La giornata maceratese cominciava molto presto. Alle 4:30, puntuale come una cambiale, suonava la campana “de li vernaviti” che chiamava ‘vinniricole’ e cacciatori, “a la Messa de don Torello (velocissima)”.
Contemporaneamente si sentiva, nel silenzio generale, l’urlo di Lallo, fornaio operante in piazza Mazzini (allora del Littorio), che si piazzava sotto l’arco di Porta Mercato e, rivolto verso corso Cairoli, apostrofava le massaie: “Vrutte put… lo pà adè cotto. Svejateve!” E le etére, o presunte tali, iniziavano la marcia verso il forno, incrociando le ‘ortulane’ che, alla guida di carrettini a mano, recavano i loro prodotti al nuovo mercato coperto dove operavano le ‘vinniricole’, fra le quali spiccavano (una all’ingresso, una all’uscita) Lisa de Mariò e Diana, sempre urlanti.
Alle 6 tutte le chiese, seguendo l’esempio del Duomo, suonavano l’Ave Maria del giorno, determinando un generale risveglio. Alle 7:30 suono, questa volta ‘laico’, della campana comunale “de la scòla” iniziando un gran traffico di ragazzini, operai e impiegati, che camminavano ai lati delle strade per evitare di essere investiti “da le machine” (ne passava una ogni mezz’ora, quando andava bene). Le massaie, dopo aver “messo su lo sugo”, si preoccupavano della pulizia della casa. E si affrettavano e si adopravano di fornir l’opra prima del passaggio dell’operatore ecologico il quale non si chiamava in tal modo raffinato; era “lu monnezzà”. E la domanda fra vicine preoccupate era costantemente questa: “Adè passatu lu monnezzà?” Ma “lu monnezzà” si faceva sentire perché, accostato a un angolo l’enorme carrettone dipinto (in origine di azzurro) suonava la trombetta di ordinanza. E le donne accorrevano.
Verso le 9 arrivava “Cancellé”, successore di “Nicchiu”, il quale sistemava il carrettino di “vinniriculu” in un larghetto e iniziava la sua litania: “Volete le patate, volete li pummidori, volete la ‘nzalata, volete le cipolle, volete li fenocchi?” e terminava minacciando: “Me vaco via!” A questa minaccia le massaie riscendevano commentando i prezzi: “Ma ‘ndo’ jimo a finì? Le patate quinnici sòrdi a lu chilu! Robba da matti!” ecc. ecc. Rientro in casa ma per poco ‘ché, verso le dieci, si sentiva il fischio di Vittò lu Carbonà, commerciante più organizzato di Cancellé perché possedeva un carretto tirato da un ciuchino, fornito di stadera per pesare il carbone, allora indispensabile per le cucine.
Altri commenti sull’inflazione e definitivo rientro in casa, perché a mezzogiorno rientravano gli uomini per il pranzo. Il mezzogiorno veniva segnalato dal campanone di piazza cui rispondeva, per primo, quello del Duomo seguito da tutte le campane a disposizione dei sagrestani. Data la scarsità del traffico il suono era sentito da tutti. Poi rientro al lavoro, da parte degli uomini mentre i ragazzini delle elementari tornavano a scuola, salvo il giovedì. Riprendeva anche il lavoro nei campi fino al suono delle “ventidu’ore”,quando gli agricoltori facevano “merennetta”. Il suono dell’ “Ave Maria della sera” segnava la fine del lavoro.
I reduci dall’ufficio, dalla bottega artigiana, dalla fabbrichetta e dalla scuola invadevano, allora, la zona del passeggio. Questa era costituita dal Corso, allora Vittorio Emanuele II, e da regina Margherita (ora Matteotti) che, però, avevano “termini fissi”. Non si doveva sorpassare la facciata di San Filippo mentre, dall’altra banda, l’ultima Thule era costituita dal portone della Banca d’Italia. I passeggianti costituivano già spettacolo per conto loro ma, spettacolo nello spettacolo, guardavano con infinito rispetto il palcoscenico costituito, durante l’estate, dal tavolato che prospettava il caffè “Giorgi” sul quale si muovevano (si fa per dire poiché stavano seduti ai tavoli) i personaggi della élite maceratese.
C’erano i Bourbon del Monte, marchesi di Santa Maria, i conti Parisani, i Pignotti, gli Olivelli, “Sòra Pimpa” (Olimpia Compagnoni Floriani), il maggiore Melia, don Filippo Leoni, il Presidente della Provincia De Carolis, il Podestà Benignetti, in un miscuglio di fascismo e antifascismo, di clericalismo e anti, amalgamato dalla ricerca del fresco. In piazza, nelle domeniche, intanto suonava la banda Città di Macerata diretta dall’allampanatissimo (e bruttino anzichenò) maestro Vincenzo Pece.
Libero Paci
1 luglio 2025