Contrada Santo Stefano o dei Cappuccini vecchi

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Piccole storie dal territorio

appena fuori le porte di Macerata

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Dalle parti dei Cappuccini vecchi circola il detto “il buon vicinato vale più dei parenti”. E non può essere diversamente in questo lembo di territorio cittadino posto ben oltre le porte di Macerata, in un contesto collinare bello e armonioso. Qui, nei primi del ‘900, la popolazione era composta da contadini inquadrati nella mezzadria e proprietari terrieri e la dimostrazione di tale pacifica convivenza, detta rapporto di buon vicinato, saltava agli occhi nei momenti di necessità. santo-stefano-1Allora erano attive molte stalle di vacche mungane e quando fetava le ‘acche, avvenimento importante, i vicini dimostravano la loro solidarietà assistendo nel momento del parto. Nell’attesa gli uomini giocavano a carte nella stalla, la vergava preparava i dolci e portava giù lu ciammellottu e lo vì’ cotto. Il contadino più vecchio, quindi più esperto, metteva a frutto la sua esperienza e non lesinava consigli su come si dovevano disporre le cose e le persone a seconda di come si presentava il feto: un lavoro in team, come si direbbe oggi. Altro momento di “vicinanza” era il periodo dello scartoccià, quando i tutuli si ammucchiavano davanti casa, tutti si prestavano in allegria, il lavorìo era accompagnato dal suono dell’urghinittu e si cantava a batoccu. Poi c’era la raccolta delle olive e verso mezzodì arrivava in mezzo al campo, tra gli ulivi, la vergara co’ lu callà de la pulenda, la spianatora e lo sugo de vrocculi. Ogni contadino metteva da parte le marruche e le potature per alimentare il forno realizzato con i mattoni santo-stefano-3refrattari; dopo aver acceso il fuoco la prima infornata spettava alla crescia, condita con cipolla e rosmarino, per verificare che la temperatura fosse quella giusta per infornare il pane. Quando la temperatura dentro il forno era ottimale i filoni lievitati uscivano dalla mattora, la vergara sopra ognuno incideva il segno della croce e venivano adagiati dentro il forno, il cui ingresso veniva subito sigillato con la malta. A poco a poco il profumo del pane invadeva tutta la zona. Essendoci molte stalle c’era anche tanto latte e le persone venivano giù da Macerata per prendere il buon latte fresco. Una signora che abitava in via Mozzi morì, lasciando una figlioletta piccina, una neonata e le sorelle di questa donna venivano ai Cappuccini vecchi tutti i giorni a prendere il latte per la piccola orfanella. In calessino arrivava spesso in zona anche un fattore, Angeletti, il babbo di Cisirino, che curava l’amministrazione di alcuni proprietari terrieri; spesso Cisirino accompagnava il babbo. E’ ancora vivo il ricordo della famiglia Spaccesi che aveva cinque figli, quattro femmine e un maschio. Le ragazze tessevano, vicino alla stalla per stare un po’ più al caldo, i loro corredi; la più piccola andò dalle suore per imparare l’arte del ricamo, esperienza che riversò subito sui lavori delle sorelle… ne vennero fuori dei corredi principeschi! C’era anche la scuola in contrada Santo Stefano, una pluriclasse dove mentre alcuni alunni scrivevano il tema, altri facevano il dettato, altri ancora le aste! Vicino alla scuola c’era un appartamento per la maestra, la signora Stamura. Nelle fredde giornate invernali tutti i bambini si recavano a lezione ognuno portando con sé da casa un pezzo di legno per la stufa, si accendeva il fuoco e stavano al calduccio. Come avveniva in città, anche qui nei giorni di festa le contadine prima di arrivare in chiesa si toglievano li ciocchi e indossavano le scarpe buone per la messa; quando invece dovevano andare in città, con gli zoccoli arrivavano fino all’Immattonata e lì infilavano le scarpe. Accadde anche un tragico evento in questa zona quando ci fu il santo-stefano-4bombardamento di Macerata. Una bomba, che avrebbe dovuto colpire la Prefettura, mancò il bersaglio e arrivò fischiando nella contrada. Un uomo in prossimità della Fonte delle Trippe si era nascosto dietro un gelso per ripararsi ma fu colpito a morte da uno spezzone. Delle vecchie famiglie oggi sono rimasti i Nicolini, i Ricci, i Laici, i Micozzi, la Michelangeli. Stanno arrivando anche i servizi, prima l’acqua non aveva abbastanza pressione per arrivare al primo piano delle abitazioni e oggi va un po’ meglio; da poco è arrivato anche il gas ma non c’è il servizio di trasporto pubblico, la strada è piena di buche e per liberarsi dell’immondizia occorre fare un paio di chilometri in quanto i cassonetti si trovano vicino alla Fonte delle Trippe. La chiesa, bella e ben tenuta, richiama parecchi matrimoni e i convenuti, con le loro auto, creano grossi problemi ai residenti perché non c’è un parcheggio adeguato. Il tempio risale al XVII secolo, esattamente al 1682, dentro si possono ammirare tele del 1602 opera del pittore Marcello Gobbi; qui si venera la Madonna della Fede risalente al 1527. Il giorno di Santo Stefano è festa grande, i bambini recitano poesie davanti al presepe e, fuori, c’è il gioco delle pigne. Altra ricorrenza, molto sentita nelle campagne, è la festa di San Vincenzo Ferreri, il santo con la fiammella sulla testa; in questo giorno c’è la processione che dalla chiesa va alla Fonte delle Trippe e, come tutte le processioni, ritorna alla porta da dove è uscita. Per l’occasione c’è la benedizione della campagna con l’ostensione della reliquia di San Vincenzo, una vecchissima tradizione qui ai Cappuccini vecchi. Purtroppo questa processione, frequentatissima nei tempi andati, oggi richiama sempre meno fedeli, al contrario della festa di Sant’Antonio, quando c’è la benedizione degli animali. Concludiamo con un excursus, una simpatica battuta campagnola che parte con termini distanti per finire alla vogliamoci bene: “Sòr patro’… lei, voi, tu… sforchetto io!”

Fernando Pallocchini

 

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