Quando presi un tè dalla Principessa Maria Sofia Giustiniani Bandini

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In tempi ormai remoti ho avuto la ventura di essere invitato a prendere il tè dalla Principessa Maria Sofia Giustiniani Bandini contessa di Ramacca, al castello di Lanciano a poca distanza da Castelraimondo. Mi sovviene dell’episodio che merita di essere raccontato  per l’enorme imbarazzo che provai e che, ora, si tinge, invece, di sorridente umorismo. Ero segretario di Prefettura, fidanzato con una ragazza di Castelraimondo che la Principessa aveva preso in simpatia per avere compiuto, da studentessa delle magistrali, diciamo… una ricerca, uno studio, sulla figura del marito defunto, già Governatore della Città libera di Danzica.

 

Il valletto in divisa col macchinone

Ogni anno veniva celebrata una messa di suffragio all’aperto, nel parco del castello dove era stata eretta la tomba del principe e la mia fidanzata – ora e da un bel pezzo mia moglie- vi partecipava sempre, anche quando diplomata aveva già  un lavoro. Fu una simpatia durevole, tanto è vero che per il  nostro matrimonio la Principessa ci fece recapitare il suo dono di nozze, un oggetto d’argento, tramite un suo valletto in vistosa livrea. Via Crispi, dove abitavo, fu quasi ostruita da una enorme auto che richiamò l’attenzione del vicinato: tutti alle finestre come quando passava la processione del Venerdì Santo. L’autista, in regolare e perfetta divisa, con gambali e berretto a visiera ripartì subito, ma non subito si placò la curiosità dei vicini.

 

La poltroncina

Dunque, la mia fidanzata  mi fece partecipare ad una di quelle  messe e mi presentò alla Principessa. Tentai un goffo baciamano e accettai l’invito a prendere il tè. Ricordo che eravamo in un bella sala col caminetto di marmo scolpito ma con pareti ancora nude perché i quadri erano stati messi al sicuro dalle minacce della guerra, finita da pochi anni. Una cameriera in cresta e grembiulino ci servì tè e pasticcini: Ebbene, proprio quando avevo le mani occupate da piattino, tazzina e dolce, sentìi cedere e scricchiolare la secolare poltroncina su cui sedevo. Mi sollevai leggermente e rimasi in posizione… seduta ma… senza essere seduto.  Mi sentìi perso. Dopo un bel po’ riuscìi a posare il pasticcino su un provvidenziale cabarèt di passaggio e bevvi, sempre seduto a mezz’aria, con le lacrime agli occhi perché il tè scottava… Spero vivamente che con i successivi restauri anche le poltroncine siano state oggetto di attenzione e consolidate!

Giovanni Ciurciola

3 aprile 2018

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