Pistolettate, mitragliate e zampilli fuori misura

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“25 anni di teatro con il Gad Calabresi, con la regia di Angelo Perugini, poi di Ugo Giannangeli, mi hanno arricchito di esperienza e bei ricordi. Ho deciso di scrivere i più simpatici e divertenti. Riviverli è per me un gran piacere, mi auguro lo sia anche per voi”.             

Cesare

I ricordi di Cisirino vanno agli anni ’60, quando al Teatro dei Salesiani recitavano Silvio Spaccesi e Franco Graziosi, a quel tempo ancora sconosciuti. Le commedie a tinte fosche si succedevano con frequenza, ben recitate da un gruppo di attori bravi e appassionati. Succedeva, a volte, che un qualsiasi, banale, inconveniente trasformava il dramma in farsa con gran rammarico dei protagonisti. Alla fine della commedia “Chi uccise il banchiere Morris” il protagonista, estratta la pistola, avrebbe dovuto sparare al banchiere che stava seduto dietro la scrivania del suo studio. L’arma, ovviamente caricata a salve, era stata predisposta e provata in precedenza ma, al momento dell’uso in scena, per tre volte fece cilecca! Franco Graziosi, che interpretava la parte del protagonista, ebbe la prontezza di spirito di gettare la pistola fuori dalla scena gridando: “Non con il fuoco ma con il ferro morirai!” ed estratto un pugnale, si accinse a colpire con questo. Il tecnico che aveva preparato la pistola, intanto, recuperata l’arma provò a vedere la causa del malfunzionamento e, proprio nel momento in cui Franco pugnalava il banchiere, fece partire un colpo dalla pistola che, fuori scena, funzionò perfettamente. La tragedia divenne una farsa con il pubblico che passò dalla tensione creata dal dramma a una sonora risata. Il lavoro di preparazione di tre mesi andò in fumo in un secondo…  Altra commedia, altro dramma: “Un uomo ritorna”. Qui era descritto un momento difficile dell’ultima guerra, che si concludeva con la fucilazione della spia che aveva tradito i compagni. Tutto venne preparato con cura ma il complicato era rendere reale la scena della fucilazione, problematico farla sul palcoscenico sia tecnicamente ma anche perché troppo forte per il pubblico. Qualcuno propose: “Lo facciamo portare fuori scena da due soldati per poi far sentire la scarica che lo uccide”.  Tutti d’accordo ma… e la raffica? Lo stesso che aveva avanzato la proposta continuò: “Conosco il comandante della Polizia Stradale che è una persona veramente squisita, parlerò con lui e vedremo cosa si potrà  fare”.  La  sera  successiva rassicurò tutti: “A posto per la raffica; ho spiegato tutto al comandante e mi ha detto che ci penserà lui!” Infatti la sera della rappresentazione il graduato si mise vicino alla finestra con, accanto a sé, un borsone: “Avvisatemi cinque minuti prima, poi ditemi  quando sarà il  momento che farò ciò che servirà”. Alla fine della tragedia il soldato, urlante perché non vuole morire, venne portato fuori scena e il comandante fece partire dal mitra, caricato a salve e puntato fuori dalla finestra, una scarica di trenta colpi. Tutti, attori e pubblico, rimasero come inchiodati, immobili, e solo dopo molti secondi scoppiò un immenso e scrosciante applauso liberatorio. L’imprevisto, brillantemente risolto, dette un tocco di veridicità alla scena finale della commedia e la cosa si ripeté a ognuna delle repliche, sempre gremite di pubblico il quale, evidentemente, sperava che alla fine del bello spettacolo si rinnovasse quell’effetto speciale: non era facile a quei tempi sentire il brivido di una scarica di mitra vera. Ancora al teatro dei Salesiani, altra commedia in scena unica, che si svolgeva in un giardino. Il regista e gli scenografi pensavano di mettere al centro del palco una fontana vera, collegata con un tubo passante sotto il pavimento, il cui tavolato era stato forato, a una presa di acqua in modo che la fontanella zampillasse allegramente. Il primo a “zampillare” improperi fu il direttore quando si accorse che era stato forato il palcoscenico, poi tranquillizzato dallo scenografo: “Con un po’ di stucco e un tassello preciso, il buco sparirà!” Tutto venne ben bene sistemato, compreso il getto della fontanina in modo che l’acqua sarebbe scesa nella vasca sottostante. Quando mancavano poche battute alla fine del primo atto, il tecnico di scena (personaggio famoso a Macerata per la sua bravura come ebanista ma anche per la sua devozione al dio Bacco…) si accorse che lo zampillo stava perdendo vigore per cui aprì il rubinetto collegato al tubo: il getto d’acqua arrivò fino alla seconda fila della platea. Il povero Angelo Perugini, attore bravissimo e regista di fama, che era in scena, ebbe la prontezza di riflessi di mettersi davanti alla fontana e, aperto il mantello che indossava, disse le ultime battute con l’acqua che gli scolava dalle gambe come se… se la fosse fatta sotto! Il fragore delle risate fu subito seguito dallo scroscio degli applausi, rivolto sì alla sua bravura ma anche alla sua presenza di spirito.                                                                 

continua

 

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