo forse realistico come viene da pensare oggi. La trama era semplice: un inventore di fine Ottocento costruisce una specie di carrozza senza ruote e con un grande disco verticale posteriore che ruotando velocemente fa viaggiare questo strano mezzo nel tempo, avanti o indietro come si sposta la cloche, mentre resta appunto fermo nel luogo in cui è. Dopo qualche tentativo il viaggiatore nel tempo si trova proiettato nel futuro in una specie di giardino dell’Eden e scende dalla macchina. In quel luogo incantato vivono in completa apatia, senza dover fare nulla per campare, un gruppo di giovani vestiti alla greca, fra cui la protagonista della quale si innamorerà l’inventore.

Non ricordo più tutti i dettagli della sceneggiatura, ma l’uomo venuto dal passato riesce in qualche modo a sapere che quei giovani ignavi sono i sopravvissuti all’immancabile catastrofe nucleare che ha distrutto l’umanità.  Il messaggio che vuole lanciare la pellicola inizia con l’inquadratura di una specie di organo a canne del futuro piantato su una parete di roccia a picco. Dalle canne esce il suono delle nostre sirene e a quel suono i giovani si rivolgono e si dirigono lentamente verso la parete di roccia in cui si materializza una grande apertura. Non sanno cosa stanno facendo e perché, ma tutti sanno che al suono della sirena devono entrare nella grotta, perché così si faceva una volta e così si deve fare.

Il nostro eroe entra anche lui e, qui è il vero momento drammatico del film, si rende conto che una variante degenerata della umanità, sopravvissuta all’interno dei rifugi antiatomici da cui non è più uscita, è ritornata all’aspetto degli oranghi, anzi peggio ancora ed è addirittura ritornata al cannibalismo: alleva gli umani superstiti all’esterno per poi poterseli mangiare di tanto in tanto.

Perché questa lunga premessa holliwoodiana? Perché a mio avviso il cannibalismo è la degenerazione verso cui l’incosciente egoismo di chi regge i destini finanziari del genere umano sta portando i suoi simili. Nei film è lo sceneggiatore che decide l’epilogo, nel mondo reale non so proprio chi sia in grado di prendere le decisioni giuste, anche se le ragioni sono più che evidenti. Trent’anni fa c’era il buco nell’ozono a distrarci da una minaccia reale, oggi c’è la Ci-o-due, si fanno congressi e programmi che partiranno sempre in un domani molto lontano nel tempo col bel titolo Green economy, ma non si vuole affrontare il vero problema: purtroppo siamo ormai enormemente in soprannumero, grazie al fatto che sono le macchine a fare il lavoro di decine e decine di noi per procurarci il cibo. Oggi, con una crescita esponenziale siamo passati da 2,5 miliardi di 80 anni fa a ben 8 miliardi di bocche da sfamare.

Gli Enti internazionali che si interessano dell’alimentazione, da più di un decennio ci avvisano che, prima a Settembre, poi a Luglio, ora a Giugno, il genere umano ha già consumato il totale delle risorse nutritive annuali che il pianeta Terra è in grado di fornirci. È vero che la statistica dice nel mondo se abbiamo un pollo a testa da mangiare, c’è sempre chi ne mangia due e chi digiuna, e a digiunare non siamo noi, non credo sia questa la ricetta da adottare per quel futuro nel quale saremo sedici miliardi fra una ventina d’anni, estrapolando la curva di crescita. È vero che la ricerca scientifica sta studiando come rendere edibili le cortecce degli alberi mentre prova a fare la bistecca sintetica, ma se non c’è un veloce e radicale cambiamento di abitudini soprattutto per contenere gli sprechi di cibo ed energetici per produrre l’inutile, penso non sia pura fantasticheria irrealizzabile che un giorno gli umani non abbiano altra alternativa che ritornare cannibali.

Anche se per la mia età, ragionevolmente, mi avvicino sempre più a quella sera “immagine della fatal quiete” cantata dal grande Ugo Foscolo, questo da un lato mi conforta perché, ragionevolmente, non vedrò il tragico epilogo del genere umano, a meno di un insperabile miracolo di madre natura, l’unica intelligenza suprema in grado di farlo. A quanto pare i sintomi premonitori del disastro: le precipitazioni di estrema violenza per il riscaldamento atmosferico che decimano i raccolti, sono solo occasione politica di elargire contributi, mentre le temperature equatoriali che stiamo vivendo sono solo occasione lucrosa per chi vende condizionatori, siamo anche noi apatici come i giovani d’allevamento del film.

Un qualche filosofo del passato, e sono d’accordo, scrisse che la fantasia umana non può immaginare cose al di fuori della nostra natura, tutto il pensato può in qualche modo verificarsi, ma io non riesco proprio a immaginare un politico che si rende conto che la terra non è il suo palcoscenico, ma è un prestito che ci fanno i nostri nipoti a cui, prima o poi, dovremo consegnarla, possibilmente in buono stato.

M. Difficilino 

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