Ab urbe condita, parte seconda

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Siamo a Roma, VII secolo aC. La scelta del luogo è stata fatta e già si realizzano le prime dimore provvisorie, i magazzini e gli opifici. Gli abitanti del primitivo oppidum non avranno protestato per l’opportunità di entrare nella nuova società in formazione e da subito fornire le vettovaglie ai nuovi arrivati. È ora di fare delle solide mura per proteggere i magazzini e questa opportunità di lavoro ben remunerato richiama molti giovani, che quasi subito vorranno moglie e andranno a prendersela nei villaggi viciniori. Anche agli abitanti dell’hinterland della nuova città, chiamati a fornire cibo e servizi primari, questa presenza non spiace, anzi l’indotto diventa sempre maggiore e ci sono occasioni di lavoro qualificato negli opifici e al porto, quindi disponibilità economica maggiore della semplice economia a ciclo chiuso. Ad averne i maggiori benefici sono i capi clan o Re: si ritrovano le capanne piene di begli oggetti e le mogli ingioiellate. La ricchezza non è mai abbastanza e qualche Re(uccio) alza i prezzi delle forniture e minaccia la chiusura dei rifornimenti. Un esercito ben armato, efficiente e ben remunerato riduce a più miti consigli i riottosi. Roma inizia la sua lunga stagione di conquiste militari per il primato commerciale proprio dalle terre più vicine che sono il suo bacino iniziale di prelievo dei beni primari. La storia si snoda in mille rivoli di leggende, ma alla fine la sintesi è che l’Urbe ha esteso flessibilmente il  proprio controllo su  tutte le attività economiche dell’Italia centro settentrionale, combattendo contro tutti tranne che contro i Piceni. Solo quando anche le province centro adriatiche diventano ostacolo allo sviluppo di Roma, come in tutti i condomìni che si rispettino ci saranno prima discussioni poi botte da orbi. Non è un caso che in una delle leggendarie battaglie, quella del Sentino, i guerrieri si scontrino dopo un terremoto, questo dei terremoti è un problema sempre vivo. I nomi etruschi e piceni dei leggendari sette Re forse vogliono proprio ricordare questi contributi alla realizzazione della città eterna. Così la storia fila liscia e già si vede all’orizzonte il grande triumvirato, ma è una storia vacua, non dissimile dalle altre se non per la mancanza di aneddoti sui personaggi leggendari e di date su date di battaglie. Mancano in tutte queste storie,  quantomeno per quanto ho potuto ricercare, i presupposti concreti che le rendono verosimili: la mia come le altre storie fin qui arrivate non ha dato un volto concreto a tre vocaboli: produzione primaria, beni strumentali e di consumo, scambi commerciali. Se non si convertiranno in cose tangibili queste tre parole, le storie rimarranno come molti discorsi dei nostri politici: astratte. Siccome lo scambio fra produttori di beni primari non produce significativo plusvalore, è solo nella ricerca delle attività del settore secondario (oggi lo chiamiamo “industriale”) che si potrà stabilire quali fossero i prodotti il cui valore aggiunto determinò ricchezza e fu il motore delle economie di scambio ovvero del commercio. Lo sviluppo sistematico della conquista militare per lo sfruttamento “coloniale” del mondo è fase successiva, consentita dalle risorse della precedente. I reperti archeologici che ho potuto verificare mi suggeriscono che la fonte principale di ricchezza, prima di e poi con Roma, sia da ricercare nelle tecnologie di lavorazione dei metalli e del loro utilizzo per la produzione di beni strumentali e di consumo. Le forme apparentemente più antiche di queste attività le vedo nelle aree dell’Italia centro orientale, collegate alla filiera di estrazione e trasformazione del minerale di ferro. Il tema è affascinante e le possibilità offerte dalle indagini archeometriche e tecnologiche in generale dovrebbero essere sfruttate per una meno opinabile storia dei nostri progenitori.

Medardo Arduino

9 febbraio 2016 

 

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