L’architetto e il professore

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Oggi non voglio parlare delle mie ricerche sulla Francia salica Picena, ma, brevemente, di grandi persone: quegli scopritori di civiltà che hanno lasciato un segno nella cultura e nella storia.

 

Il primo è Leonard Woolley

leonard wooley

Un archeologo britannico che ebbe l’opportunità di scavare a Tell al Obeid, in Mesopotamia, riportando alla luce Ur, la città dei Sumeri e le tombe dei primi Re. Venne per questi suoi meriti nominato pari d’Inghilterra. Sir Leonard Woolley quando si trovò dinanzi alla collina di terra che celava la zigurrat di Ur, non era certo uno sprovveduto curioso come Emilio Botta, il diplomatico francese che caracollando per le pianure irachene si imbatté in Ninive. “Leo” aveva una robusta preparazione accademica e una provata esperienza sul campo: un vero professionista. Non ha solamente ritrovato la città e le tombe di Ur Nammu e del suo successore, i mitici re dei biblici Caldei e della città da dove proveniva padre Abramo. Ha anche confermato una certa attendibilità della Bibbia come libro di storia e non solo di fede. Scavando la città trovò uno spesso strato di limo alluvionale sovrapposto al primo insediamento urbano: le tracce fisiche del “diluvio universale”. Universale è il termine decisamente recente che venne usato al posto delle frasi nelle trascrizioni più antiche in ebraico che dicevano “piovve su tutte le parti della terra”. Ma anche Ur Nammu il sovrano della terra fra i due fiumi si proclamava “re dei quattro quarti della terra” e la “terra” era quella fertile e coltivata, che fu completamente allagata da una esondazione contemporanea del Tigri e dell’Eufrate dopo i mitici 40 giorni di pioggia ininterrotta.

 

Il secondo è Howard Carter

Howard Carter

Anche lui un figlio di Albione, che scavava per campare nella terra dei Faraoni. Bravo ma sempre a caccia di uno sponsor. Sia lui che lord Carnarvon il suo finanziatore, non sarebbero passati alla storia legando i loro nomi a quello di Tut Ench Amon, il faraone che morì giovane, se la sua piccola tomba non fosse stata “visitata” che una sola volta dai predoni antichi (si dice ora grazie alla archeometria che possa essere l’adattamento di una parte dell’ingresso di quella che si suppone di sua madre). Poi le baracche degli operai del cantiere di un’altra tomba coprirono la scalinata d’accesso e nessuno cercò più sotto il cantiere in omaggio a una logica opinabile. Solo Howard, testardo o disperato, dopo aver saggiato tutta la concessione, cercò anche dove gli altri non si erano degnati di farlo. Quando io scesi per la prima volta a visitare la cripta della chiesetta della Valfucina, mi venne in mente cosa Carter scrisse sul suo diario della famosa prima notte nella tomba reale: dopo aver fatto un piccolo foro nella parete che chiudeva l’atrio e lo separava da quella che lui non sapeva ancora essere la camera del sarcofago, introdusse nel vano una candela, dietro di lui lord Carnarvon chiese ansioso: “Vede qualcosa?” – “Sì – rispose Carter – cose meravigliose!”.

 

Il terzo è Heinrich Schliemann

heinrich schliemann

 

Tedesco, imprenditore abile e di successo. Ha avuto il grande merito di utilizzare le sostanze accumulate in duri anni di attività non come il figliol prodigo della parabola “cum amicis et meretricibus”, ma a realizzare il sogno dei suoi anni giovanili: cercare la Troia Omerica. Schliemann non disponeva di rilevatori geognostici, ma fidava nel suo intuito e nei racconti dei contadini di Hissarlik che parlavano di una città sepolta. Controllò il sito seguendo la descrizione della battaglia fra Achille ed Ettore, la cosa sembrava quadrare e iniziò gli scavi. Era un grande conoscitore della letteratura classica, innamorato della Grecia (e delle greche) si racconta che a sera recitasse agli operai del suo cantiere i brani dell’Iliade in greco antico. La comunità dei cattedratici fu scandalizzata dalle sue rivelazioni e lo contestò nei modi più svariati, ma non dobbiamo stupirci di questo atteggiamento tipico e tuttora ricorrente. Certo il nostro “archeologo dilettante” confuse una città Ittita, quella del secondo strato, con la vera Ilion Omerica che è stata localizzata al settimo da chi gli successe alla direzione degli scavi, ma poco importa: sempre se e quando si parla di Troia il primo pensiero è per Heinrich Schliemann.

 

Il quarto e ultimo è don Giovanni Carnevale

don giovanni carnevale

Il professor Carnevale non è marchigiano ma abruzzese. Così mi immagino l’inizio della sua avventura: nella parrocchia di San Marone di Porto Sant’Elpidio cercando le testimonianze del martirio di San Marone in val di Chienti legge forse su un libro antico di Andrea Bacci che il Santo venne martirizzato nel temenos del tempio del dio Apollo Granno, dove sgorgava una fonte sulfurea curativa apprezzata già nella Roma imperiale. Un racconto fantastico e poco realistico se (c’é sempre un se a condizionare le grandi scoperte) a don Giovanni, ben noto per la sua imponente caparbietà e volontà di sapere, non fosse passato per le mani un atto notorio dell’XI secolo relativo alla vendita da parte del Vescovo di Osimo di un appezzamento sito “in plano de ara grani” inequivocabilmente nelle Marche. Un atto notarile non contiene frasi fantastiche è come un catasto terreni e le descrizioni degli appezzamenti contengono informazioni assolutamente concrete per l’identificazione, quindi credibili: era iniziata la scoperta della Francia Picena e dell’Aquisgrana di Carlomagno. È vero che le mie ricerche, intraprese all’ombra delle sue mi hanno portato a esiti completamente divergenti e molto distanti da quelli successivi di don Giovanni, ma poco o nulla questo può importare, se e quando si parlerà della Francia Picena, si ricorderà sempre che fu don Giovanni Carnevale il suo scopritore. Concludo con un sentito grazie al “professore” a nome innanzitutto mio, di tutti coloro che seguono le nostre ricerche e anche della Storia.

Medardo Arduino

3 agosto 2016

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