Aero-poesia e Aero-bevuta

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Sono vissuto per più di 20 anni in un palazzo le cui finestre danno sulla piazzetta di San Liberato. Lì ho conosciuto personaggi che hanno originato simpatici aneddoti. C’era il custode del somaro della baronessa, Antonio Dionisi, noto anche come “Ando’ lu sartore”, un vecchietto smilzo, i capelli bianchi, di altezza media, un po’ malfermo sulle gambe, con un figlio più basso e dalla pancetta assai pronunciata tanto da essere soprannominato “l’asse de coppe”. Invece il nipote del notaio Marchesini era Mariuccio Affede, oltretutto nipote del noto poeta dialettale Mario Affede. Mariuccio era un personaggio da ricordare, bel ragazzo di media altezza, faceto e di risposta pronta era portatore di una ironia istintiva e contestatore, per quanto possibile in pieno regime fascista. Un episodio lo vide protagonista al teatro Lauro Rossi quando si esibì il poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti che proclamava “aero-poesia” e “aero-pittura”. Marinetti, interventista, camerata e amico di Mussolini, girava tutta l’Europa con le sue novità di “rottura” con il passato perciò, quando venne a Macerata, l’avvenimento fu memorabile. Tutte le scuole si mobilitarono, sospesero le lezioni e gli studenti furono condotti a teatro. Marinetti con una “aero-poesia” celebrava il record di velocità aerea conquistato dal pilota italiano Ajello; in questa si paragonava la penetrazione dell’aereo di Ajello nell’aria densa e ostile a una violenta penetrazione meno eterea ma assai più… carnale. Durante una pausa in cui Marinetti sospese la sua “aero-poesia” per bere un bicchiere di acqua, una voce echeggiò nel silenzio del teatro: “Aero-bevuta!” Era la voce di Mariuccio che fu immediatamente preso a braccetto da due militanti fascisti che lo allontanarono dal Lauro Rossi. Anche nel dopoguerra Mariuccio continuò ad essere uno spirito scanzonato. In quel tempo, molti nobili che avevano possedimenti a Macerata si erano qui stabiliti per sfuggire ai disagi di Roma e di altre città di origine. Nel pomeriggio il nostro passeggiava per le “mure de sole” quando udì il rumore ritmico del trotto: un cavallo bianco trainava un calessino guidato da un marchesino in abito bianco immacolato. Che immagine! Mariuccio non tenne e, portate le mani alla bocca a guisa d’imbuto, urlò: “Preca Ddio che ‘stu cavallu non te cachi, che te pole sgrizzà!”

01 febbraio 2017

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