Il “moscone” che andava storto

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Avventure di mare

Fra i ricordi di mare ci sono quelli legati a un personaggio di Porto Potenza Picena, abilissimo con il legno. Un suo dinghi, un tipo di barca a vela, era famoso per la stabilità e la velocità. Quando ce lo prestava ci sentivamo dei veri “lupi di mare” anche se sapevamo navigare solo vicino alla riva e con una leggera brezza. Un giorno, uscito in mare da solo e, appunto, con una leggera brezza, fui sorpreso da un brusco cambiamento di vento. Fui presto in difficoltà e riuscii soltanto a dirigere verso terra per salvare la pelle ma, digiuno di manovre e sapendo navigare solo a favore di vento, anziché a Porto Potenza “toccai terra” a Porto Recanati. Il mio amico, chiamato per telefono da un conoscente, venne a prendere sia me che la barca e ci riportò a casa. Un’altra volta l’avventura capitò a un “marinaio” di Macerata che chiese di fare un giro. C’era una simpatica arietta di mare che spirava verso terra e costui, messo in acqua il legno, armò la barca e partì ma il venticello, non essendo lui esperto manovratore, lo spingeva sempre verso terra. Tentò per tre volte prima di di-sarmare e tirare la barca in secco. Quando si accorse che stavamo ridendo disse: “Beh! Che volete? A me, quando vado in barca, piace fare solo giri corti!” Ma il capolavoro del nostro “maestro d’ascia” fu la realizzazione di un capanno di circa4 metri per 3, uso palafitta, a bordo riva e a ridosso della ferrovia. Divenne la nostra tana, sia di giorno che, all’occorrenza, di notte. Erano gli anni ‘60 e in spiaggia si formavano in luglio e agosto tante comitive composte da noi “indigeni” e da coetanei che venivano da fuori. In questi gruppi sbocciavano gli amori estivi per cui avere a disposizione un capanno era privilegio di pochi. Infatti, su concessione del proprietario, eravamo solo in due o tre a poterlo utilizzare e per evitare sovrapposizioni fastidiose avevamo raggiunto un accordo e un “codice comunicativo”: chi arrivava al capanno per primo, in dolce compagnia, appendeva fuori dalla finestra un asciugamano, come fosse il classico cartello “Non disturbare!”. Nessuno veniva meno all’accordo, tranne uno che non sapendo “rimorchiare” rompeva a chi, bene o male, qualcosa rimediava. Fu necessaria una lezione. Si vantava di essere un fusto per cui lo invitammo a dimostrarlo: “Appoggiati allo spigolo della capanna e, allungando le braccia, tocca   le due finestre!” Cadde in trappola. Mentre era nella scomoda posizione in un attimo gli legammo i polsi, gli mettemmo un cappello di paglia in testa e lo lasciammo lì: “Ti slegheremo quando avrai capito che non devi rompere a che ha… acchiappato!” Tornati al capanno dopo alcune ore ci impaurimmo: il sole lo aveva cotto, la sua schiena era rossa e lui versava in uno stato di disidratazione pazzesco! Lo slegammo, gli bagnammo le labbra con un po’ di acqua, lo facemmo bere a piccoli sorsi e gli applicammo delle creme sulla pelle. La lezione sortì il suo effetto e il tipo cambiò gruppo. Intanto il “maestro d’ascia”, a nostra insaputa, aveva costruito uno splendido pattìno, un “moscone” fatto con legni scelti ad arte e verniciato in modo superlativo con un bell’abbinamento di colori. Speravamo fosse in sostituzione del nostro vecchio “mosco-ne” in uso da anni, pronti a dividere le spese di costruzione per poterne usufruire. Ma lui disse che lo aveva fatto per venderlo e per vedere se la costruzione di pattìni avesse un futuro. Naturalmente ci promise che a fine stagione avrebbe sistemato il nostro facendolo tornare come nuovo. Ci fu il varo con tanto di spumante fresco ma, messo in mare, con sommo stupore scoprimmo che il magnifico “moscone” andava… storto! Ogni paio di remate c’era da correggere altrimenti il pattìno, con un ampio giro, tornava laddove era partito! Fu una tragedia ma la fantasia superò l’inghippo. Gli chiesi: “Visto che sono i remi a spingerlo, facendo un remo più piccolo dalla parte opposta a quella dove gira forse riusciremo a risolvere il problema”. Dopo vari tentativi l’imbarcazione girava molto meno, quasi per niente. A questo punto partimmo per Sirolo con il “moscone” caricato sul portapacchi della mia Opel 1900. Alcuni bagnini ci stavano aspettando e rimasero incantati dalla bella imbarcazione. Messa in mare iniziai a remare facendo attenzione a fare meno forza sul remo giusto sicché il “moscone” filò via dritto come un fuso. La trattativa durò poco e uno di loro, un… “vero lupo di mare” si aggiudicò il pattìno. Ripartimmo subito ed ebbi, come giusto compenso, un abbondante pranzo a base di pesce la cui digestione non fu turbata dal pensiero che chi aveva concluso l’affare mai avrebbe potuto mandare il “moscone” diritto. Anche perché, ragionando tranquilli a fine pasto, arrivammo alla conclusione che l’acquirente non avrebbe potuto protestare. Se avesse protestato avrebbe fatto sapere a tutti che lui, “vecchio lupo di mare”, si era fatto rifilare un “moscone” che andava storto!

Cesare Angeletti

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