Mala tempora currunt, avrebbero detto i romani… i giovani studenti dai 6 ai 20 anni, spesso si comportano in modo consequenziale a come vive la propria famiglia: in casa si sparla o si bestemmia? Per loro è normale fare altrettanto, anche all’oratorio o a scuola. Lu fricu, dicevano i vecchi contadini, è come una piantuccia, se cresce storta la puoi raddrizzare da giovane ma se tenti di farlo una volta grande resta piegata. I detti sono il risultato della saggezza popolare e ben si possono applicare alla vita di oggi.
Nelle case, ahimè, si sparla e si bestemmia ogni giorno. La scuola non può certo sostituirsi ai genitori ma può indicare la giusta via e non peggiorare la situazione. Fatta questa premessa, vi riferisco di aver sentito un giovane studentello, cresciuto in una sana famiglia, raccontare che a scuola chi dovrebbe dare l’esempio, cioè il docente, parla in maniera più che molto… “fiorita”. Mi dispiace dire, che dopo la riforma che affonda le sue origini nel sessantotto, nelle scuole non c’è più un direttore o un preside presente. Il dirigente scolastico sembra essere talmente lontano che, raramente, viene visto scendere dall’alto manco fosse un angelo del cielo. Angelo nero o angelo bianco? Boh!
Intanto in molti notano che a scuola le mele bacate, messe dentro lo stesso cesto, rovinano quelle buone. Che la vita in “certe famiglie” sia diseducante è cosa ben nota. Un tempo qualche genitore ascoltando i bambini bestemmiare dicevano: “A sa rispónne!” A scuola, però, vi erano insegnanti ferrei nel pretendere la massima educazione; educatori che addirittura davano e pretendevano il “Lei”. Oggi, invece, accanto ai bravi precettori ci sono docenti che non sanno trattenersi da comportamenti brutti e volgari. Fumano dove non dovrebbero, sparlano e si vestono in maniera contraria al buon senso. Da alcune persone ho sentito anche di docenti che offendono ragazzi di diversa etnia con parolacce buttate là per ferire studenti colpevoli di non avere nonni o genitori italiani. Ragazzi che magari stentano a parlare la nostra lingua.
La legge, però parla chiaro. In fatto di parolacce la recente sentenza 3.459 della Corte di Cassazione non lascia più dubbi di interpretazione: l’insegnante che ripetutamente, durante le lezioni e dinanzi ai ragazzi della classe, apostrofi un proprio alunno con epiteti quali “deficiente” o “fetente” o addirittura “coglione”, evidentemente umiliandolo dolorosamente, si macchia di reato. Il tutto nella cornice della differenza di ruolo e di età tra il docente e il minore. Nelle nostre classi scolastiche, questo modo d’insegnare, infarcendo il discorso di parolacce tipo “hai rotto…” funziona? Dà migliori risultati educativi e disciplinari? Non c’è, e non può esserci, una risposta univoca alla domanda se sia efficace usare il turpiloquio a lezione, perché è troppo generica.
Le “parolacce”, includono espressioni che vanno dagli insulti a quelle colloquiali, dalle oscenità alle imprecazioni: in questa categoria potrebbero rientrare espressioni bonarie e spiritose, ma anche offese molto pesanti. Un saggio ha detto: “Le parolacce sono come coltelli: posson ferire ma anche sbucciare una mela”. Si potrebbe asserire che è inaccettabile usare espressioni oscene con bambini di prima elementare, cosi come è fuori luogo utilizzare l’umorismo infantile “da gabinetto” con i 20enni. È bene che i dirigenti scolastici facciano chiarezza, chiarendo ai subalterni che il codice penale punisce con la reclusione da tre a sette anni chiunque “maltratta” una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per motivi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in danno di un minore o di una persona disabile.
Per la Corte è indiscutibile che, quand’anche il docente agisca con intenti educativi, una tale “modalità” non è mai appropriata, mancando su tutto e in ogni caso, l’imprescindibile requisito di “adeguatezza”. Ci sono anche “consigli” che secondo me non sono da seguire. Italo Calvino diceva: le parolacce possono dare un effetto musicale nella “partitura” del discorso quindi, sono efficaci se al servizio di una narrazione. Altri hanno sostenuto che infarcire i discorsi di bestemmie serve a “rafforzare” il discorso. No e poi no! Questo serve solo ad accentuare il fatto che poiché non sai parlare in italiano ti copri con le oscenità! L’insegnante è un educatore e come tale deve dare il buon esempio. Dire parolacce rischia di minare gli intenti educativi e la propria autorevolezza.
Dunque potrebbe essere al massimo una eccezione e non la regola: una scelta che va commisurata all’età e alla maturità degli studenti, per non rischiare sgradevoli equivoci, e che può degenerare il clima in classe. In termini generali, è chiaro che la scelta di dire parolacce a scuola è diseducativa in modo inversamente proporzionale all’età degli studenti: ovvero, è tanto più diseducativa quanto più è giovane l’età degli studenti. In ultimo, e non per ultimo, voglio sottolineare che discorsi sconvenienti sono maggiormente disastrosi e deleteri quando fatti da chi dovrebbe offrire insegnamenti religiosi.
Alberto Maria Marziali
3 febbraio 2025