Era l’alba che i rivi mirava discendere giù: guizzò un raggio, soffiò fra gli ulivi, “vvvrb” disse una rondine e fu giorno: un giorno di pace e per tutto nel cielo sonoro veniva un cantare lontano. Sopra era lo spazio, diafano e chiaro, fino all’orizzonte. Si aprì, rotonda, al centro dello spazio una finestra dai confini vani, che si ampliò lentamente, finché apparve, inaspettata in essa, una figura umana o che sembrava tale, alta, solenne, ammantata di bianco, e lo era il viso, di chiome antiche. La forma, ieratica e come immateriale, lenta avanzò scivolando sull’aria, facendomi giungere uno sguardo rarefatto, con qualche goccia di tristezza e di dolore e insieme pietoso.
Da una sua mano tesa mi giunse come volando un fascetto di fogli rilegati, come un fascicolo pieghevole, un “folder” che si trovò fra le mie mani senza che avvertissi una materiale consegna. La forma retrocesse, sempre rivolta a me, facendomi sentire la forza penetrante e suggestiva, significativa, del suo sguardo. La grande finestra rotonda nello spazio rimpicciolì con il suo digradare e mi ricomparve il cielo sereno e pallido. Da sole in me sgorgarono domande, pur senza parole: il puro pensiero attonito e stupito circa il perché e il come di quella “apparizione” che pure aveva un elemento materiale: il libretto che era fra le mie mani.
Come conciliare l’etere con la materia, il grande problema di sempre, di prima e di poi… ma quale poi? Forse la soluzione o un indizio era il contenuto del libretto. Esitavo a iniziare a leggerlo, nonostante la mia abituale curiosità di conoscere, e non riuscivo a sapere i motivi di questa remora; infine, trovato il luogo e il tempo adatto a una pausa di indagine e di riflessione, ne intrapresi la scoperta. Si trattava di un foglio unico, alto circa venti centimetri, lungo quasi cinquanta, ripiegato più volte a soffietto ogni quindici centimetri.
Non c’erano numeri, né parole, tranne i nomi di tempo, secondo file verticali che riportavano, l’uno sull’altro: anno, anno, anno, e poi a fianco un po’ distanziati, mese, mese, mese, giorno, giorno, giorno, ora, ora, ora, e poi minuti, minuti, minuti, e poi una serie di righe verticali disegnate come quelle delle etichette dei prezzi registrabili dalle casse dei negozi, il cosiddetto “codice a barre” erano lineette alte circa 5 centimetri, di diverso spessore che si andavano riducendo fino a pochi millimetri, sempre più sottili, appena visibili che finivano con un punto. Alla sua semplicità strutturale, di contenuto non corrispondeva una chiarezza definita d’interpretazione, anche se questa, al primo esame, sembrava piuttosto evidente, se non in via del tutto logica, almeno sul piano della fantasia, della irrealtà.
Tornando alle occupazioni e ai pensieri abituali percepii come un tarlo che si aggirava nascostamente nei meandri della mente finché sbucò fuori in superficie facendomi tornare alla esistenza del libretto. Lo aprii e notai subito che la fila degli “anni” era scomparsa senza alcuna traccia; il resto era uguale. La cosa inspiegabile era che della cancellazione non esistevano tracce come se quelle parole non fossero mai esistite. Ma ciò complicava le cose e l’interpretazione del fatto poteva dare qualche preoccupazione. Sentii la necessità di stringere un po’ di più i vincoli famigliari smerigliati dal tempo e i vincoli che in genere si assottigliano anche con gli amici. Sentii accrescersi ancora di più le bellezze della natura che avevo mirato e assaporato nella mia vita lungo i percorsi in gran parte del mondo, come l’aspetto di montagne, americane, asiatiche, africane, delle Dolomiti, che vanno dall’orrido al sorprendente, al meraviglioso, così come l’aspetto del mare calmo o in terribile tempesta e, perché no?, l’aspetto di un bel prato verde o come una catena montuosa coperta di boschi di abeti spiccanti fra la neve, o l’aspetto delle messi, infinita varietà di piante, di fiori e di farfalle, di questi “fiori senza stelo”, al canto dell’usignolo, all’acrobazia delle rondini.
Chissà perché… una larvata sensazione di dover farne soltanto dei ricordi, di non avere più la possibilità di vederle? Ma non avevo il tempo di pensare a lungo perché la vita incalza con i suoi tanti problemi. Passò altro tempo e il successivo sguardo al libretto: dopo gli “anni” anche i mesi erano spariti, tranne uno. Le liste si abbreviavano; qualche cosa stava invadendo il mio organismo compromettendone l’efficienza; che cosa era esattamente? Quando e come era avvenuto l’inizio? Era ancora, per me, di natura da determinare (d.n.d.d.), come si usa dire in campo medico. Forse questo stesso pensiero mi creava uno stato subcoscientemente ansioso, che si traduceva, aggiungeva nello stato fisico, nonostante – in realtà – la mia serenità psichica.
Allo sguardo successivo al libretto era scomparso il mese ed erano rimasti i giorni, le ore, i minuti, le lineette…: è certo che in date circostanze tanto gli anni quanto i minuti possono essere troppo lunghi o troppo brevi, specie quando i minuti si bruciano in secondi… Non so quando ma molto presto l’orologio aveva percorso i suoi tanti giri, ma quanti? Ero vicino ai monti e l’ultima vicina pendice era coperta da fitta alberatura che digradava verso masse di cespugli fioriti e, più ancora, verso un immenso prato coperto di erba foltissima e molto alta. Chiusi gli occhi (o erano già chiusi?) e li aprii di nuovo dopo “non so quanto”: ora l’erba era bassa, come tagliata da una immensa onnipotente falce.
E ancora il prato scendeva e si estendeva in largo e in lungo; l’erba sempre più corta e chiara. Da un lato era diventata così rasente che fra le zolle vidi insinuarsi dei leggeri tratti di sabbia e più l’erba avanzava e si diradava e più la sabbia penetrava. Chiusi gli occhi con leggero battito e i miei occhi, che avevano visto le aurore, erano pieni d’ombra; non so se sognai o credetti di vedere che la fila delle lineette verticali si era andata estinguendo; l’ultima lineetta era così sottile e breve che sfiorava il punto. Presto li riaprii e vidi che l’erba era finita e soltanto era rimasta la sabbia; alzai lo sguardo verso l’infinito e in una frazione di secondo vidi un immenso deserto di sabbia, piatta, uniforme, un immenso deserto sconfinato e nell’istante in cui lo vidi, cessai di vederlo.
Generale Marcello Pedretti
16 dicembre 2024