L’avventura a Roma per l’Anno Santo, del montolmese Andrè: il barista e lo spagnolo

Un fascino particolarmente intenso e continuo ha esercitato Roma sull’animo dei marchigiani e qui non è il caso di elencarne le molteplici ragioni. La loro sbalordita ammirazione per la Città Eterna si riassumeva nel motto “Chj Roma non vede Roma non crede! Roma è ccapumunni e dico póco!

C’è dunque da figurarsi, dato anche il loro profondo sentimento religioso, quale enorme rilevanza assumesse l’Anno Santo per le nostre popolazioni. Non c’era marchigiano che non avesse ardentemente desiderato di andare pellegrino a Roma per l’occasione e questo desiderio si traduceva in un motto proverbiale pieno di speranza: “Se la morte non ge cojona, l’Annu Sandu jimo a Roma!” E molti vi andavano, a costo di grandi sacrifici personali, sia per lucrare le previste indulgenze e sia per “vedere Roma”. E al loro rientro, la domanda invidiosa che si sentiva rivolgere era scontata: “Sî visto lu Papa?” E se per caso qualcuno confessava di non averlo visto, le canzonature sprezzanti si sprecavano: “È ghjtu a Roma e non ha visto lu Papa!” La cosa sembrava così assurda e scandalosa che ne è restato lo strascico in un comunissimo modo di dire. A significare che si è mancato il principale obiettivo che ci eravamo proposti e che si riteneva facile da raggiungere, si dice infatti: “Sò’ statu a Roma sinza vedé lu Papa!

Per l’Anno Santo del 1925 il montolmese Andrè de Scocòcciu non volle rinunciare al pellegrinaggio che non poté fare 25 anni prima e, benché in età avanzata e piuttosto a stecchetto finanziariamente, partì per “ghj a vvedé scìa Roma che lu Papa”. Si sa che imponendo ai visitatori interminabili camminate Roma li ‘écchj li ‘mmazza e li jóeni li ddòma e il nostro Andrè straccu e spedecatu (stanco e con i piedi doloranti) a un certo punto dovette concedersi un minimo di ristoro ed entrò timidamente in un bar dall’apparenza assai modesta. Vi entrò da solo, quasi nascostamente, sia perché andandovi con qualche compagno rischiava di dover pagare lui le consumazioni e sia perché non si diffondesse poi la voce, a Montolmo, che lui si era dato allo scialo nella Capitale: non sia mai!

Avvicinandosi al banco, il barista gli chiese: “Caffè?” E il nostro contadino, prima tentennò un po’ la testa, poi la scosse affermativamente, senza pronunciare parola. Non appena il barista gli mise avanti la tazzina fumante, Andrè l’afferrò prontamente con due dita e con le altre tre aperte a ventaglio se la portò alle labbra e diede una prima potente sorsata. Ma ebbe un immediato sussulto perché il caffè scottava e, nell’allontanare da sé la tazzina, gli venne da esclamar con gli occhi spauriti: “Górbi, se sbojènda!” (Accidenti quanto è bollente!) Il barista, udito ciò e non sapendosi raccapezzare, domandò: “Mi dispiace signore, non parlo lo spagnolo. Desidera?” E il nostro Andrè, raccapezzandosi meno del barista: “Lo spagnolo no’ lo capìscio mango io, e mme despiace ardrettando. A Mondórmu, però, chjduna lo parla sa’!”  (Nemmeno io comprendo lo spagnolo e me ne dispiaccio, però a Montolmo qualcuno la parla, sai).

Claudio Principi

7 luglio 2025

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