Se i personaggi degli anni ’30 costituivano i pezzi di colore locale, anche i mezzi meccanici non lo erano da meno. Tra questi c’è da ricordare l’autobus urbano o, meglio, “l’utuvùsse”.
Certamente quello che vedevamo noi ragazzi era il discendente di una stirpe di automezzi ancor più vetusti (forse un 18/BL o un 15/ter) che la ditta “Vincenzo Perogio & C.” aveva fornito a cittadini e forestieri fin dal 1912. Era uno “Spa 30.000”, dall’aria pacifica, dipinto in verde e azzurro che faceva, come era scritto sul tettino in una targa che di notte (miracolo della tecnica!) s’illuminava, proclamando agli ignari il suo itinerario: Stazione-Piazza Vittorio Emanuele-Santa Croce.
Aveva 30 posti ed era guidato, per tradizione, dal Valeri, che conosceva tutti gli habitués, sicché si sentiva autorizzato a sollecitarli cordialmente: “E daglie! Smùi ‘sse jàrde! Che tte ce vò?” E lo “Spa 30.000” non era certo un jet. Saliva lentissimamente la via Carlo Alberto (ora via don Minzoni) rischiando l’infarto per quanto ansimava. Specie quando, in tempo di guerra, gli fu applicato il “gassogeno” (con un caminetto che buttava nugoli di fumo dal fianco destro del parabrezza) l’irta ascesa gli era diventata più problematica. Ma, eroicamente,gliela faceva sempre. Più facile era la discesa poiché – non esistendo il senso unico – via Carlo Alberto si saliva e scendeva “ad libitum”.
Scarse erano le probabilità di scontro, poiché le auto erano, allora, pochissime. C’erano la 521 del barone Antonelli-Incalzi, la “Diatto”, rumorosissima, del Palazzesi, la 514 del Sòr Ivo Mei e, più veloce e ammirata di tutte, l’Alfa Romeo 1750 di Sòr Fausto Menichelli, la “Lancia Lambda” del Bentivoglio, la 509 del Domizi (che, in una sera d’estate, andò a fuoco sulla pubblica piazza). C’era inoltre un particolare che suscitò le facili ironie degli studenti. Sui fianchi del cofano il potente automezzo aveva un numero misterioso: il “30”. Tra i couplets di una Rivista che spiritosamente allestivano quasi ogni anno, i nostri universitari inserirono il seguente: “L’autobusse, disgraziato! porta un 30 pitturato. Ma chissà dove saranno poi quegli altri ventinove?” facendo sorridere i cittadini e adirare, forse, il Perogio.
Ma il nostro automezzo, nonostante la sua aria paciosa, riscattò la sua tranquilla esistenza con un atto eroico. Nei tragici momenti della guerra civile ebbe l’incarico di trasferire un gruppo di partigiani da una montagna all’altra. Fu, però, sorpreso da un manipolo di nazifascisti che, per punizione, gli appiccarono il fuoco. Sicché ne fecero un “Eroe della Resistenza”. Quasi sarebbe il caso di fargli un monumento. Altro monumento “alla memoria” bisognerebbe fargli perché faceva servizio dalle prime luci dell’alba fino a oltre mezzanotte.
Libero Paci – tratto da “Ma c’era Macerata”
5 febbraio 2025