Macerata, Sancta Maris Stella, una chiesa che non c’è (più)

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La domanda è ovvia: “Dove stava?” Le risposte possono essere di diverso tenore. Una, quasi sibillina e, naturalmente, arcaica è: “Lungo la corta di Tolentino”, immediatamente a valle dell’alberata di Costa. Altra risposta, più moderna: “In via Mameli (già via dei Balilla di epoca littoria), quasi di fronte alla palestra del Convitto che risale al 1880.” Ce n’è anche una alla maceratese: “Jó ppe’ Sanda Marì’ Stella”. La prima memoria si ha dal catasto rustico del 1594 quando è segnata come proprietà della Confraternita del Sacramento che, ogni primo luglio,  vi si recava in processione con la ovvia conclusione di una massiccia merenda. Era quasi una edicola fino a quando, nel 1613, la nobile famiglia Compagnoni “delle stelle” ne prese la cura e, grazie all’intervento anche finanziario dei fratelli Sforza (Giovanni e Angelo, figli di Piertommaso), la ampliò. I lavori terminarono nel 1616 e il Cardinale Felice Centini, vescovo diocesano, la benedisse. E chissà se l’immagine della Madonna sia stata dipinta da Sforza Compagnoni, quotatissimo pittore. Purtroppo andò dispersa forse quando, nel 1668, l’altro nobile maceratese, Felice Capotosti, fece ornare l’interno con stucchi e pitture. La famiglia vi faceva celebrare tre Messe ogni settimana. Più tardi Felice Antolini scelse la chiesetta come luogo di sepoltura per la sua famiglia. La costruzione subì danni durante la prima invasione francese del 1796-99 quando gli insorgenti attaccarono la collina di Santa Croce ove stanziava una batteria di cannoni francesi. Forse allora scomparve l’immagine principale. Con la restaurazione, nel 1814, la chiesa fruì di un buon restauro ricordato da una iscrizione lapidaria: “Ave Mater Puritatis. MDCCCXIV”. Forse in questo periodo già vigeva la tradizione per cui li vasci scròccheno, tantochè ai nostri tempi, di una giovane coppia che si appartava, si diceva: “È gghjti gghjó pe’ Sanda Marì’ Stella…”. Venne fondata, allora, la Confraternita della Purità a cura della quale il maceratese Giuseppe Triccoli incise una stampa, che venne diffusa in città, con l’immagine di una Madonna proveniente, forse, dalla vicina chiesetta sconsacrata di Santa Maria in Torresana, chiusa nel 1810. Nel 1848, durante gli sconcerti della Repubblica Romana, il pittore neoclassico conte Filippo Spada-Lavinj restaurò l’immagine. La zona cominciava lentamente a popolarsi. Sorsero le villette Paoletti, Monachesi, Tomassetti… Un grosso incremento si ebbe negli anni ’30 con la costruzione del “Palazzetto dei postali”. In quel periodo i ragazzini venivano raccolti nella celebrazione del “mese di maggio”. Erano fanciulli e fanciulle che durante i sermoni (a volte un po’ lunghetti) si occhieggiavano organizzandosi, poi, per dopo la (diciamo) “fine mese” onde ritrovarsi lungo lo stradone di villa Monachesi o dietro la palestra, mentre i più ardimentosi raggiungevano la “fonte di Santa Maria Maddalena” (dedicazione un po’ ambigua). Qui, nel 1926, con aria di cospiratori o, meglio, di cospiratrici si riunivano alcune giovinette che, sotto la guida di don Pippo Piccinini, costituirono l’Opera Pia “Mater Misericordiae” che si sparse un po’ in tutto il mondo. Ma, oggi, chi se ne ricorda? Nel 1929 la Confraternita fu trasferita nella chiesa dell’Immacolata. Il “mese di maggio” non attirò più gruppi giovanili.  La costruzione rapidamente decadde tanto che, nel 1952, la Curia vescovile la vendette a privati, fautori del cemento redditizio (ndr: inestinguibile razza maceratese). Fortunosamente l’immagine della Madonna raggiunse la nuova chiesa della “Gran Madre di Dio” ove si conserva. Sic transit…

25 gennaio 2017

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