L’arrivo a Roma

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Dall’inedito “Caravaggio e le ombre dell’anima”

 

caravaggio-s-francesco-in-estasiIl giovane Merisi, trasferendosi da Milano a Roma, forse al seguito della marchesa Costanza Sforza-Colonna, non mancò certamente di fare tappa a Bologna, a Parma, a Modena e in altri centri dove, nell’ambiente artistico, svettavano personalità quali i Carracci, un Guido Reni, un giovanissimo Guercino, un Gian Gioseffo Del Sole e tanti altri meno noti, ma pur sempre importanti per un giovane apprendista pieno di fervore creativo e teso alla ricerca di una più moderna estetica. Quali furono i rischi, quale la fame e quale la stanchezza, sofferti dal giovane lungo le impraticabili vie che portavano a Roma, non è dato sapere. Egli, una volta giunto nella “Caput Mundi”, si aggirò per le tentacolari vie e per le artistiche piazze alla ricerca di un antro dove riposare e di una cantina dove rimediare un piatto di fagioli. In quei tempi, negli anfratti di una tale società cannibalesca, arduo era per chiunque aprirsi un varco per conquistare quel successo tanto agognato. Inizialmente la fame lo costrinse a impegnarsi in tecniche pittoriche “chiare”, alla giorgionesca per intenderci, dipingendo “a memoria” paesaggi idilliaci, scorci fantastici da “Mille e una notte”, e vendendo, a un “grosso” (monetina dell’epoca) l’una teste di vecchi di cui riusciva a produrne fino a 3 al giorno, seguendo così la via tracciata dal manierismo che pure odiava tanto. Questo suo attivismo artistico lo fece notare da un pittore manierista, ormai affermato, un tale Cesari, detto Cavalier d’Arpino, che lo utilizzò nelle più umili faccende del mestiere: pestare e mischiare colori, mesticar le tele su cui gli era concesso di dipingere, sempre e solo, frutti e fiori, genere in cui egli raggiunse una maestria davvero perfetta: “La canestra di frutta”(1592), “Il ragazzo con canestra di frutta” (1592), “Fanciullo che monda una pera” (1592), “Giovane con vaso di rose” (1592), “Vaso di Fiori che riflette una finestra” (1592), ecc. Trovò anche da dormire presso un prelato marchigiano, un certo Monsignor Pandolfo Pucci, di Recanati, maestro di casa di Camilla Peretti, sorella di Papa Sisto V, imparentata con i Colonna. Costui era un tirchio di ottima lega, soprannominato dal Merisi “Monsignor Insalata”, per il fatto che il solo cibo che gli ammanniva erano sempre e sole erbe di campo. E’ intuitivo che una siffatta genia di sfruttatori afferrasse la maggior parte delle opere giovanili del Caravaggio e ne facesse vile mercato per recuperare i pochi soldi della pigione, provocando così la dispersione e l’oblio di tali utili testimonianze del cammino artistico d’un giovane di sicure promesse. Durante questo primo periodo della sua vita egli iniziò a tradurre in pratica il suo pensiero naturalistico, dipingendo, da par suo, il “Bacchino malato” (1592), un “Concerto di giovani” (1592), “L’estasi di San Francesco” (1592), un “Ragazzo morso da un ramarro” (1593), un “Ragazzo morso da un gambero” (1593), “Giocatori di carte” (1593-94), “Una fuga in Egitto” (1594-96), una “Maddalena penitente” (1597) e tante altre bellissime opere, che non è il caso di citarle una per una, tutte tele comunque nelle quali, pur utilizzando gli apprendimenti della maniera lombardo-veneta, egli mise già in mostra, e con sicurezza, il suo nuovo linguaggio pittorico. Qualcuna di queste sue opere fu vista e ammirata dal potente e influente Cardinal Francesco Maria del Monte, fratello del matematico Guidubaldo, amici entrambi di Galileo Galilei. Il suddetto Cardinale era anche segretario del Granduca Ferdinando I di Toscana e patrocinatore degli interessi francesi in Roma. continua

Matteo Ricucci

 

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