BORGO SAN GIULIANO

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Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

Borgo San Giuliano
Borgo San Giuliano

 

Fuori Porta San Giuliano si gode lo spettacolo offerto da Borgo San Giuliano: lungo l’erta, ornata da alberelli, salgono piccole dimore i cui tetti si alternano in ondate di poesia e, lontano, le colline maceratesi degradano dolci verso il mare. Una piccola borgata antica. All’inizio della via, sotto la mole protettiva del duomo, di fianco al vicolo Primo, è nato il professor Dante Cecchi, un “fossaracciu” (così, con affetto, lo chiamava la madre “casettara” mentre il padre era di S. Croce), un maceratese illustre, un mite uomo di cultura che ci racconta scampoli di vita del borgo, detto anche “le Fosse”. Quando era bambino le case erano disposte solo su due file e la via era abitata da famiglie di modestissime condizioni economiche. La metà degli abitanti lavorava nelle fabbriche di chiodi e bollette, gli altri erano ortolani nella campagna circostante. Il vero tesoro di queste persone erano i figli, tanti, che riempivano di giochi e gioia il borgo. Una coppia, avendo già generato sei figlie ebbe una nuova nata, la settima femmina che chiamarono “Finìmola”, evidente segnale che era giunta l’ora di starci più attenti. Arrivò anche l’ottava! Con santa pazienza la battezzarono: “Tenèssela” perché allora, rimarca Dante, c’era l’usanza di non buttare i figli ma di accettarli sempre. Il gioco preferito dai bimbi era il nascondino poi, appena stanchi, trovato un cantuccio tranquillo, sedevano in terra e ascoltavano rapiti le fiabe che raccontava loro Dante piccoletto. Queste avevano una particolarità, finivano sempre con una mamma che non muore… A settembre, lungo il borgo saliva la “processione” della vendemmia: file di “birocci”, carichi di casse d’uva, trainati da due buoi perché uno, da solo, non ce l’avrebbe fatta. I carri salivano lenti e i ragazzini, cercando di afferrare qualche grappolo tra una cassa e l’altra, avevano sviluppato una tattica. Prima attaccavano a sinistra così che il “cocchiere”, con la lunga frusta, dirigeva la sua attenzione e gli schiocchi da quella parte; appena si girava loro scappavano e il resto della “banda” si faceva sotto dall’altra parte… e così di seguito fino in cima alla salita: la tattica di assalto ai convogli militari terrestri è stata inventata “jò ppe’ le Fosse”!

Borgo San Giuliano
Borgo San Giuliano

In borgo San Giuliano, nel ‘900, è vissuto un tipo caratteristico: “Cirivacco” o “Cirivacco de la pasquella”. Uomo intelligente e padre di un nugolo di figli, realtà, questa, consueta per una epoca priva di televisori… era un antesignano della raccolta differenziata. Faceva infatti lo stracciarolo e al grido di: “Stracci donne!” rendeva felici le casalinghe che smaltivano gratis gli stracci e i ferri vecchi di casa. Così manteneva la famiglia e tutti (sissignore, “tutti”) i pomeriggi andava al cinema. Suonava la chitarra, “l’urghinittu” e quando passava era festa per i ragazzini; a Natale, vestito multicolore, con amici andava per Macerata a cantare “la pasquella”. Nel carnevale del ‘35/’36, con lenzuola rattoppate ma pulitissime, mascherò i figli da abissini e scurendoli con una tintura fatta in casa con olio d’oliva e carta bruciata. Vinse un premio come miglior gruppo! Nel 1982 si presentò alla sfilata della corsa delle papere riservata ai bimbi vestito, a 70 anni, con “carze corte” e fiasco di vino rosso in mano. Per anni Borgo San Giuliano è stato il “polo industriale” di Macerata. Rinomati erano i chiodi che, qui prodotti, raggiungevano tutta l’Italia centrale. Non capannoni sormontati da alte ciminiere bensì minuscole botteghe artigiane ricavate al piano terra di modeste abitazioni dotate di un comignolo. Su per l’erta c’erano fucine fumigate dove lavoravano uomini a torso nudo, neri di fumo: “li vollettà”. Fabbricanti di chiodi e bollette di ogni misura che venivano rigorosamente (per forza perché non c’erano altre tecnologie) realizzati a mano. Il borgo risuonava per tutta la giornata di un martellamento incessante e continuo che, a volte, nella forgiatura di grandi chiodi, si faceva alternato: erano in due a dare colpi di martello, ritmicamente, ora uno, dopo l’altro.

continua

 

foto di Cinzia Zanconi

 

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