I Longobardi, non è più questione di una lunga barba

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di Medardo Arduino

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Questa è davvero la volta della storia dei Longobardi a necessitare di una sostanziosa riscrittura. Ho già pubblicato un paio di “pezzi” su La rucola ridefinendo il ruolo dei Longobardi alla luce della mia ipotesi sull’origine centro italiana dei Franchi. Anche i longobardi nella mia ipotesi possono non essere una popolazione arrivata qui nel VI sec dalle brume del nord, ma un’altra cosa. Soprattutto erano clan di pastori simili a tutti i grandi gruppi di seminomadi della storia e non un popolo sovrano dell’Italia per un paio di secoli. Della lingua dei longobardi, sparita nel X sec. nulla sappiamo, solo congetture e opinioni maturate su “testimonianze” discutibili come le cronache riscritte e adattate “enne volte”. Un documento importantissimo, negletto e contestato: la lastra di copertura del sarcofago di Berterada (la manzoniana Ermengarda) è uno dei pochissimi reperti che ci possono realmente aiutare. Nel “rispolverare” con lui il lavoro che il professor Giovanni Rocchi fece traducendo il testo completo (anche quello che oggi non si legge più) dell’epitaffio funebre, discutendo sulle due lettere scalpellate via dalla parola “langubardorum” concentrando il focus su “bardorum” (scritto certamente da “persona informata sui fatti”) appannandosi il significato collegato alla barba, è emersa dopo l’accurata conferma linguistica del prof. Rocchi, la possibilità che estraggo per l’importante significato dal testo di una sua prossima pubblicazione di cui riporto alcuni stralci: “…Questo soprattutto (ma non solo) a partire dal tempo della presenza nelle Marche e in Italia dei cosiddetti Longobardi: un popolo che sicuramente dobbiamo (e possiamo) conoscere meglio. All’amico Medardo la mia collaborazione da linguista alla sua “ipotesi-certezza” che i Longobardi fossero soprattutto (ma non solo) pastori – e pastori strettamente imparentati e conviventi, forse da millenni, con le stirpi italiche – oggi sono in grado di fornire con tutta sicurezza una risposta affermativa, e non basata solo sulle mie conoscenze, che potrebbero essere (o apparire) alquanto “malferme”, ma sulla scorta di quelle fornitemi, a suo tempo, dal serio e molto attento linguista Giovanni Semerano, di cui cfr., in primis, Vol. I e Vol. II di Dizionari Etimologici, Leo Olschki, Firenze, che reputo essere, specie nelle lingue classiche antiche, fonti di molte e inequivocabili certezze (…) Non si può e non si deve ‘scherzare’ con l’archeologia, con la storia dell’arte, con la storia del territorio. Chi mi conosce bene sa che faccio sul serio, che non scherzo; specie se c’è in ballo la salvaguardia della nostra economia, la salvaguardia dei nostri figli e nipoti, ma soprattutto del nostro sapere maturato in lunghi anni di studio, e non solo da parte mia, personale, ma anche da parte del nostro territorio. Accortamente tirata in causa da Giovanni Semerano, cfr. la radice etimologica di Antico accadico būru nel senso di puledro e, in genere, piccolo di quadrupede; cfr. anche burtu (vitello); bīru (bestiame minuto). Più in particolare e soprattutto cfr. būris, -is = la parte posteriore, curva, dell’antico aratro; per cui cfr. pure Sumerico bùr e anche gu-ur = la curva. Alla luce di quanto illustrato dal Semerano, oggi è facile sostenere (come sosteniamo) che la parola per Longobardo deriva, senza ombra di dubbio, dall’associazione di longus e buris o buridis, con senso non di ‘lunga barba’, bensì di ‘lungo bastone’, anzi di ‘lunga mazza’ (con vistosa terminazione quasi globulare: proprio come la “mazza” o la “verga” tipica, tipicissima, del pastore, che era (e in qualche modo rimane ancora oggi) arma utilissima e, insieme, strumento adattissimo per i popoli transumanti. Lo sapeva bene anche il ‘nostro’ Gabriele D’Annunzio”. La derivazione sopra espressa che fornisce finalmente una spiegazione del nome tribale legato alla “professione” caratterizzante la maggior parte dei longobardi, spiega anche la logica condivisione dell’appellativo, per nulla offensivo o diminutivo della posizione sociale di questi gruppi in seno alla cultura di buona accettazione della convivenza multietnica dei Franchi. Rocchi mi spiega che il dramma Manzoniano non rispecchia la verità storica e occorre ripartire anche dalla grafia con la quale sono state scalpellate le parole della lastra per migliorare la nostra conoscenza a riguardo. Nel rivedere la lastra, che come gran parte dei nostri tesori richiede e merita urgenti cure per la conservazione, Giovanni ha completato anche la lettura dell’epigrafe sul bordo, quella originale, che da chi e per come è stata scritta, offre ulteriori informazioni sulla presenza del primo cristianesimo nella nostra regione.

 

Scritta latina del sarcofago attico di Secondo, figlio di Modesto, oggi reperibile nel Museo Archeologico di Falerone: cfr. la stupefacente “Tomba di Berterada” (moglie longobarda di Carlo Magno, denominata Ermengarda nell’Adelchi di Alessandro Manzoni).Testo epigrafico e traduzione di Giovanni Rocchi:

 

ALumno SECUNDO Filio MODESTI

ALLIA Facto Monumento Fabri ATTICI IIA

FFecerunt ALLII MODI

 

“(Sarcofago realizzato) per l’alunno Secondo, figlio di Modesto. Altre cose, fatto il monumento, fecero i fabbricanti attici: due cose (le due prese, in verità poi disfatte) di unica-inusuale maniera.”

 

 

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