Avrei dovuto rapire Menghistu

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Un sabato pomeriggio passeggiando per Macerata ho incontrato Tullio Moneta e Giorgio Rapanelli. Avevo letto il bel libro di Giorgio “Mercenario”, e la vita avventurosa del maggiore Moneta mi aveva molto colpito, tant’è che trovarmelo davanti all’improvviso mi ha emozionato. Sarebbe davvero lungo raccontare le vicende di Tullio Moneta e ciò che mi preoccupa principalmente è il rischio di svilirle e di non rendere appieno il suo vero animo. Molto spesso i protagonisti dei libri sembrano figure di fantasia che vivono solamente tra le righe delle pagine, come del resto le loro azioni e il loro animo. I mercenari che hanno, come il maggiore Moneta, combattuto in Congo negli anni ‘60, sono stati oggetto di una pesante campagna denigratoria da parte della Sinistra che li etichettava demagogicamente come strumento dell’Occidente capitalistico. Per ristabilire la verità storica o, come dice Moneta, “restituire la verità negata”, occorre precisare che in Africa, in piena “Guerra fredda”, si stavano affrontando il blocco “Occidentale democratico” contro quello “Orientale comunista”, e che gli italiani che partirono a combattere come Tullio, molto spesso non lo fecero per soldi ma per spirito di avventura o per inseguire un ideale. I “terzo-mondisti in salsa italica”, come li potrebbe definire Sartori, hanno creato per le vicende del Congo una “Storia” univoca, dove i “cattivi” sono i mercenari e i “buoni” i Simba, i combattenti comunisti appoggiati e addestrati da maoisti, cubani e sovietici; del resto lo stesso Che Guevara era stato in Congo per addestrare e indottrinare le milizie. Tullio Moneta nasce nel 1937 a Rijeka vicino Fiume e si trasferisce a Macerata a 11 anni. Nel 1961 è a Milano per lavoro, quindi per una società francese in Sierra Leone. Dopo una breve esperienza sportiva negli U.S.A., casualmente nel 1964 incontra il colonnello irlandese Mike Hoare, uomo colto e raffinato, che lo farà entrare nel “5° Commando”; bandiera del corpo era la “Wild Geese”, “L’oca selvaggia” simbolo dei soldati di ventura irlandesi del XVIII secolo. Il famoso film “I quattro dell’Oca selvaggia” (1978) con Richard Burton, Roger Moore e Richard Harris, si è ispirato proprio al 5° Commando e lo stesso Moneta ne ha curato la consulenza militare insieme con il colonnello Hoare. Il 5° Commando “anglosassone” di 250 uomini combattenti faceva parte, insieme con il 6° Commando “latino” di Bob Denard con altri 250 combattenti, di una coalizione dell’O.N.U. ed erano le uniche forze in campo per cercare di contrastare le feroci azioni del governo illegittimo dei Simba, forte di 20 mila uomini, contro la popolazione  indigena e bianca. Infatti erano spesso i congolesi di colore a chiedere l’intervento del 5° Commando e non solo bianchi e missionari vittime della violenza degli indottrinati Simba. Un altro punto molto importante da precisare è che le truppe mercenarie combattenti in Congo erano comandate da ufficiali britannici, rodesiani e sudafricani: vigeva quindi una dura disciplina militare e azioni contro la popolazione inerme, saccheggi e violenze, se commesse, sarebbero state prontamente e duramente  punite.  Niente a  che vedere  con  l’immagine che hanno voluto dare di questi combattenti come emuli di feroci mercenari medioevali. Abbandonato il Congo nel 1967 dopo la revoca del suo mandato da parte del governo congolese, il maggiore Moneta si dedica ad azioni di intelligence, con una parentesi nel mondo del cinema. Nel 1982 insieme al suo amico colonnello Hoare partecipa al famoso tentativo di colpo di stato delle Seychelles per spodestare il governo illegittimo filosovietico. Una operazione da vero film d’azione che niente ha da invidiare alle gesta delle più appassionanti pellicole di Hollywood. Fallito il golpe a causa del “tradimento” delle stesse nazioni occidentali che lo avevano organizzato, l’azione si risolve con una rocambolesca fuga verso il Sudafrica su di un aereo indiano “dirottato” con uno stile da veri gentleman inglesi, dopo che il gruppo si era asserragliato nell’aeroporto della capitale, resistendo alle truppe delle Seychelles dotate di autoblindo. Il maggiore Moneta mi ha permesso di “rivelare” sulle pagine de La rucola una vicenda mai raccontata prima. Si tratta del mancato rapimento dell’ex-dittatore dell’Etiopia, Menghistu, detto “il terrore rosso” per le stragi commesse, che era riparato nello Zimbabwe, ospite dell’amico presidente Mugabe. Menghistu viveva in un villino sul lago Kariba. Per Tullio Moneta, catturarlo con un commando di soli cinque uomini, dopo aver neutralizzato gli uomini di guardia, e trasportarlo oltre i confini dello Zimbabwe e quindi in Etiopia, sarebbe stato un gioco facile. Purtroppo venne un contrordine dei “servizi” occidentali che avevano ordinato la cattura, e Menghistu vive ancora in libertà. Voglio concludere con un passo di Tullio Moneta tratto dal libro “Mercenario”: “Per quale motivo ho fatto il mercenario? Non per denaro perché guadagnavo bene in un posto di responsabilità in Sierra Leone… È stato il mio destino a portarmi in Congo, addestrarmi militarmente con i parà belgi per assecondare il mio spirito di avventura? Poi, iniziai a combattere con i mercenari. Li definisco così, e in tal maniera mi autodefinisco, solo perché è la definizione comune che ci danno giornalisti e storici, e che la gente conosce”

 

 

 

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