Antiche tradizioni gastronomiche marchigiane: la pasta de Lu Molenà o “Molinara”

Quando a pranzo qualcuno mi propone i “Campofiloni” mi viene da ridere. E sì, perché quei maccheroncini finissimi erano un piatto contadino tipico di tutti i nostri paesi della Marca Sporca e non la particolarità (frutto di marketing) riconducibile a un solo borgo.

In terra elpidiense la povera gente andava da Lu Molenà per prendere un po’ di farina, che nelle settimane di agosto era particolarmente profumata perché ottenuta dalla macinazione del grano nuovo. Andavano a prendere il macinato di grano per fare la “Pasta Molinara”. La farina veniva quasi sempre dai mulini che caratterizzavano il lungo fiume al Chienti, all’Ete o al Tenna. Tutti specializzati nell’arte della macinazione del frumento marchigiano con mulini, un tempo ad acqua.

La pasta fresca è una pratica antica, e in passato l’abilità nella preparazione manuale della sfoglia, e nel farle fare lo “schiocco” girandola col matterello, era una arte assai diffusa tra le donne di casa. Nello stendere la grande e rotonda “pannella” si faceva molta attenzione a evitare i buchi e questa bravura era considerata un vero e proprio requisito per essere una brava cuoca, una brava massaia e una brava moglie. L’occorrente necessario si teneva in cucina dentro la madia, l’antico mobile dove si impastava il pane e dove si conservava la farina e il lievito.

Fare la pasta fresca in casa è storia antica: dalla sfoglia tirata con il mattarello, si ricavavano già tantissimi anni fa le tagliatelle, i tagliolini, i quadrucci, i maltagliati, le lasagne, e la sottilissima Pasta Molinara. La prima cosa veramente importante era usare la “spianatora” di legno: infatti la rugosità del legno è più indicata di una semplice superficie liscia. La prima fase di lavorazione era quella di fare la “Fonte”, una specie di cratere realizzato con la farina e nel cratere ci si mettevano le uova, per sbattetele leggermente con una forchetta. In seguito piano piano dai bordi si calavano piccole manciate di farina e si incominciava a impastare.

Le mani diventavano un tutt’uno con l’impasto morbido e appiccicoso ma poi, piano piano, si liberavano e si cominciava a menare la pagnottona gialla. Le dosi variavano da massaia a massaia ma si potrebbe convenire che si metteva un uovo ogni 100 gr. di farina. La pasta veniva menata per più di 10 minuti, una volta finito d’impastare il panetto, lo si faceva riposare dentro la mattera coperto con un panno umido. A seguire si stendeva la “pannella” co’ lu stennitó, cioè con il mattarello, usando poco impasto per volta, il sufficiente per una pannella e il restante si teneva sempre ben coperto col panno umido.

La sfoglia si lasciva asciugare appesa in qualche posto della cucina e, una volta asciutta la si avvolgeva su se stessa fino a ricavarne un lungo “tubo” che poi sarebbe stato affettato sulla spianatora con un apposito coltello. Ne uscivano sottili tagliatelline o lasagnotte oggi chiamate pappardelle. Nel frattempo sul fornello bolliva il sugo, condimento di cui parlerò un’altra volta. Il taglio della sfoglia, veniva fatto con uno speciale coltello grosso e lungo, che era legato alla mietitura. Volete sapere il perché? La lama de lu cortellu, pe’ la pasta fina si ricavava da una falce da erba ormai consumata, il manico di legno fatto con la raspa, era lavorato con la battuta di protezione per evitare tagli indesiderati. Erano strumenti spontanei nati da quella sana predisposizione contadina del “riutilizzo fino in fondo”, nulla si buttava… ma torniamo alla pannella!

Fare la sfoglia era un’arte. Quando guardavo mia mamma e mia nonna che la tagliavano con estrema velocità, temevo sempre che ci rimettessero le dita: mai successo… neanche un taglietto! Era quindi un’arte anche il taglio della pannella. Finito il lavoro si riordinavano il tavolo e la cucina; lo scopetto di saggina serviva per spazzolare bene la spianatora togliendo ogni traccia di farina, prima di riporla sulla mattera o contro il muro. Ora che abbiamo ripercorso la storia della Pasta de Lu Molenà, speriamo che almeno nei ristoranti della Terra Elpidiense si ricominci a usare il termine Pasta Molinara.

Alberto Maria Marziali

29 ottobre 2025

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