La mostra di Federica Ricci

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Questa recensione non ha scadenza in quanto riguarda una mostra già conclusa; ne scriviamo tuttavia perché il piccolo evento non merita di passare sottosilenzio. Se vi fossimo stati coinvolti avremmo proposto questo titolo: “Due Ricci sodali nell’arte”. Piccolo evento artistico, dicevamo, avvenuto nella nuova Residenza Sanitaria S. Maria in Chienti a Montecosaro. “Piccolo” perché consumatosi senza grande clamore (ma esiste una misura per determinare la grandezza o meno di fatti che riguardino l’arte?), eppure notevole per i significati di cui è stato portatore. Ma veniamo al fatto. Una mostra di Federica Ricci, artista giovane tra le più promettenti, voluta dalla Direzione della nuova struttura sanitaria e ideata all’interno di un programma di mostre da Luigi Ricci, docente e grafico, e Sandro Polci, architetto. L’originalità della mostra e il talento dell’artista hanno trovato “sodale” l’artista Nino Ricci, nel frattempo ospite della casa. Al centro dell’iniziativa, notevole la riflessione che l’anziano Maestro ha dedicato alla sua giovane omonima (li accomuna il cognome sena parentela), di cui, peraltro, è stato uno dei più convinti sostenitori sin dagli esordi.

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Ci sembra interessante riportare la riflessione quasi alla lettera, perché oltre a essere esplicativa dell’arte di Federica, è ricca di spunti riguardante l’arte in generale e l’idea che di essa ha Nino Ricci. Ci corre una notevole differenza generazionale tra i due artisti, eppure, sentite quale vicinanza li accomuna: Raccontare le cose come stanno nell’arte non è una impresa facile. Le opere che sono qui esposte hanno un carattere che le accomuna: qualità dell’esecuzione accompagnata alla costanza della produzione. Seguo Federica da diverso tempo e garantisco sulla sua stabilità di impegno, e sulla qualità del suo lavoro, che è costante: non c’è un periodo in cui va giù o un periodo in cui assurge a ‘glorie maggiori’. Ha questa continuità lineare, che deriva probabilmente dalla sua serenità e dalla stabilità del suo carattere. Dunque la costanza della produzione è una prerogativa sua determinante”. Entriamo nel dettaglio, “nelle sfere”: elemento ricorrente in questo suo ciclo di opere è, appunto,  la sfera riproposta più e più volte. Simbolo di perfezione, sono il tentativo di isolare dalle brutture del mondo un elemento che preservi la qualità e la bellezza. Federica guarda il mondo intorno a sé, lo seleziona innanzitutto, sceglie quello che costituisce, a suo avviso, la qualità, e punta su quella; quindi un lavoro di selezione non trascurabile, il suo. Lei non è una che si mette lì con il pennello e riempie una superficie;  c’è una  continua  ricerca di una qualità che non sia solamente estetica, ma che abbia anche caratteri “interni”, forse, a volte, dissimulati. Tutti ci auguriamo che questo ritorno che Federica ci propone verso la qualità non sia solo un sogno utopistico; perché il problema è questo: sogniamo e poi ci svegliamo. E molto spesso il risveglio è deludente, non ci fa piacere, preferivamo continuare a sognare. Noi pretendiamo di più, non vogliamo solo sognare. Vorremmo che le cose fossero costruite con amore, con passione, con dedizione e onestà, e che questo venisse comunicato e arrivasse agli altri. Se faccio un quadro grande, solo dipinto bene, ma non comunico, ho perso tempo e basta. È un altro quadro da sistemare in un museo, non si sa perché, per chi e per quale ragione. E tuttavia abbiamo tutti bisogno di tornare a sognare, perché il mondo che ci viene presentato ogni giorno non ci piace, non è bello.

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Non è bello vedere la qualità ignorata a vantaggio del profitto; ignorata a vantaggio della fretta, della fuga. Tutto questo ci dà fastidio! E incontrare, a un certo punto, un’artista giovane, con il mondo davanti a sé, con l’avvenire davanti, che si dedica alla qualità è davvero un fatto che colpisce, perché potrebbe ottenere più successo dipingendo altre cose – non sto ad indicare quali – ma lei ha fatto una scelta: ha scelto questo mondo rarefatto, composto di piccole forme, di piccoli elementi, di suggestive attenzioni verso le cose. Il ritratto che mi ha fatto è nato dal suo desiderio di farlo, un po’ per amicizia, un po’ per affetto, e per farlo ha affrontato tutti quei problemi che generalmente oggi vengono ignorati, disprezzati, perché c’è la fotografia, perché c’è il cinema, perché ci sono altri mezzi “più evoluti” di espressione. Ma quando lei ha fatto quel ritratto, lo ha fatto mettendoci quello che è il “mio” sogno della pittura. Non dico che i quadri debbano essere tutti così; ci mancherebbe altro! ma dico che la speranza che si ritorni a calibrare il colore sulla punta del pennello, ha di nuovo importanza; ha ancora  un suo ruolo nella produzione artistica contemporanea. Le sfere, che Federica ama molto, sono una spinta interiore incompiuta, un desiderio di bellezza non ancora raggiunto. Ma la perfezione non nasce dal fatto che il cerchio è cerchio e non ha difetti, ma dal fatto che hai saputo isolare un pezzetto del mondo e te lo guardi e te lo vedi e te lo coccoli. Questa è, secondo me la cosa importante del lavoro dell’artista: amare la realtà che si crea per quel che è. Il cerchio è il cerchio, il bastone è il bastone, il cielo è il cielo; il desiderio è di stare con essi in buona compagnia. Perché solo questo ci dà il risultato sperato; quello che una volta chiamavamo “ARTE”. Gli appassionati della materia certamente apprezzeranno!

09 febbraio 2017

 

 

 

 

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