Nazionalizzazioni letterarie d’oltralpe

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Approssimandosi le festività Natalizie e di fine anno, lascio perdere per un momento i fatti seriosi della storia farloccata e dei suoi farloccatori, tanto qualsiasi evidenza delle manipolazioni di fatti e luoghi della storia altomedievale non viene minimamente presa in considerazione, neppure per contestare il contestatore. Vi voglio invece accennare a un paio di personaggi che non hanno compiuto gesta mirabolanti, ma hanno speso la loro esistenza per intrattenere le corti europee nel tardo XII secolo, proseguendo, credo, una consuetudine preesistente da lungo tempo e proseguita con modiche evoluzioni fino al nostro rinascimento. Il primo è Raimbaldo della Vaccheria  (è inveterata abitudine dei Francesi “nazionalizzare” i nomi dei personaggi, nessuno escluso, e io li rimetto a posto).  Raimbaldo è un poeta piemontese, ma per trovarlo su Internet cercate Raimbauld de Vaqueyras. È la solita storia: da www.sapere.it/enciclopedia/Raimbaud+de+Vaqueiras.html “(Rambaldo di Vaqueiras), trovatore provenzale (Vaqueiras, Valchiusa, ca. 1155- in Oriente forse 1207). Giullare di povere origini, passò in Italia poco dopo il 1180 e si pose al servizio di Bonifacio I di Monferrato”. Come tutti i personaggi dei quali non valeva la pena di fare carte farlocche, di Raimbaldo si sa solo quanto è stato scritto nella sua “vida”oggi diremmo la sintesi biografica che precedeva una raccolta tarda delle sue canzoni. La sua vida è scritta in puro pinerolese, non già in provenzale e da quella si sa che nacque da un povero cavaliere di Provenza di nome Pietro (Peru), da tutti ritenuto un poco matto, ciò avvenne verso la prima metà del 1100. Questo poeta trovatore è però classificato fra gli autori francesi, tantoché il commentatore della nota sopracitata scrive, in spregio alla geografia storica, che passò in Italia quando a quella data né geograficamente né politicamente esisteva un territorio considerabile Italia, tantomeno un territorio considerabile Francia. Guarda caso, la Provenza e l’attuale Piemonte erano parte del Sacro Romano Impero Germanico (quello di Barbarossa), anche se solo nominalmente e che fu Camillo Benso conte di Cavour a scambiare con l’imperatore francese la residua parte Piemontese della Provenza transalpina per l’appoggio militare, ma questo circa due secoli fa. Al tempo di Raimbaldo in piena età feudale, lì comandavano i marchesi di Monferrato e i loro feudatari, anche se c’erano un paio di principati con maggior autonomia. Uno di questi, quello di Aurenga (Valchiusa, Vaucluse) era tenuto dai Del Balzo, discendenti da una antichissima famiglia patrizia di origine marchigiana (guarda caso). Il nome dei Del Balzo d’Aurenga, scritto e detto in piemontese ovvero in provenzale Dal Baus d’Aurenga fu “francesizzato” in Du Baux d’Aurange, alla metà del 1700 i Du Baux d’Orange lasciarono le loro terre ai francesi per diventare la casa regnante olandese. Quindi per storia politica e non per opinioni degli storiografi la Provenza transalpina è Francia solo molto recentemente, ma tutti fanno finta di averlo dimenticato, e Raimbaldo, essendo un provenzale, diventa automaticamente un francese, come se Toro Seduto fosse da sempre uno statunitense! La questione non è di geografia politica bensì di cultura popolare d’origine Italica: dopo aver servito i d’Aurenga, Raimbaldo passa alla corte più importante della regione, quella di Bonifacio di Monferrato, che seguirà per il resto della sua vita. Raimbaldo è noto per essere considerato l’inventore della Stampida (forse, meglio, l’autore della più celebre di queste canzoni) che si intitola Kalendimaia, ovvero Calendimaggio, una festa tanto marchigiana (piantar  maggio) quanto toscana-ligure e piemontese aldiquà e aldilà delle Alpi Marittime. Se cercherete il componimento su internet troverete Kalenda Maya, ma sulla copia pergamenacea più antica conservata a Parigi è scritto Kalendimaia. A proposito di Stampida (chiamarla Estampie è solo snob) si legge sull’enciclopedia della musica e lo riportano alcuni storici del ramo, che Raimbaldo udì suonare il frizzante ritornello da due “jonglar de fransa” (oggi diremmo stornellatori), ma di nuovo ritorniamo daccapo, non erano musicanti dell’Île de France, bensì di questa nostra Francia Picena, visto che Raimbaldo nella attuale Francia nordorientale mai ci è andato, mentre i contatti fra i Monferrato, (nobiltà la cui origine è legata a Lotario e Berta di Toscana) portano a ipotizzare con alto margine di correttezza che alla corte di Bonifacio si parlasse un volgare molto simile al toscano. Lo sostengo perché nel “discordo” dal titolo “quan vej verdejar”(quando vedo la terra ricoprirsi di verde) la seconda strofa è scritta in un bellissimo “italiano”che il poeta dice essere la lingua dei Di Monferrato. Il compianto Vincenzo Eugeni, treiese, mi cercò quattro anni fa per raccontarmi che i suoi nonni usavano ancora “canzonare”i fidanzatini facendo loro “la stampida”, un ritornello scherzoso e allegro. Erano contadini nostrani e non dico altro. Ma cosa ha scritto Raimbaldo in Kalendimaia è ancora più stupefacente: scrive sì nella lingua locale, (abbiamo solo quella versione conservata dai francesi) ma scrive per la sua amata Beatrice, sorella di Bonifacio I. In alcuni versi sul finale di Kalendimaia, Raimbaldo si esprime con alcuni versi che riporto liberamente tradotti dall’antico basso piemontese. “Voi siete la fonte di graziose gesta; / avete sapienza, / grazia / conoscenza e / virtù /     Impossibili da contraddire / voi siete vestita di benevolenza. / Mia graziosa signora ognuno loda e proclama / la vostra virtù, che da piacere [all’anima]/ e colui che lo dimentica dà poco valore alla vita / e così io vi adoro, distinta signora….(www.uciimtorino.it). Se il sonetto fosse un dolce o un manicaretto potrei dire di sapere dove padre Dante ha trovato la ricetta per cucinare il suo tanto gentile e tant’onesta pare…. Ma c’è dell’altro: nei confronti di Raimbaldo gli storici della letteratura ricordano che “Di particolare rilievo sono le sue composizioni in volgare italiano, il Contrasto con una donna genovese, dialogo bilingue (nda: bidialettale) nel quale, prendendo lo spunto dal genere della ‘pastorella’ provenzale, Raimbaut de Vaqueiras introduce, come interlocutori, un trovatore provenzale e una popolana genovese: il testo, che anticipa di cinquant’anni il realismo comico e l’incantevole malizia del più famoso contrasto di Cielo D’Alcamo è il primo esempio d’impiego di un nostro dialetto in una composizione poetica regolare. (www.sapere.it/enciclopedia/ Raimbaud+de+Vaqueiras.html) E qui torniamo in Piemonte nel periodo Federiciano e alla sua cultura chiaramente italiana, visto che l’origine di Cielo D’Alcamo che non è siculo perché il suo nome è stato semplicemente modificato, forse agli archivi vaticani, perché quello vero è Michele Da Camo (Camo è un paesino della Langa in Piemonte), sceso nell’Italia centrale al seguito di Bianca Lancia di Agliano, discendente dei Monferrato, compagna di Federico II e madre di Manfredi. (cfr Francos la storia da riscrivere).  Il  secondo  trovatore  è  il  notissimo Cristiano (Cretien de Troyes) del quale si scrive: “Poco si sa della sua vita: le poche informazione storico-biografiche si ricavano, in gran parte, dai suoi scritti. Nato nella Champagne (forse proprio a Troyes) attorno al 1135, fu un intellettuale di grande cultura, probabilmente un chierico, e visse presso le corti feudali diMari di Champagne e in seguito di Filippo D’Alsazia, conte di Fiandra”. https://it.wikipedia.org/wiki/Chr%C3%A9tien_de_Troyes).

p 21 paolo e francesca

Forse si tratta di un emigrante trasferitosi nella Champagne non per amore di Dom Perignon, ma per cercar fortuna, Cristiano è autore di diversi componimenti uno dei quali è citato da Raimbaldo in Kalendimaia. La sua opera più nota è la storia di Lancillotto o – Il cavaliere della carretta -, che narra le peripezie d’amore del protagonista per madonna Ginevra. Casualmente nel territorio di Treia c’è un microtoponimo antico che suona “la ginevra”… casualmente. Ma del componimento di Cristiano vorrei sottolineare solo una conseguenza, ovvero la vicenda ben narrata da padre Dante di Paolo e Francesca nel castello di Gradara (…galeotto fu il libro e chi lo scrisse…). Come è noto Paolo era un militare, una guardia, e non mi risulta che la conoscenza di lingue estere in quel periodo fosse un requisito fondamentale per un soldato. Men che meno per una donna di casa come Francesca. Mi chiedo perciò in quale lingua i due amanti fedifraghi abbiano letto i fremiti amorosi di Lancillotto, visto che “Il cavaliere della carretta” si dice sia stato scritto in langue d’oil ovvero l’antico francese del XII sec. un linguaggio, non supportato né da grammatiche né da dizionari, come tutti i volgari dell’epoca. Era un dialetto parlato in una regione poco estesa e che non aveva alcun importante e noto contatto commerciale con le Marche, quindi è decisamente improbabile che Paolo e Francesca lo conoscessero così bene da farsi suggestionare dal poema. Più logico invece è pensare che l’opera fosse scritta nella loro lingua, il “roman” della Francia Picena tanto caro ai trovatori, e che la originalità in langue d’oil sia solo una opinione campanilistica degli storiografi. È un fatto noto che i trovatori cantavano prevalentemente in “roman” l’originale dialetto della Francia Picena anche se, e lo dimostra Raimbaldo con il suo discordo quan vej verdejar, alcuni di loro erano in grado di cantare e scrivere in molti dei “volgari” romanzi parlati in Europa.

28 gennaio 2017

 

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