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Lu rsumiju

A Montolmo c’erano buoni fotografi ma molta gente, perché indigente o avara, si rivolgeva a Cardillì, che era un fotròfugu scarzacà ma pper gnènde caristusu (fotografo inesperto ma non caro). A Cardillì si rivolse un contadino al quale era morto il padre proprio in quella stessa mattina. Dal momento che il defunto, da vivo, si era sempre rifiutato di farsi fotografare, perché terrorizzato dalla superstizione che dice: “Lu ‘écchju che se fa lu rsumìju chiama la morte” (il vecchio che si fa la foto si augura la morte), quel figlio disse al fotografo che avrebbe voluto lu rsumìju del padre almeno da morto per metterlo sulla lapide al cimitero. Cardillì, con un ragazzotto suo aiutante e con la pesante attrezzatura, andò dal contadino e, senza tanto riguardo per il dolore dei parenti, armeggiò e piazzò la macchina sopra un tavolo, accanto al letto del defunto per poterlo riprendere. Impressionò un paio di lastre. Avvenne che una delle due lastre prese luce: addio immagine! E l’altra? Beh, nell’altra il morto non c’era perché Cardillì non ge l’ìa ‘cchjappatu quanno je la fece! Rischiava di rimetterci non solo il guadagno e la merenda che avrebbe potuto scroccare al momento della consegna, ma anche la reputazione che riteneva di avere. Pensa che ti ripensa a come ovviare all’inconveniente, andò al ricovero a trovare un vecchio che aveva una vaga somiglianza con il morto e rifece le foto con costui steso sul letto, come fosse morto. Organizzò e montò la scena il più possibile simile a quella che ricordava e procedette a fare altre due lastre. Queste vennero così così… erano provvidenzialmente sfuocate e Cardillì pensò, per ingannare il cliente, di consegnarle di sera, perché alla fioca luce delle lume (lumini a olio) il trucco non si sarebbe scoperto. Si reca a casa del contadino e mostra li rsumìji lì, in cucina, poggiandoli sopra la madia. Il contadino appare soddisfatto ma il figlio di questi, un ragazzo sui dieci anni, le rigira e dice: “Ma vabbu, quistu mica adè nònnu!” (Ma babbo, questo non è nonno!) Cardillì si vide morto ma ebbe la presenza di spirito di reagire subito e con indifferenza: “Come non è nònnitu, nì? Adè nònnitu scì, ma quanno che le perso’ adè mmòrte, càmmia sembre de fisiulumìa, no’ lo sai? E ppo’ li rsumìji mica vène pòrbjo pricisi…”. (Come non è tuo nonno, piccolo? È tuo nonno sì, ma quando le persone sono morte cambiano sempre di fisionomia, non lo sai? E poi i ritratti fotografici mica vengono proprio precisi…) Ma il ragazzo fece osservare: “Lu léttu, però, mica cammia. Comme adè che a mme me pare ‘n’atru?” (Il letto però mica cambia. Come è che a me sembra un altro?) A questo punto, per fortuna di Cardillì, il padre scansò il ragazzo dicendo: “No’ lo saccio come ci scì scappatu ccuscindra saputu e ficcafròsce: stai sèmbre su lo ménzo come miccurdì! Lassa sta’ ‘ssi rsumìji, che li sciupi. E ci-àbbi respèttu de nònnutu!” Cardillì venne invitato a magnà’ checcosétta e a bbée (a mangiare qual cosina e a bere), e dopo aver riscosso il prezzo pattuito se ne tornò a casa sua tutto felice. Raccontò per anni questa sua disavventura, vantandosi di aver escogitato la penzata più intelligente che avesse mai avuto durante la sua vita e di aver fatto, nel contempo, le fotografie più belle di tutta la sua carriera.    

26 luglio 2016

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