RIONE MARCHE

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Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

 

Rione Marche
Rione Marche

Il Rione Marche è un tipico prodotto della città che si espande verso la campagna. Prima è una periferia dove si rifugiano famiglie di modesto ceto sociale, cresce e si rinnova fino a divenire un quartiere integrato nel tessuto cittadino. Qui è nato e cresciuto Cesare Angeletti, il noto “Cisirino”, che ci racconta scampoli di vita del quartiere degli anni ’50 – ’60, quando c’erano un centinaio di famiglie, la via era imbrecciata, la luce pubblica era costituita da rari pali in legno con un piatto di latta smaltata bianca e lampade da poche watt, tanto che si diceva: “Per vedere se adè accese tocca a fa’ luce con un furminande!” Data l’eterogeneità degli abitanti il rione era chiamato “Shangai”. La casuale dislocazione dei lotti aveva fatto sì che alcuni includessero parte della strada, e venne il giorno in cui i residenti chiesero al Comune di allineare le proprietà, portare più luce e asfalto. Per due anni non ci fu risposta. Due dirimpettai, con il consenso di tutti, decisero di recintare la loro proprietà che comprendeva anche la strada, lasciando solo una piccola servitù per il passaggio delle persone. Il negozio di alimentari di Nino non poteva essere più raggiunto dai fornitori, i fratelli Pelagagge, camionisti, non potevano più transitare e le proteste fioccarono in Questura e Comune. Il Questore inviò una camionetta con 4 agenti che aprirono un varco ma, privi di mandato, furono costretti a rimettere tutto a posto! Il Comune promise il riordino in 15 giorni e il “blocco” finì. Nulla accadde, dopo un mese la via fu chiusa di nuovo e apparve un lenzuolo con su scritto “RAS”, Repubblica Autonoma Shangai. Il Comune capitolò e i frontisti smontarono tutto solo quando l’asfalto arrivò da loro! Negli anni ’70 si volle realizzare una edicola alla Madonna nell’angolo dov’è oggi, allora abbandonato. Il “no!” del Comune fu perentorio perché la piccola area era destinata a… “fumosi progetti”. Lavorando sodo di sabato e domenica l’edicola fu eretta e accolse la statua della Madonna. Il lunedì un incaricato del Comune la dichiarò abusiva: “C’è da buttarla giù.” Rispose la gente: “Buttatela giù voi!” e la Madonnina sta ancora là. In quel periodo il traffico non era incessante come oggi, le auto erano ancora poche, specie nei quartieri di periferia e i ragazzi, raggruppati in bande, si muovevano in sicurezza sul proprio territorio sconfinando nelle zone altrui. In questo modo “scoppiavano le guerre”, l’ennesimo gioco di società per chi non aveva ancora gli svaghi dell’informatica. C’era da costruire una capanna? Servivano delle reti da rivestire di canne e fogliame. Allora si faceva una incursione nel quartiere dei salesiani, dove i ragazzi appartenevano a famiglie più agiate e avevano tutto, e si “frecavano” le reti prendendosi anche “a mattonate”.

Rione Marche, veduta del centro storico
Rione Marche, veduta del centro storico

Naturalmente quelli di Rione Marche subivano le razzìe della banda del “Palazzaccio” che aveva meno di loro. Una volta vollero fare una spedizione più lontano andando a mettere il naso in zona Fosse (Borgo San Giuliano): un guaio! I “fossaroli” erano agguerritissimi e fu una disfatta totale. Queste “guerre” furono magistralmente descritte dal poeta dialettale Mario Affede in “La guéra de l’Africa Orientale ghjò le Fosse”. Quando via Marche era il “corso imbrecciato” del rione (una stradina che serpeggiava tra modestissime abitazioni) aveva una prerogativa: era molto frequentata, specie nel periodo che va da aprile a settembre. Come poteva accadere essendo la zona scarsamente popolosa? Questa frequentazione era solamente di passaggio e del tutto particolare. Non era una folla ma erano semplici coppiette che, mano nella mano e guardandosi negli occhi, fuggivano la città invadente e poco intima per trovare un momento di tranquillità in campagna. Il viottolo portava a Fonte Canapina e, man mano che si inoltrava in campagna, a destra e a sinistra era ricco di canneti. In queste vere e proprie “alcove vegetali” gli innamorati si chiudevano in… “camporella”.

continua

 

Foto di Cinzia Zanconi

 

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