Riflessioni: in tre ricorrenze c’è la primavera di libertà

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Ogni anno facevo alcune cosiderazioni distinte tra le varie ricorrenze della Resistenza e del ritorno della democrazia, la festa internazionale del lavoro e dei lavoratori, l’avvento della Repubblica, ma alla fine mi sono reso conto che le tre date sono legate tra loro dal grande percorso della primavera della libertà: queste date miliari andrebbero vissute non con rabbia, ma come importante stimolo di progresso e di ottimismo per il futuro, anche da coloro che contestano la democrazia, ma ne pretendono i benefici o dagli indifferenti (erano tanti durante il fascismo e ancor oggi) ai quali va bene tutto, purché si “magna”. Penso che questo modo di vegetazione e non di vita sia negativo e non solo per chi lo pratica.          

La prima volta che vidi i partigiani, nella primavera del ’44, stavo andando, da bambino, al cimitero a portare un fiore sulla tomba di mia mamma, e mi fecero una buona impressione (seppi poi qualche anno dopo che la loro lotta era per ridare a tutti noi le libertà soppresse dalla dittatura fascista), anche perché (i bambini di fronte a guerre e tragedie diventano presto grandi) pensai subito a mio zio in esilio e a mio padre in guerra; nella prima guerra morirono circa 15 milioni di persone, nella seconda dai 70 agli 80 milioni circa tra militari e civili.

La seconda volta li vidi camminare sulle rotaie della ferrovia marmifera vestiti male e con le scarpe rotte. Poi andando alle elementari (dalle suore perché nelle scuole pubbliche si diventava obbligatoriamente “figli della lupa”) ne ho visti tanti, oltre a tante morti e uccisioni all’ex Gil, dove al liceo giocai a pallacanestro.

L’ammirazione per partigiani (di ogni tendenza politica, scelta individuale o culturale), morti o torturati per donarci la democrazia, deve rimanere eterna nei nostri cuori, ben sapendo che noi, come i nostri figli e nipoti, amici, conoscenti, tanti che non conosciamo, abbiamo preso un pesante testimone perché la democrazia va difesa e rinnovata ogni giorno, cominciando da quelle che ci possono sembrare piccole cose. 

Ricordando il 1° Maggio, la festa internazionale dei lavoratori, penso ai cartelli che leggevamo nelle manifestazioni degli anni ’70: “uniti si vince”; che portarono alle federazioni unitarie, e oggi, anche se formalmente invocata, noto la competizione tra le confederazioni, la moltiplicazione dei “sindacati”  e pochi sforzi (ad anni dalla fine dello scontro competitivo tra mondo occidentale e orientale, tra Russia e Usa) per ritornare a una unità non formale: il sindacato deve ricercare la sua unità, la sua autonomia reale, perché le suggestioni egemoniche sono solo illusioni.

Da Mazziniano ed ex sindacalista stimo Marx per l’analisi economica dei fattori e sono convinto che con “proletari di tutto il mondo unitevi” fu il primo che individuò la globalizzazione economica e le problematiche che ne derivavano. I lavoratori non hanno solo bisogno di un sindacato economicamente forte, ma solido politicamente e che torni a essere uno strumento di educazione nei luoghi di lavoro e nella società.

L’eredità che ci è stata lasciata non va solo amministrata burocraticamente, va difesa e scambiata politicamente, va consolidata e migliorata, perché se rimane immobile può esaurirsi. Nuovi orizzonti si presentano in un mondo in continuo cambiamento e il sindacato deve rappresentare tutti i lavoratori interessati – al momento non lo fa – e non pensare che è sempre colpa degli altri o della crisi (in un mondo moderno le crisi sono cicliche), ma dalla situazione strutturale dettata dal cambiamento delle società: i nuovi traguardi sono la riscoperta della centralità del lavoro e dell’impresa, una maggiore internalizzazione dei rapporti politici,  la ricerca di nuove e migliori condizioni per i lavoratori.

Sopra al mio letto c’è una stampa della Assemblea Costituente della Repubblica Romana del 1849 che nominava i triunviri, i cui valori Costituzionali sono simili a quelli di libertà della nostra Costituzione. I principi repubblicani si erano affermati (nella mia città, Carrara, nel referendum del ‘46 su 40.000 votanti, circa 35.000 furono a favore della Repubblica, e 1.400 per la monarchia) e anche la mia convinzione che i valori di democrazia sono di tutti e in particolare dei cittadini che guardano al futuro e alle nuove generazioni. 

Giulio Lattanzi

25 aprile 2018

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