Il bizantino e il terziere di San Giovanni

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di Modestino Cacciurri

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Nel portico della scuola media di Corridonia, la lastra sepolcrale in greco arcaico datata 1186 del nobile Teostoritto dei Papegomeni, lancia una terribile maledizione a chi violerà il suo sepolcro, raccomandando la sua tomba ai cenobiti ivi dimoranti. Il nobiluomo bizantino era morto casualmente mentre era in viaggio o risiedeva nel comune? Era presente una comunità greca? Nel luglio 1192 Niceforo Papegomeno ambasciatore bizantino, era presso la Signoria di Genova: parenti ed entrambi funzionari imperiali? La lastra, come scrive il Lanzi nel 1792, fu rinvenuta a poca distanza di S. Pietro, ov’è oggidì un Monastero di Sacre Vergini. Si tratta del monastero delle clarisse, ricordato come quello delle monnechétte, fondato si racconta, per volere di Santa Chiara che inviò a Montolmo nel 1244 certo Angelo Bartolati di Spello. Papa Innocenzo IV nel settembre del 1247 emanò da Lione una Breve concedendo indulgenze ai fedeli che avessero visitato e soccorso le religiose. Ovviamente il monastero di Teostoritto non è quello delle clarisse, ma uno precedente maschile, forse cistercense, di cui si è persa ogni memoria. L’insediamento monastico femminile, di molto ampliato nei secoli, è ancora esistente nel terziere di San Giovanni, ricordato come Ex Collegio Lanzi è sede delle Poste, di varie associazioni e di alloggi popolari in costruzione. Le Clarisse abbandonarono il cenobio intorno al 1870, sia per la carenza di vocazioni che per la crociata anticlericale del nuovo Regno d’Italia. Giorgio Rapanelli mi ha raccontato che la sua bisnonna ricordava una giovane vestita da sposa che entrava nel convento per consacrarsi. Quando le clarisse partirono, come mi ha narrato sempre Rapanelli, la sua famiglia che viveva di fronte al convento nell’attuale via Oberdan, per aver aria e luce fece abbattere una parte dell’alto muro che arrivava fino al cornicione della chiesa e proseguiva fino alla Porta del Mulino (Porta Trento), al costo di un fiasco di vino a fila di mattoni. Il complesso divenne proprietà del comune nel 1891 e nel 1915 ospitò i profughi della Prima Guerra Mondiale diventando poi un collegio (Lanzi) di orfani di guerra e lavoratori. Probabilmente fu allora che arrivarono le Suo-re della Riparazione o Pie Signore di Nazareth che restarono fino a dopo il Secondo Conflitto Mondiale. Sempre Rapanelli ricorda le ultime sorelle: la Madre Superiora, suor Benedetta, la giovane suor Tarsilla e suor Bibiana, al secolo Giovanna Paci, che ebbe il fratello Gaetano, detto anche Salvatore, un paracadutista salvatosi ad El Alamein e rifugiato a Corridonia, catturato dai tedeschi mentre passava le linee del fronte sul Chienti. Fu fucilato come spia inglese dopo sommario processo per avergli trovato nello zaino la divisa kaki da parà, nei pressi dell’Abazia di San Claudio. Il parroco don Giovanni Michetti cercò di salvarlo, ma fu allontanato minacciosamente dai tedeschi. Un ricordo indelebile per il bambino Giorgio quello del parà fratello di suor Bibiana che passa lungo via Oberdan e lo saluta sorridendo, e della sorella suora dopo la fucila-zione, mesta e senza lacrime. Per capire l’evoluzione del terziere bisogna però tornare indietro nei secoli. Nel settembre 1193 i fratelli Giroldo, Tebaldo e Carbone, della famiglia dei Nobili di Petriolo, cedono al comune di Montolmo alcuni vassalli di Villa San Giovanni con relative terre. L’antichissima chiesa di San Giovanni Battista, che dava il nome alla Villa o Poggio San Giovanni (esiste ancor oggi l’omonima contrada), si trovava ove ora sorge l’ex mattatoio: passò ai Cavalieri di Malta e fatiscente fu venduta per la costruzione del monastero detto dei Cappuccini Nuovi, così denominato per distinguerlo da un antico convento di cappuccini che sorgeva sul luogo oggi chiamato per l’appunto Cappuccini Vecchi. Il nuovo convento, che è ancora visibile anche se cadente e rimaneggiato, venne aperto nel 1615 dopo la chiusura del vecchio costruito tra il 1542 e il 1545 che ospitò anche San Serafino da Montegranaro. Iniziò così nel 1193 il lungo processo di incastellamento di Villa San Giovanni che ebbe seguito con ulteriori cessioni nel 1200 e nel 1238. Il comune diede alla popolazione annessa il sufficiente spazio per costruire le case intorno al vecchio monastero dei cistercensi. Donar terra per le abitazioni era una consuetudine, come quella di costruire una chiesa intitolata allo stesso santo protettore di origine. In questo caso forse, per risparmiare, si sfruttò la vecchia chiesa del monastero (per qualche motivo abbandonata o ceduta) per intitolarla a San Giovanni Battista. Questo modo di operare faceva sì che i nuovi venuti vivessero “compatti” e mantenessero la loro identità e i loro legami per molto tempo. Per i nobili incastellati invece i privilegi erano molti e commisurati al loro prestigio: oltre al pagamento in denaro per la cessione del feudo, si andava dalla fornitura gratuita di mattoni, calce, legname e prestazioni in natura, a esenzioni fiscali e corvées. Con l’incastellamento nel 1297, Rinalduccio Nobili, di un ramo dei signori di Petriolo, ottenne in Montolmo per la sua famiglia e la piccola corte di vassalli, servi e contadini, tanto spazio quanto quello posseduto nel castello di Petriolo. Il luogo scelto è quello che venne denominato in seguito Rinchiostro (da Inclaustro), un piccolo castello con tanto di due torri, recinto e piazzetta. La posizione del complesso (ovviamente completamente snaturato) compreso tra via Roma, l’inizio di via Garibaldi, via Velluti e una parte di piazza del Popolo, è ancora ben visibile dalle mappe e dalla visione aerea. Nel XII e XIII secolo i nostri territori furono testimoni della lenta ma inesorabile perdita di potere dei nobili che dovettero lasciare spazio ai nascenti comuni e alla loro ricchezza, generata dalla nascente classe borghese.

 

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