Ricordi di un Casettà sesta puntata

Print Friendly, PDF & Email

Continua il racconto di Walter Filoni

 p 4 macchina fotografica antica

Pilade e Cesarino

È necessario fare una breve panoramica topografica prima di richiamare il vero protagonista della vicenda. Un certo Pilade, di origine toscana, commerciante ambulante, abitava in una casetta di proprietà di Luigi Pianesi, il quale aveva in zona una serie di locali adibiti ad abitazioni, che iniziava dal caffè di Giubba di fronte ai cancelli dell’Ospedale, fino a un terreno agricolo che confinava con la stazione ferroviaria, subito dietro la fabbrica di fisarmoniche Pancotti. Dinanzi all’abitazione di Pilade, vi era, allora, una fontana pubblica, oggi appena avvertibile dal diverso fronte edilizio. Il Pilade era un cacciatore accanito e molto vanitoso, al punto di parlare delle sue imprese come gesta eroiche. Una domenica partì di buon mattino, bardato di tutto per una buona partita di caccia, con il suo cane Ras. Quel giorno fu fortunato, cacciò una lepre e alle ore 9 circa , ritornò a casa. Preso il prezioso trofeo, armato di secchi, coltelli e accessori diversi, si piazzò davanti alla fontana pubblica e, non privo di spavalderia, la fece propria. Chi aveva bisogno di acqua, si mise in attesa, mentre lui incominciò molto lentamente l’operazione di scuoiamento, guardandosi intorno per richiamare con gesti e voce forte l’attenzione degli astanti. Tutti dovevano ammirare la bravura ed elogiare quel gran cacciatore, che ogni tanto lanciava brandelli di frattaglie di lepre al fedele cane Ras che le acchiappava a volo. Mentre avveniva “ lo spettacolo”, la fila di chi aveva bisogno di attingere l’acqua intanto si allungava. Proprio Ras, fermo in attesa che il padrone gli lanciasse ancora qualche buon bocconcino, suggerì ai Casettà presenti come liberare la fontana quasi sequestrata. Presero un barattolo di lamiera vuoto, lo legarono con uno spago e all’altro capo formarono un cappio a scorsoio. Ras, preso dalla “ ferma” non si accorse che i Casettà gli avevano fatto scivolare il cappio intorno ai suoi pendenti genitali. Si può subito immaginare l’effetto al primo movimento di Ras. Fu una prova di castrazione, accompagnata dal frastuono del barattolo e dal disperato guaire di Ras, il quale non correva più ma faceva lunghi salti per liberarsi da quella barbarie. Pilade, lasciando la sua preziosa preda, corse subito dietro al suo Ras, minacciando di morte gli autori che avevano trovato, con questa geniale trovata, il modo di servirsi alla fonte ponendo fine a quella interminabile ostentazione di gloria. Pilade aveva un figlio di nome Cesare, per tutti Cesarino. Giovane spiritoso e simpatico, pieno di brio che, accompagnando il padre, aveva imparato il mestiere di ambulante. Per lui tutto era buono da commerciare : bambole, calzini e quant’altro potesse essere vendibile. Il fatterello che vado a raccontare, è stato narrato dai suoi pari ambulanti. Un mattino, al mercato settimanale di Tolentino, si vide avvicinare da un prete che gli chiese di aiutarlo ad allestire una pesca di beneficenza per la festa di San Catervo. Cesarino rispose subito con il suo solito fare burlesco, in bilico tra il serio e il faceto: “La pesca è la mia passione, ripassa fra mezz’ora che ti faccio trovare un barattolo pieno di vermi “. A metà delle Casette, all’ultimo piano di una casa, abitava un artista incompreso, il fotografo Briscoletta senior. L’ubicazione e la vita che conduceva avevano l’aspetto della Bohème. Il suo studio, per modo di dire, si trovava in uno spazio ristretto dietro la parte più lunga dello Sferisterio, nei pressi delle latrine pubbliche, ed era rappresentato da un muretto fra l’arena, le poche case attigue e una sedia. Di solito in questo spazio angusto troneggiava, su un cavalletto di legno, una macchina fotografica completa del drappo nero, alla Lumière. Le altre cose necessarie, come lastre fotografiche, allora di vetro, modesti attrezzi per ritocchi e poche altro ancora, erano riposte in un angolo, il tutto all’aperto. Dire che si trattava dell’arte di arrangiarsi è poco. Non mancavano i clienti poveri perché quelli di un certo lignaggio si servivano da Balelli, Ghergo e anche da Lombi, (vicino allo scultore Bomprezzi) che, all’interno del suo studio, usava il lampo al fosforo. Il nostro caro artista fotografo Briscoletta aspettava invece la luce solare, in quanto là dove si trovava in altro non poteva sperare. Nelle giornate piovose accettava lo sciopero forzato. Un mattino si presentò un tale che aveva bisogno di una fotografia per la carta di identità: cliente dal viso magro, dai lineamenti scavati, con lunghi capelli dovuti a un’antica lite con il proprio barbiere. Il nostro artista fu subito disponibile. Lo fece accomodare sulla sedia davanti alla sua miracolosa macchina e, sparito sotto il drappo nero, esclamò: “ Fermo! mi raccomando fermo! …è fatta. Vieni fra dieci giorni e la foto sarà pronta” – “Grazie”. Di buon mattino, il decimo giorno, il cliente chiese l’opera: “Si trova fra quelle pronte, prendila pure”. Dopo un’ora di ricerca, quel tale non la trovò. Briscoletta , abituato al disordine, esclamò: “È questa!”. Il cliente mormorò: “Ecco perché non riuscivo a trovarla, mi assomiglia appena, questo qui ha i capelli tagliati e una sigaretta in bocca. A parte i capelli, ma la sigaretta non è possibile, io non ho mai fumato”. Che era successo? fra le cianfrusaglie del nostro bravo artista le lastre, venute a contatto con altri strumenti, si erano rigate in più parti e lui era ricorso a ritocchi e a un artificioso abbellimento: capelli corti alla Mascagni, lucidi con la brillantina Linetti allora in uso, e perfino una sigaretta moresca (di popolare consumo e di infima qualità). La buona volontà non era certo mancata nel miglioramento del soggetto ma era rimasto un gran dubbio nel risultato: la vera identità era stata gravemente compromessa.

 

 

 

A 6 persone piace questo articolo.

Commenti

commenti