Storia – proponiamo un incontro con regole condivise tra Sanclaudisti e Nonsanclaudisti

Quand’ero bambino, sfollato per le bombe in un paese del Monferrato, mia nonna per farmi prendere sonno ogni tanto mi raccontava una fiaba. Le fiabe mi piacevano molto e ogni sera le chiedevo di raccontarmene una, ma lei, sempre indaffarata e con mille incombenze, poteva farlo raramente perciò alla mia richiesta rispondeva: “Ė una storia bella, bella da raccontare, vuoi che te la racconti?” …Siii!, Ma è una storia bella, bella da raccontare, vuoi che te la racconti? …Siii!. Dopo quattro o cinque volte che mi ripeteva lo stesso ritornello o desistevo o stavo già dormendo.

La storia è davvero bella, e bella da raccontare, ma i battibecchi fra gli storici di professione e i sostenitori delle tesi del professor don Giovanni Carnevale (era anche lui un “prof” insegnante di storia) per la loro inutilità mi ricordano quell’espediente della nonna per non raccontarmi la fiaba. I Sanclaudisti chiedono a gran voce ai Nonsanclaudisti un “confronto” fra “teorie” (lemma improprio per indicare una tesi), ma, forse dimentichi del significato del termine confronto, le loro discussioni finiscono per scadere in battibecchi sterili dove ognuno cita e ri-cita fatti e scritti che nessuno degli uditori o dei lettori ha sottomano o ricorda a memoria, perché è più che naturale e comprensibile che un appassionato di storia, in posizione di neutrale ascolto, non conosca o non ricordi a memoria parola per parola la Vita Caroli o le Rerum Gestarum Saxonicarum e neppure l’Historia Francorum o uno qualunque dei capitoli dei 120 volumi dell’M.G.H, men che meno gli inediti pergamenacei della Libreria Vaticana o il Liber iurium o il Pantheon.

Mancando la possibilità da parte degli uditori di verificare il testo originale delle citazioni, o tirano la monetina per stabilire quale delle due interpretazioni è giusta oppure lasciano perdere. Sono stufo di continuare a dire e scrivere che non è vero che la storiografia sia una scienza, ma al contrario è solo frutto di opinioni personali, per mancanza di metodologie d’indagine organiche e condivise. Questa è “la dura verità” anche se il professor Meriggi nell’invito a una delle tante conferenze anti-Carnevale, scrive –riferendosi alla storiografia- Il suo metodo critico è fondamentale per orientarci, distinguendola da tutto ciò che le somiglia. La storia, che altro non è che conoscenza del passato umano realmente accaduto, si fa con i documenti e non con la fantasia. Ma quel “metodo critico” che ci aiuterebbe a discriminare i buoni dai cattivi non è esplicitato in alcun manuale o testo didattico e resta probabilmente un “segreto del mestiere”, come la ricetta della pietra filosofale per gli alchimisti.

Le frustranti diatribe senza metodo riguardano a esempio il fatto che Aquisgrana sia o meno Bad Aachen in Germania (il nome originale di quel sito è Aquis Villa) e si fondano sul fatto che il Carlone ci avrebbe costruito un palazzo con “statue e marmi” che nessuno ha mai trovato nonostante più di un secolo di ricerche, nel battibeccare i Nonsanclaudisti sottacciono il fatto che gli archeostorici germanici hanno ammesso che nessuno ha mai trovato il suo sepolcro sotto i pavimenti del duomo cittadino, dove gli storiografi di Bismarck,  per motivi politici contingenti, hanno scritto che ci fosse. Non sono diversi neppure i Sanclaudisti che si fanno forti dell’ipotesi carnevaliana della “Cappella Palatina”, anche se a San Claudio la tomba di Carlomagno non ce l’hanno mai trovata dove hanno giurato che ci fosse “vendendo la pelle dell’orso prima di averlo ucciso” come si suol dire, poi hanno pure fatto il classico “buco nell’acqua” quando hanno carotato il muro d’ambito in corrispondenza della intercapedine di ventilazione che circonda l’edificio, ciononostante continuano in vario modo a sostenere i loro convincimenti, ignorando volutamente cosa dicono le fonti scritte che parlano della sepoltura.

Fuori da sterili dichiarazioni di principio, tutto questo polemizzare e discutere fra sordi è solo deprimente e fa disamorare le cosiddette persone normali perché non fornisce loro alcun elemento realmente fruibile per dare un giudizio. Non si può pretendere che chiunque, con un normale background scolastico sia in grado, di fronte al “labirinto della storia” (T. Di Carpegna Falconieri dixit) che si è creato, discriminare i documenti credibili e le “fake news” (A. Meriggi scripsit) quando vengono presentate argomentazioni senza supportarle con la citazione letterale del contenuto dei documenti, offrendo soltanto la loro personale interpretazione. Capire dove sono i buoni in questo “labirinto” non è facile come lo era nei film western di una volta dove i cattivi erano quelli con in testa la penna e i buoni il cappello nero.

L’elaborazione personale e personalizzata dei documenti storici è permessa dalla mancanza di una metodologia strutturata e condivisa fra gli addetti ai lavori, perciò ognuno, lo sto ripetendo fino alla nausea, nei documenti ci legge cosa vuole piuttosto che cosa c’è scritto. In questo avvilente discorso fra sordi, continuo e continuerò a ripetere che se traduciamo le fonti alla lettera, col significato corretto di ogni lemma, è più facile capire e giudicare. Riprendiamo a esempio il brano di Eginardo della morte di Carlomagno, sulla base del quale sia i ‘germanisti’ sia i ‘sanclaudisti’ vogliono tirare acqua al loro mulino, interpretandolo come gli piace, quando dovrebbero entrambi tradurre il testo correttamente, utilizzando il significato da tutti condiviso di ciascuna parola. Se lo facessero, entrambi dovrebbero ricredersi dal sostenere, gli uni che Carlomagno sia stato sepolto sotto il pavimento della Pfalzkapelle di Aachen, gli altri sotto quello di San Claudio. In realtà non è stato sotterrato in nessuno dei due luoghi, perché Eginardo mai ha scritto “inumato”, perciò è giusto che entrambi dicano che l’altro si sbaglia. Fra i due litiganti i terzi (noi) non godono, ma scuotono la testa interdetti.

Insisto sul brano della sepoltura perché sostanziale in quanto recita, narrando di quando Carlone morì, che i suoi maggiorenti decisero di “Tandem omnium animis sedit nusquam eum honestius tumulari posse quam in ea basilica, quam ipse propter amorem Dei domini nostri Iesu Christi et ob honorem sanctae et aeternae virginis, genitricis eius, proprio sumptu in eodem vico construxit. In hac sepultus est eadem die, qua defunctus est, arcusque supra tumulum deauratus cum imagine et titulo extructus. Se come scrive perentorio il Meriggi “La storia, (omissis) si fa con i documenti e non con la fantasia”, perché il lemma BASILICA diventa “Cappella” e il TUMULO si trasforma in un “vano sotterraneo”? Infatti che Carlone sia stato messo sotto terra lo sostengono entrambi questi contendenti, anche se non si trova scritta su nessun documento una parola che si possa tradurre con sotterrato. Basilica e tumulare sono solo due piccole parole, ma se “non è vero che tutto fa brodo”, la prima non si può proprio riferire né alla Pfalzkapelle né all’edificio di San Claudio che non sono Basiliche, men che meno il verbo “tumulare” può riferirsi al sottosuolo intasato di sabbia del duomo di Aachen, ma neppure all’“infernotto” di San Claudio, semplicemente perché il tumulo medievale è un manufatto fuori terra.

Se la storia si fa con i documenti come protestano Meriggi & C., non credo di dover essere io a suggerire a dei laureati in lettere di consultare un vocabolario e un glossario per trovarci la corretta definizione di basilica e di tumulo. Se è pur vero che messer Giolitti disse: la legge per i nemici si applica e per gli amici s’interpreta; la Storia, essendo acqua passata che non macina più, non è più attualità politica e non deve essere interpretata, ma solo scritta rispettando il significato delle frasi dei documenti, quando questi sono considerati credibili e su essi si basa la storia. Nessuno ha mai scritto che Eginardo fosse un contaballe, che non capiva una mazza e perciò lo si può correggere a piacimento anche se lui c’era ma, a proposito degli eventi che lui ha vissuto e raccontato, ne sanno di più gli storici 1210 anni dopo.

Comunque sia, è corretto prima di tutto citare letteralmente il testo della fonte che si utilizza, e poi la propria interpretazione, in modo che il lettore o l’uditore alla conferenza, anche se non si è sciroppato una ventina di testi in latino e non solo quelli, leggendo il brano originale possa valutare la correttezza dell’interpretazione. Questo è il punto dolente: esplicitare le fonti, sempre e correttamente. Se vogliamo uscire dal “labirinto della storia”, non serve il filo di Arianna, ma facciamo un confronto diretto, così gli uditori potranno giudicare le diverse tesi. Per mettere correttamente due tesi a confronto prima di tutto si devono esplicitare le fonti che si citano a supporto o a riprova, per non scadere in un battibecco da Bar dello Sport, definendo prima e condividendo poi le regole del dibattito.

Mi permetto di proporre un confronto organizzato in modo che l’uditorio sappia di cosa si parla e su cosa si discute, pertanto si pongano alternativamente fra le parti un numero limitato di quesiti (quattro o cinque possono essere sufficienti), proiettando su uno schermo visibile a tutti gli uditori il brano della fonte, ovvero il testo originale e i riferimenti bibliografici e anche la traduzione se non è in lingua nazionale. Poi si formuli il quesito, a cui la controparte è tenuta a rispondere, ma “senza menare il can per l’aia” ovvero divagando su altri argomenti che non siano la stretta interpretazione del quesito (la diatriba maggiore è sempre su dove fosse Aquisgrana e si potrebbe cominciare da lì) procedendo come l’esempio del brano di Eginardo di cui sopra. Si possono riportare ovviamente anche fotografie di testimonianze di cultura materiale, ma chiare e leggibili e il quesito deve riguardare solo l’immagine nei suoi contenuti formali e non trascendenti o simbolici, perciò non si possono fare interpretazioni personali opinabili come quella che ho sentito dire che le volte a crociera delle chiese hanno quattro spicchi perché sono quattro gli evangelisti.

Il confronto non deve essere su questioni astratte non verificabili, gli avvenimenti storici se sono reali hanno lasciato testimonianze di “cultura materiale” ovvero cose tangibili come case strade, chiese, se le fonti ci parlano di queste cose, esse devono ancora esistere o aver lasciato le cosiddette testimonianze archeologiche. Per fare un confronto serio e intellettualmente onesto occorre condividere un glossario comune, quel “common understanding” che è alla base di qualsiasi confronto realmente scientifico. Il mio postulato è uno soltanto: la storia dedotta dai documenti è vera e credibile se la si può confrontare con le testimonianze materiali che la stessa necessariamente ha lasciato sul territorio. Solo per chiarire: finché gli archeostorici tedeschi non disseppelliranno muri e colonne del palazzo di Aquisgrana ad Aachen, (non ne hanno mai trovato traccia) lo stesso resta ben visibile a San Claudio, checché ne dicano i due litiganti.

Un confronto fra cultori del sapere non può essere uno scontro che degenera nell’uso di frasi inconsistenti quanto indirizzate alla persona, ma la precisa contestazione, metodologicamente corretta dove l’interpretazione è errata o generica o contraria alle prove. Scrivere che certe tesi “sono solo sciocchezze” senza produrne le prove, poteva essere il responso di “una autorità in materia” quando una qualsiasi pubblicazione si poteva stampare soltanto “Con licenza de’ Superiori”. Parliamo di tempi andati, esistiti prima che un certo Robespierre aiutato da un tal dottor Guillotin introducesse qualche novità nei rapporti sociali. Mi permetto far riflettere i cattedratici cultori della “verità storica” che non è più il caso di fare come quel cardinale che rifiutò sdegnosamente di guardare nel cannocchiale: oggi nessuno ne ricorda più il nome, ma tutti conoscono Galileo Galilei.

Medardo Arduino

9 marzo 2025

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti