VIA TROILI

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Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

 

Via Troili
Via Troili

Domenico Troili, figlio del patrizio maceratese, nonché poeta arcadico, Ignazio, nacque a Macerata nel 1722. Iniziò gli studi nel Collegio di San Giovanni poi, nel 1737, si trasferì a Roma dove, nella Compagnia di Gesù, studiò lettere e scienze conseguendo la laurea in fisica. Fu appassionato di storia e filosofia. Nel 1770 venne chiamato a Modena, dove insegnò nella locale Università, dal bibliotecario estense Padre Zaccaria e, in seguito, il Padre Girolamo Tiraboschi, insigne erudito, gli confermò l’incarico e lo volle come collaboratore al “Giornale dei Letterati”. Tornò a Macerata nel 1784 per dirigere la Biblioteca Comunale Mozziana che venne aperta al pubblico con una sua dotta orazione. Come Accademico dei Catenati contestò le dissertazioni di eruditi forestieri e difese le prerogative della sua città natale. Iniziò a scrivere una opera storica su Macerata di cui resta solo una prima dissertazione. Morì nel 1792 e venne sepolto in Cattedrale. Via Troili fin dal ‘700 era la via delle “lavannare” che lavavano i panni dei signori maceratesi. Queste, spingendo a forza di braccia un carretto sulla strada polverosa, andavano in città per prendere e riportare la biancheria: una gran fatica. Ogni casa aveva la sua “fornaciòla” dove le donne scaldavano l’acqua per il bucato e, sul retro, un capanno per gli attrezzi, il carretto e le fascine. La “fornaciòla” era costituita da un muretto circolare di mattoni al cui interno era incassata una caldaia in rame di almeno 120 cm di diametro, sotto ardeva il fuoco che veniva alimentato per una apertura grande come la bocca di un forno. Sul tetto della capanna un foro per l’uscita del fumo. In casa non c’era l’acqua che veniva attinta al pozzo, con la “mbuzzatora”, oppure alle fontanelle.

Via Troili
Via Troili

La viuzza che si snoda tranquilla nel bel mezzo di Villa Potenza e sfocia in via Peranzoni un tempo era detta “la via delle fornaciòle” o “la gabba de Rotacupa”, poi venne chiamata via Troili e alcune donne, maliziose quanto ignoranti, pasticciando sul nome dissero: “Ci-avìamo la nomina… adesso ce l’ha pure scritto!” La struttura delle sue case, gran parte a un piano rialzato, è molto simile a quella del quartiere Ficana ed è un peccato che, prima l’incuria verso queste abitazioni di modestissimo valore, poi la mancanza di una cultura della conservazione abbiano impedito che questa zona giungesse a noi integra. Sarebbe stata una testimonianza del modo di vivere di una categoria di persone modeste ma piene di “allegrezza”. Residui sono verso la fine della via: una casa cadente, in mattoni anneriti dal fumo. Qua e là strutture originali sono deturpate dal cemento ma permettono ancora di osservare scale di accesso esterne (per non rubare spazio interno alle già minime dimensioni) protette e ornate da semplici colonne squadrate e lineari muretti. Rara poesia espressa da un insieme di linee tese, piccole finestre e tetti spioventi che non avrebbe mancato di attirare l’attenzione di fotografi e pittori figurativi. Qui, come a Ficana, avrebbero dovuto esserci anche “atterrati”, le caratteristiche case del territorio maceratese fatte di terra e paglia. Ce n’è una, verso la metà della via, rifatta in modo terribile. In parte franata (cosa non rara per queste costruzioni) è stata rimessa su con laterizi e cemento ma, sul retro, dove l’intonaco ha ceduto risalta ancora il giallo dell’argilla. Oggi le piccole case sono in buona parte abitate, molte hanno un orticello ricco di verdure. La strada è obbligatoriamente senza marciapiede e, ogni tanto, in alto, sui muri c’è una targa in metallo smaltato di blu con su scritto: “Segue la numerazione”, cose di altri tempi. Nelle serate estive c’è ancora la buona abitudine di uscire di casa e di mettersi a chiacchierare lungo la via. Tra una casa e l’altra si scorge il torrione, c’è pure una ciminiera e non ci sono negozi, solo una bottega artigiana, appena una stanza, dove un ciabattino ci ha detto sconsolato: “Oggi i giovani indossano tutti scarpe da tennis… che posso più riparare?”

continua

 

Foto di Cinzia Zanconi

 

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