Una necropoli picena si trova nei dintorni di Villa Magna

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Mi chiedo: perché, dopo anni di attività inconcludente di scavo a Urbs Salvia (scarsità di risultati, oltraggio compiuto con la edificazione di gabbiotti e fienili, sia in legno che in ferro, inutili e fuori dal contesto ambientale, nemmeno in armonia con la struttura posta a copertura del criptoportico) l’attenzione del dipartimento di archeologia dell’Università di Macerata si sia improvvisamente rivolta a Villa Magna, dove in passato per entrare chiedevano il permesso?

 

A Urbs Salvia c’è ancora tanto da scavare

Questo comportamento resta inspiegabile. Perché tanto interesse per Villa Magna, quando c’è assai da scoprire a Urbs Salvia? Città, questa, di 25/30.000 abitanti,  con più di 30 ettari di superficie urbana, con la viabilità romana ancora intatta, con il suo lastricato di basoli di arenaria, sepolta sotto poco più di 2 metri di terra, con decine di edifici e domus, con ancora il loro corredo di pavimenti originali da portare allo scoperto.

Perché Villa Magna? Dopo scavi pasticcioni e scoordinati, che al parco archeologico di Urbs Salvia non hanno portato alcun beneficio, soddisfacenti solo per coloro che li hanno eseguiti, insoddisfacenti anche sotto l’aspetto scientifico, altrimenti non si sarebbe mirato a Villa Magna. Inoltre senza aver spostato di un centimetro l’interesse turistico per il parco archeologico.

 

Era la primavera del 1997…

La storia archeologica di Villa Magna è iniziata oltre 20 anni fa, quando nella primavera del 1997, in occasione di una visita all’Abbadia del Soprintendente Giuliano De Marinis, ospite dell’On. Roberto Massi, si parlò di Villa Magna, dell’interesse che Massi attribuiva al sito e della opportunità di un intervento di scavo da parte della Soprintendenza. Nonostante la penuria di mezzi a disposizione De Marinis promise il suo interessamento. Promessa mantenuta, perché qualche mese dopo comunicò a Massi l’intenzione di effettuare uno scavo esplorativo, anche se con mezzi limitati (8 milioni di lire). Gestione dello scavo sotto la direzione della Soprintendenza tramite il suo funzionario Lionello Fabi.

 

Prime scoperte

Mi fu consentito di partecipare alle operazioni di scavo effettuate a mano e con un piccolo mezzo meccanico, scavi che portarono alla individuazione di strutture attribuibili a un vasto e articolato complesso di produzione e lavorazione di prodotti agricoli, confermato dal ritrovamento di grossi doli interrati per la conservazione. Tra i vari ritrovamenti fu portato alla luce un coppone da fogna, piatto bardato, con la iscrizione del fabbricante o del proprietario della struttura: Erennio Diogene (famiglia influente e conosciuta nella Urbs Salvia romana).

 

Statuine in bronzo

Stimolati dall’attività di scavo, alcuni conduttori dei poderi prossimi al cantiere raccontarono dello spoglio di reperti, portati allo scoperto dalle arature, da parte di cercatori clandestini che, spesso, trovavano statuine in bronzo (ndr: picene?), monete e frammenti di ceramica decorata. Dal momento che tali ritrovamenti avvenivano in un ampio spazio di terreno questo stava a significare che l’insediamento era molto esteso, oppure che non ve ne era uno solo.

 

Si predispose un progetto più ampio

Questa prima limitata operazione di scavo confermava l’importanza del sito, come ipotizzato da Roberto Massi che, essendo al corrente della mia esperienza nella formulazione del progetto di scavo al criptoportico di Urbs Salvia, in collaborazione con l’ingegner Aldo Birozzi, mi chiese di predisporre un progetto d’intervento a Villa Magna più ampio e articolato, prevedendo l’utilizzo dei più moderni mezzi d’indagine archeologica. Ottenuta l’approvazione della Soprintendenza, il programma venne presentato alla Fondazione Carima che fece proprio il progetto, dotandolo di una dote di quasi 200mila euro. L’incarico della esecuzione del piano fu affidato alla ditta Cal di Brescia e al suo Direttore Jonathan Mills, mentre la direzione scientifica fu dei professori Giuliano De Marinis e Gianfranco Paci.

 

Risultati superiori a ogni aspettativa

I lavori si protrassero dal 1999 al 2004, con risultati superiori a ogni aspettativa. La indagine, condotta su una superficie di oltre 14mila mq, portò alla individuazione di un vasto raggruppamento di edifici, in primo luogo una domus dotata di terme e di un edificio di culto il cui pavimento in mosaico era ancora integro; poi di edifici per la lavorazione e la conservazione di prodotti come granaglie, uva e olive, ciò confermato dalla scoperta di un letto di doli interrati di grandi dimensioni, poi stalle per il ricovero di bovini, di equini, di ovini e di una grande cisterna per l’acqua. Un po’ discosto dall’abitato fu portato alla luce un robusto muro (forse difensivo per via dei grossi contrafforti), scavato solo in parte in quanto la fotografia aerea lo indicava lungo circa 500 metri lineari.

 

I Piceni!

In seguito vennero individuate, a giudizio di De Marinis e Paci, le tracce di due chiese paleocristiane edificate sui resti di strutture romane, questo a conferma della storia di cinque chiese sparse nel vasto acrocoro. Poco prima del termine dell’intervento furono altresì individuate, al centro della zona adibita alla lavorazione dei prodotti, le tracce di un insediamento piceno, attestato da una vicina e vasta necropoli. Non si poté approfondire l’indagine per la fine delle risorse economiche.

 

Le terme, un anfiteatro, un castello, insediamenti medievali

A questi importanti ritrovamenti vanno sommati i risultati dell’aerofotogrammetria, anche satellitare, i quali, se confermati da scavi, sarebbero straordinari da ogni punto di vista. In primo luogo di tratta delle tracce di un gruppo di edifici prossimi alla colonia chiamata la Pecorareccia (antico convento), che possono essere attribuibili alle terme romane. Queste, poste non lontano dalle sorgenti di acque minerali (famose da sempre e ancora attive in un recente passato), furono utilizzate dalle terme di Santa Lucia di Tolentino. Prossima a queste tracce venne anche identificata una struttura di forma ovoidale di circa 90 metri per 45 metri che il geologo Fabio Pallotta, con qualche dubbio, interpretò come se fosse un anfiteatro, o un piccolo ippodromo, a servizio delle terme, luogo di svago. Un altro importante rilevamento fu effettuato in vicinanza della “Colonia Mari”: una anomalia del terreno a forma di un grande panettone (di circa 100 metri per 50) che, forse, chiude nel suo interno i resti del Castello di Villa Magna medievale, due volte distrutto e sempre ricostruito ma mai di certa ubicazione. Più verso il versante di Fiastra vennero rilevati degli insediamenti medievali nei quali si svolgevano attività di fusione dei metalli, tesi avvalorata da depositi di scorie e da sorgenti ancora attive.

 

Disse Mark Maier: “Hai trovato solo l’inizio della coda…”

Questa è la vera storiografia e cronologia degli eventi che si sono succeduti a Villa Magna, anche se vi potrebbe essere qualche minima lacuna a causa del tempo trascorso. La ragione di quanto scritto è per stabilire la vera paternità dell’intuizione, per cui Villa Magna è figlia dell’On. Roberto Massi, che ha sempre creduto che Villa Magna non fosse solo una fantasiosa credenza bensì i resti di un grande insediamento romano, appendice di Urbs Salvia e, come ha affermato il professor  Mark Maier, la proprietà di un imperatore o di un suo stretto familiare. Mi resta la immensa soddisfazione di aver collaborato attivamente con Roberto alla realizzazione di un’opera che, se verrà gestita con coraggio e onestà, porterà grandi benefici alla cultura maceratese e al turismo del territorio, anche economicamente. Quindi spero che gli scavi proseguiranno negli anni a venire perché come mi diceva Mark Maier: “Hai trovato solo l’inizio della coda…”.

Umberto Migliorelli

17 aprile 2018

 

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