Barbero non sbaglia… non ce ‘cchjàppa proprio! e parla male dei marchigiani “creduloni”

Da che mondo è mondo cercare di cambiare lo stato delle conoscenze ha sempre significato rivoluzione. Non parlo delle rivoluzioni degli ordinamenti sociali o dell’organizzazione del potere, ma di un aspetto meno cruento che attiene al bagaglio di conoscenze sul nostro passato.

A quanto pare don Giovanni è stato un pericoloso attentatore al conservatorismo dei cattedratici di storia, proponendo in solitudine e con coraggio una rivisitazione dell’Alto Medioevo che sposta le sedi dei primi Franchi in Italia, in val di Chienti, anziché in Vestfalia. I cultori della storia altomedievale che Carnevale ha messo in crisi, ancora oggi che lui non c’è più si accaniscono contro la sua figura invece di analizzare comparativamente le testimonianze materiali del passato e i documenti che ne trattano. Di recente si parla di fake news e pure i professori ordinari o i professori emeriti, continuano ad accanirsi contro il loro collega salesiano di Capracotta, anziché accettare ciò che sanno probabilmente da tempo ma non vogliono ammetterlo per partito preso.

Ho già detto il mio parere sulla proposta di cancellare, ovvero eliminare, la tesi della Francia Salica Picena, presentata da due docenti dell’Università di Macerata sul foglio della facoltà, prendendosela con don Giovanni anziché entrare nel merito delle questioni. Entrare nel merito delle questioni non è fare la voce grossa dall’alto della cattedra sostenendo la tesi degli storiografi tedeschi dell’800, significa invece analizzare accuratamente TUTTE le tesi storiche, verificandone il loro aspetto più sostanziale vale a dire le testimonianze materiali che gli accadimenti storici hanno lasciato come sedimenti sul terreno dell’Europa. Perché il punto dolente è proprio questo: anziché l’analisi e il confronto delle testimonianze materiali che l’uomo lascia sul territorio, si da credito solo alle proprie personali opinioni, preferendo acriticamente, più o meno come si fa con le squadre di calcio, i contenuti di questo o quel saggio, sostenendolo con argomentazioni che troppo spesso non hanno riferimenti al contesto sia territoriale sia documentale.

L’uomo ha lasciato tante testimonianze fisiche della sua evoluzione, il cui racconto chiamiamo Storia. La storia l’hanno scritta e la scrivono una quantità di persone, il mondo accademico l’ha considerata attività letteraria da quando esiste la Letteratura, per la storia non è stato ancora redatto un sistema di indicatori univoci e parametrizzati e neppure i relativi protocolli metodologici per elaborare gli esiti delle analisi critiche: ognuno fa come gli pare. In breve la storia è scritta secondo le opinioni personali degli storiografi e quindi dalla loro personale interpretazione delle fonti documentarie, evitando, nello spiegare le loro opinioni, di verificare se questi accadimenti abbiano lasciato testimonianze materiali coerenti.

Tali testimonianze note come “cultura materiale” essendo opera degli uomini, non possono trascendere le caratteristiche biologiche della macchina umana nel contesto ambientale. I fatti della storia, detto fuori dai denti, devono essere fattibili se fatti concreti furono; infatti, se questo postulato non è verità, se ne va sui fichi tutta la preistoria. Per queste semplici considerazioni, gli storici che per abilità e fortuna sono diventati noti e seguiti da appassionati e curiosi, proprio per questo dovrebbero sempre misurare le parole e badare ai contenuti quando pontificano a ruota libera su altri storici che hanno proposto tesi diverse. Dopo il già accennato “to cancel or not to cancel” di UNIMC, e la conferenza su “La storia vista come un labirinto” del prof. Tommaso Di Carpegna Falconieri del 6/11/24 a UNICAM, comunicazioni in sostanza dirette a confutare le tesi di Carnevale, gli attacchi continuano.

Un amico mi ha segnalato una lezione su YouTube (perciò destinata al grande pubblico) del noto storico torinese Alessandro Barbero. Si tratta del podcast sponsorizzato da “Intesa San Paolo on air”, della serie  “Chiedilo a Barbero” – Episodio 77 Altre città. Qui il professore, parlando di Aquisgrana, si scaglia con veemenza contro don Giovanni Carnevale, piuttosto che trattare con dati concreti i contenuti delle sue tesi. Mi permetto trascrivere qui sotto, perché i nostri lettori ne ricavino le proprie conclusioni, un piccolo brano del podcast in oggetto: come risposta innescata dalla “spalla” alla possibilità di Aquisgrana nelle Marche, il professore commenta: “E…no perché da noi… da noi…si crede a tutto non c’è idea così folle che venga messa in giro e che non trovi qualcuno che ci crede, specialmente nella politica locale, nell’amministrazione locale, e quindi nelle Marche c’è questo gruppo di seguaci di questo defunto sacerdote Don Carnevale il quale pubblicò dei libri per sostenere che appunto Carlo Magno non era vissuto lassù tra Francia, Belgio e Germania, ma era vissuto qua in Italia. E che Aquisgrana stava lì… eh eh nelle Marche… .ehh  guarda non c’è modo di…”. La voce della spalla dice: “Cioè continuano ad arrivare domande.. sulla cosa”. Il prof Barbero: “Sì sì perché laggiù questa cosa è popolarissima e per quanto uno si sforzi di dire che proprio la cosa non solo inventata ma che non sta proprio né in cielo né in terra da nessun punto di vista … però niente appunto non c’è cosa così folle che non trovi i suoi seguaci, i suoi adepti, i suoi ordini del giorno del consiglio regionale e …così”.

Se noi marchigiani siamo così, allora mi complimento col prof. Barbero per la considerazione che ha di noi poveri creduloni che ci beviamo ogni cosa perché non siamo storici come lui che ha la verità in tasca e non ha bisogno di rifletterci su. Certamente il prof può vantare una preparazione di prim’ordine in Storia Medievale, si è laureato alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Può vantare di aver avuto docenti di altissimo livello, e… guarda caso gli stessi che hanno dato 30/30 anche a me, quando, studente al Politecnico di Torino (essendo la mia specializzazione restauro architettonico), per preparare una tesi sull’architettura castellana del Medioevo astigiano, ritenni indispensabile frequentare i corsi di Storia e Archeologia medievale, corsi fuori facoltà permessi e suggeriti dalle norme sul piano di studi del Politecnico. A “Lettere” seguii i corsi e fui esaminato e valutato dagli stessi professori del Barbero, ossia Beppe S., Aldo S., Rinaldo C., (relatore della tesi di Barbero), Renato B. (correlatore della mia tesi), Maria Maddalena N P. e il grande Giovanni Tabacco. Probabilmente ci siamo anche incontrati nelle aule di Palazzo Nuovo nella seconda metà degli anni ‘70.

Io però, non sono stato allevato fin da piccolo ad accettare dogmaticamente la storia di matrice tedesca che ancora tiene banco nelle università, perché dopo essermi diplomato perito aeronautico, ho lavorato per 14 anni come ricercatore scientifico nella fisica meccanica in un centro di rinomanza internazionale, prima di avere il tempo di tornare a frequentare le aule scolastiche, certamente con una motivazione più sentita e soprattutto un bagaglio di esperienze differenti da quelle di un liceale diciottenne. Cinquant’anni di lavoro nell’industria privata e nella libera professione mi hanno insegnato che sono i contenuti quelli da mettere in discussione se si fa ricerca, e non dimentico che la libera ricerca è lo scopo che la Costituzione assegna alle Università. Ricerca non è una parola vuota, si basa su protocolli e parametri condivisi da rispettare.

Lo stesso non si può dire delle discipline storiche, che non sono scienza (anche se gli storici lo pretendono) perché non esistono metodologie per l’analisi storiografica discendenti da un costrutto teorico, questo permette a chi vuole interessarsi di storia di usare i propri convincimenti, perciò la Storiografia è il riflesso della cultura dei singoli autori. Mi spiego meglio: due progettisti per fare la stessa struttura usano gli stessi algoritmi per calcolarla e i risultati dimensionali delle sezioni resistenti saranno confrontabili, molto vicini fra loro e la differenza sarà data (e verificabile) dal coefficiente di sicurezza che ciascuno adotterà per tener conto della minima dispersione dei dati caratteristici del materiale impiegato. Ben diversa è la spiegazione che fa uno storico che scrive la biografia di Galla Placidia e ci racconta i pensieri che le passavano per la testa mentre si avviava al talamo imperiale dove l’attendeva Ataulfo.

Il podcast del prof Barbero ne è un esempio in quel piccolo minuto che dedica, spazientito, a spiegarci, (a mio avviso con molta creatività piuttosto che rigore metodologico) perché Aquisgrana è in Germania. La spalla gli chiede “di tornare alla vera Aquisgrana…”. Il prof spiega: “La vera Aquisgrana che è un posto dove Carlo Magno si ferma semplicemente perché gli piace da matti andare in piscina e lì ci sono le fonti termali e si fa costruire un palazzo. E come fa a farsi costruire un palazzo? Manda in giro gli architetti, a Roma, a Ravenna, a Costantinopoli a vedere come sono fatti i palazzi imperiali e se si può anche a comprare colonne o statue da reimpiegare…”.

Per il mio metodo di analizzare le fonti, prima di parlare di un palazzo carolingio se ne dovrebbero trovare almeno minimi resti materiali, ma questo non è mai avvenuto a Bad Aachen, dove gli storici tedeschi, sfruttando l’omonimia di una parte del toponimo hanno deciso che Aquis Villa, il nome dato dai romani alla stazione termale tedesca e che significa “la città delle acque” si trasformi in Aquis Grani, anche se il genitivo di Grannus il dio piceno della medicina MAI compare quando si tratta di Aquis Villa, nome che si legge sulle fonti documentali antiche quali gli Annales Laurissenses. Fino a una decina di anni fa la città si chiamava Bad Aachen, poi il prefisso Bagni che compare anche sulla cartografia barocca è stato tolto per mettere Aachen in testa all’elenco ufficiale delle città tedesche così i turisti la trovano subito: business is business. Se è pur vero che a Bad Aachen ci sono fonti termali, se questa fosse stata la vera Aquisgrana ovvero la sede del potere franco per almeno tre secoli, se i Franchi sono di origine e cultura germanica come anche Barbero sostiene, perché il toponimo non ha un etimo germanico almeno nella radice ‘Wa’ di Wasserfall, ma è la chiara corruzione del latino Aquae, che c’è anche in altre stazioni termali come Aquae Comitianae o Aquae Statiellae, e guarda caso siccome i Franchi scrivevano solo in Latino ai tempi del Carlone, forse per questo l’imperatore, che magari qualche volta si è fermato a fare il bagno, come si è fermato a Spa-Francorchamps, non ha lasciato traccia materiale della sua presenza. La ‘città delle acque’ fondata dai romani in Germania, prima di perdere le millantate vestigia carolingie (che in realtà non ha mai avuto), avrebbe addirittura perso il suo preteso nome Aquisgrana, sia per i Tedeschi come per i Francesi che la chiameranno Aix la Chapelle, un enorme, inspiegabile e immotivato affronto alla pretesa capitale carolingia, se davvero Bad Aachen fosse stata Aquisgrana: è possibile che una città così importante cambi nome senza che uno straccio di documento dica perché?

Mi chiedo se davvero ci fosse stato il palazzone carolingio come dice il Barbero, perché non è stata chiamata Aix Le Palais, dai Francesi che si vorrebbero originari di quei luoghi? ‘Sti Franchi irriconoscenti quando divenuti Francesi non hanno conservato neppure il nome intero secondo la loro fonetica ossia Aquisgrane, e hanno voluto vedere come monumento di spicco solo la “Chapelle” ossia il Duomo attuale. Perché mai il proverbiale conservatorismo dei Tedeschi non ha tenuto il nome completo del sito, perdendo Grani e virando Aquis in Aachen? Il luogo dove risiedeva davvero Carlone è menzionato Aquis Grani anche nei molti diplomi rilasciati dagli imperatori post-carolingi. In quei rogiti  il monumento che ad Aachen non c’è, invece compare sempre nei diplomi, scritto a cura del notaio che redige l’atto proprio “in Aquisgrani Palatio”. Ma di quel palazzo non ne è rimasta la benché minima traccia ad Aachen, forse perché non ci è stato mai, altrimenti qualcosa delle colonne e delle statue, proprio quelle che Carlone avrebbe dato incarico agli architetti di comprare (secondo Barbero), inoltre e sicuramente gli archeologi tedeschi avrebbero trovato dei reperti se questi ci fossero stati perché hanno scavato dappertutto (anche per fare la metropolitana). Se il palazzo non c’è, come fa il prof Barbero a spiegare che Carlone inviò in giro qui da noi i suoi “architetti” per vedere come si fa una reggia? Si è immedesimato così tanto nella storia medievale da riuscire a vedere cosa non c’è? (di essi abbiamo un solo nome, Eudo, che compare nell’Ottocento ma di cui non sappiamo nient’altro che il nome).

Innanzitutto uno storico di mestiere come il nostro dovrebbe sapere che la figura dell’Architetto la troviamo in Vitruvio, poi la perdiamo per tutto l’Alto Medioevo fino all’Alberti. In quei tempi, da noi c’erano il Magister murium e il Magister lignaminis, se ben ricordo. Architetto è una figura professionale ben diversa e non c’era nel cantiere medievale, men che meno in Germania, e se il prof. si documenterà potrà verificare che da quelle parti si costruiva in Block Bau, tecnica che non ha nulla a che vedere con l’edilizia in pietra. Poi, visto che la carta è nata a Pioraco e il papiro era già scomparso da secoli in Europa, come facevano a documentare al capo le loro visioni gli “architetti” inviati in avanscoperta al Sud? Non potevano disegnare e neppure fotografare: la Ernst Leitz Wetzlar GmbH arriverà solo nel 1869. Quanti anni ha passato Carlone aspettando quelle spedizioni e quanti ne sarebbero occorsi a detti architetti per istruire le maestranze locali su tecnologie di un mondo totalmente differente dal loro? Carlone è stato imperatore solo 13 anni.

Si fa in fretta a immaginare, ma è concesso solo nei romanzi. Per quanto ne so non è mai esistito in Germania l’equivalente dei Magistri Comacini. È mai possibile che tutto ciò sia avvenuto in un mondo reale? È facile invece nel mondo pretestuoso dei sostenitori della storia made in Germany nell’Ottocento. Ammesso e non concesso che il palazzo sia stato davvero costruito, perché è sparito senza lasciare traccia ma non si è tirato dietro la piccola Cappella di palazzo che si vuol identificare con l’odierno duomo di Aachen? (ricordo che “Capellam palatii” è una espressione mai esistita nei documenti antichi, ad Aquisgrana c’era la “Basilicam magnam…quam vocant capellam karoli” come si legge alla Libreria Vaticana doc 950) aggiungo che, se in quel palazzo hanno rilasciato diplomi anche Berta di Toscana e Matilde di Canossa, perché non ci sono prove documentali dei loro viaggi in Germania? Perché il nostro professore non ha verificato le informazioni contenute nella chiusa di quei diplomi che sono stati scritti nell’Aquisgrani palatio, (quello che davvero esisteva ed esiste, ma non essendo in Germania non piace al Prof.).

Non ce n’è solo uno di atto notarile ma ce ne sono parecchi perciò non siamo nell’eccezione che conferma la regola, tuttavia il prof non ha voluto indagare, a esempio su uno a caso di questi rogiti, datato 21 ottobre 843, nella cui chiusa si legge benissimo “Signum (MF) Hlotarii serenissimi augusti (C.) Ervamboldus notarius advice Aglimari recognovi et (subscripsi)? Data XII kld. Novimb, anno Christo propitio imperii domni Hlotarii piissimi augusti in Italia XXIIII et in Francia IIII, indictione VI; actum Aquisgrani palatio regio; in nomine dei feliciter amen. Di fronte a questo documento, scritto da un notaio perciò assolutamente veridico nei contenuti, nessuno solleva dubbi e prospetta una differente realtà, perché solo le Marche è il paese in cui  “si crede a tutto non c’è idea così folle che venga messa in giro e che non trovi qualcuno che ci crede, specialmente nella politica locale, nell’amministrazione locale, e quindi nelle Marche c’è questo gruppo di seguaci di questo defunto sacerdote Don Carnevale”. Siamo noi omarini piccoli piccoli che ci beviamo tutto e non capiamo che sia l’Italia che la Francia sono esistite gratia Dei proprio nel nord della Germania e solo noi sempliciotti abbiamo pensato che fossero qui? Oppure qualcuno fa finta di niente, tanto chi vuoi che vada a compulsare Die Urkunden der Karolinger?

Delle indicazioni dei diplomi ci vorrebbe una spiegazione chiara, ma  siccome noi marchigiani siamo così ignoranti che non sappiamo neppure che la Renania è una provincia italiana del Nordeuropa o viceversa, che Italia e Francia sono paesini in Renania, cosa vogliamo capire di Medio Evo? Per puro caso sappiamo la storia di Lotario, l’imperatore che firma questo rogito, egli era il Re d’Italia, mentre in Germania c’era il fratello-coltello Ludovico (non abbiamo alcuna informazione di dove risiedesse Ludovico il Germanico), con cui Lotario non andava per nulla d’accordo se se le sono suonate di santa ragione a Fontenoy, perciò non dormivano nello stesso palazzo di Aquisgrana. Ora mi corre l’obbligo di concludere ricordando che il marmoreo Pfalz (palazzo reale) che secondo il nostro cattedratico avrebbe fatto costruire Carlone ad Aachen, è incomprensibilmente scomparso senza lasciare traccia, mentre non solo rimane, ma è visitata da milioni di persone l’anno la Pfalzkapelle, ovvero la cappella privata del Carlone, edificio che doveva logicamente essere annesso al palazzo se Pfalzkapelle. Essa è rimasta, ma il palazzo no, forse perché fatto da quegli inesistenti architetti gironzoloni mandati a mille km a sud a cercare un modello.

Quello che esiste ancora ovvero il duomo di Aachen è in realtà un edificio ottagonale costruito con ogni probabilità come mausoleo da un barone al tempo di uno dei Federici che si vorrebbero von Hoenstaufen, (un edificio simile ad Ottmarsheim è datato XII sec.). La costruzione ad Aachen fondata sui muri d’ambito di una vasca romana, è stata resa irriconoscibile, perché rimaneggiata completamente dall’arch. Bethune a fine Ottocento, rivestita di marmi tagliati e lucidati a macchina e graniti di Assuan. Dotata di una cupola (si scrive la più grande del Medio Evo) cerchiata in acciaio, che anche il prof Barbero ammette essere di una tecnologia sconosciuta nell’Alto Medioevo e in effetti non presente neppure nelle iconografie della città seicentesca, cupola eseguita a fine Ottocento, arricchita da mosaici di maestranze venete perciò anche questo un falso per opportunità politiche di von Bismarck di dare qualcosa di tangibile ai suoi sudditi senza spendere una fortuna in un palazzo imperiale. Invece di cercare un dialogo per tentare di avvicinare le conoscenze alla verità, vedo che è molto più facile parlare senza contraddittorio e da lontano, seguendo la consuetudine storiografica per non correre rischi. Il mio corregionale Barbero forse non conosce il detto torinese che fa: “Cui ‘d Carignan tiru la pera e starmu la man” (Quelli di Carignano tirano la pietra e nascondono la mano).

Medardo Arduino

7 aprile 2025

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