Il rosso fiore della violenza – V puntata

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di Matteo Ricucci

 il-cairo

La ragazza soffriva per tutto ciò: in famiglia si chiudeva in un mutismo ostinato e il suo atteggiamento che sfuggiva al padre il quale non aveva né tempo né occhi per sua figlia, non sfuggiva però alla Tata: “Figlia mia, tu sei il mio pulcino. Il tuo viso, il tuo aspetto, le tue parole non sono più quelli di una volta. E’ tutto cambiato in te, sei diventata donna troppo in fretta e ciò non è una buona cosa. I fiori hanno bisogno di tutto il tempo necessario per sbocciare nella pienezza della loro fioritura. Mi sbaglierò, ma non credo, tu sei in preda a una santissima cotta”. – “E se fosse?” – “Niente di male, per carità, ma attenta a non sdrucciolare sulla china dell’amore: è un precipizio senza speranza e senz’appigli e spesso una strada senza ritorno”. – “Sempre catastrofici, voi matusa!” – “Matuchè? Guarda un po’ che si deve sentire dalle bocche di questi lattonzoli cresciuti troppo in fretta. Credete di confonderci con i vostri paroloni? Ce ne vuole, ce ne vuole, bimba mia, per imbrogliare una come me! Intanto ne parlerò con il signor Avvocato che in questa casa è come se non ci fosse: sempre dietro a quella ‘frascarella’ della moglie e non si accorge che la figlia sta per prendere il volo. Ah, io non voglio avere alcuna responsabilità!” – “Tata, che diavolo dici? Ti proibisco di disturbare mio padre con queste tue stupidaggini. E poi se ho un cotta è affare mio e di nessun altro!” Rispose scocciata la ragazza. La Tata am-mutolì e, addolorata e con le lacrime agli occhi, quasi fuggì dalla camera. Angela capì d’esser stata brutale e le corse dietro. “Tata, perdonami, ti prego, non volevo offenderti”. La donna non rispose e s’intestardì a trinciare un cavolo come se fosse stato la testa di un suo mortale nemico. La ragazza era irritata con se stessa per via delle sue isteriche reazioni che avevano investito la persona che più amava al mondo: quella povera donna che, per tutti gli anni della sua vita, le aveva dedicato ogni premura e ogni attenzione. Angela le fece le fusa come una gatta innamorata e alla fine la Tata la perdonò. Il padre comunque rimase all’oscuro di quei sospetti. Angela si guardò bene dal provocare altri incidenti, perché voleva conservarsi la libertà di movimento per perseguire il suo scopo: la conquista del cuore di Alberto.

 

Gli esami di stato

Per Angela i giorni scorrevano velocemente senza che niente di nuovo venisse a rompere la monotonia della sua vita. Alberto sembrava essere assorbito totalmente da quello che era il suo scopo immediato: l’esame di stato. Stranamente la sua attività politica all’interno della scuo-la aveva subito un netto rallentamento, come se l’avesse ormai in uggia. Per chi lo conosceva bene quella sua apatia era solo apparente: evidentemente qualcosa di più importante lo stava interessando e l’esame di stato era soltanto una scusa. Comunque lo superò da par suo, ricevendo gli encomi solenni della commissione esaminatrice, ma la cosa lo lasciò del tutto indifferente. Angela invece fu rimandata in tre materie e il padre non se ne dava pace, perché il fatto avrebbe complicato tutto il suo menage familiare, avendo egli, come ogni anno, organizzato una crociera alle Baleari. Fu deciso, dietro le insistenze di Beatrice, la quale per nulla al mondo avrebbe modificato i suoi progetti estivi, che Angela insieme alla Tata andasse in montagna a preparare gli esami di riparazione. I pensieri della ragazza erano tutti per Alberto: il suo chiodo fisso era potergli parlare dei suoi sentimenti. I desideri non appagati si nutrono di se stessi e ingigantiscono, diventando un tormento insopportabile. Lei passeggiava continuamente nei paraggi della casa del giovane nella speranza d’incontrarlo: si sarebbe accontentata soltanto di questo! Di lui, nemmeno l’ombra! Un giorno decise di andare a trovare Katia per chiederle se conoscesse le ragioni della scomparsa di Alberto, ma la domestica le rispose che la signorina era partita per l’estero. I suoi occhi non avevano abbastanza lacrime per sbrinare il suo dolore. Giunse anche il giorno della partenza del padre e la cosa fu per lei una liberazione, perché la presenza della matrigna che, tutta eccitata dai preparativi, non faceva che ridere, le aveva scosso i nervi. Alla fine si convinse che il modo migliore per impedirsi d’impazzire era quello di buttarsi sui libri anima e corpo. La Tata, poverina, cercava in tutti i modi d’alleviare la sua sofferenza con premure e silenzi. Alberto, per il brillante risultato dei suoi esami, aveva ricevuto come premio dal suo papà due milioni con i quali pagarsi la permanenza in Inghilterra allo scopo di perfezionarsi in quella lingua presso l’Università di Cambridge. Papà Panizza, quando si trattava del suo cucciolo, come lui lo chiamava, non badava a spese. Gli dispiaceva solo il suo sciatto modo di vestire, ma a nulla era valso il recriminare. Alberto partì dallo scalo di S. e non prese l’aereo per Londra ma quello per Il Cairo dove si dissolse nel nulla. Pochi giorni dopo giunse ai genitori una lettera che dal timbro postale risultava spedita da Il Cairo.

(in foto: Il Cairo, moschee)

continua

 

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