C’era una volta e c’è ancora, un’abbazia antichissima, immersa tra i campi di Sant’Elpidio a Mare. Una meraviglia romanica, un frammento di Medioevo che per secoli ha resistito all’abbandono, alla polvere e persino alla burocrazia.
Poi un giorno, come nelle favole moderne, arrivarono 3 milioni di euro pubblici. Non dal cielo, ma da un più terreno “decreto omnibus” approvato in Parlamento. Secondo fonti locali, il merito politico di questo finanziamento andrebbe anche al senatore Luciano Magnalbò, che si adoperò perché l’abbazia entrasse tra le priorità culturali da sostenere.
Una mossa efficace, certo. Visionaria, forse. Scomoda, sicuramente. Perché c’è un piccolo dettaglio che rende tutto più interessante: l’abbazia non è pubblica. È privata. Appartiene alla famiglia Berdini, che la acquistò decenni fa e ne ha seguito, anche con sensibilità e risorse proprie, il recupero. Ma i fondi pubblici sono cosa diversa: vengono da tutti noi. E ci si aspetterebbe, almeno, che quel bene sia godibile da tutti noi. E invece no. L’abbazia è aperta al pubblico solo due volte al mese, il primo e il secondo mercoledì pomeriggio.

Non la domenica, non d’estate a orario continuato, non su prenotazione libera. Se non sei in ferie il mercoledì oppure non abiti lì vicino, buona fortuna. Così nasce il paradosso: un monumento nazionale restaurato con soldi pubblici… accessibile come un giardino privato con orari da segreto di Stato. Chiariamo: nessuno mette in dubbio l’importanza del restauro, né l’impegno dell’Associazione Santa Croce che ne promuove aperture ed eventi. Ma viene spontanea una domanda, anzi tre:
1 – Perché lo Stato finanzia con milioni un bene privato senza imporre una reale fruizione pubblica?
2 – Dov’è la rendicontazione sull’effettiva apertura e sull’impatto culturale per la comunità?
3 – Chi decide che due mercoledì al mese siano sufficienti a “restituire” un bene collettivo?
Santa Croce al Chienti è oggi un caso da manuale di “privatizzazione indiretta del patrimonio culturale”: si usa denaro di tutti, ma la gestione e l’accesso restano riservati a pochi. Il senatore Magnalbò ha fatto il suo lavoro: ha portato risorse sul territorio. Nessuno glielo contesta. Però quando la politica finanzia la memoria storica, non può dimenticare l’interesse collettivo. Un restauro è solo metà dell’opera: l’altra metà è l’accessibilità, la trasparenza, l’uso pubblico. Nel dubbio, segnate in agenda: il primo e il secondo mercoledì del mese, dalle ore 15. Con un po’ di fortuna, l’abbazia sarà aperta. Con molta fortuna, sarà anche illuminata.
Pietro Pennesi
16 ottobre 2025




