Il prete in bicicletta e le “alcove” a Fonte Canapina

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E’ necessario che io faccia una piccola premessa per dire che cos’è e dove si trova “Fonte Canapina”. Era, credo che oggi sia interrata, una graziosa fonte di acqua sorgiva che stava in una piccola costruzione in mattoni, in fondo alla strada che, scendendo dai Cappuccini Nuovi, dietro la stazione, arrivava sino al fondo della piccola vallata, proprio dietro al “Rione Marche”. Alla fine degli anni ‘50 era una stradina imbrecciata, pochissimo frequentata, tanto che Mario Affede, nella sua poesia “ Lu prete in bicicletta” immagina che, quando il Papa pose il veto ai sacerdoti dell’uso del velocipede perché lo svolazzare della tonaca sarebbe stato poco serio e motivo di derisione, era proprio sulla via della Fonte Canapina che lui aveva incontrato un prete, il quale in incognito, voleva, nonostante il divieto, farsi un giretto in bici. Il perché del nome della fonte è di facile intuizione. Si chiamava così perché i contadini usavano la vasca della fonte per mettere a macerare la canapa da loro coltivata. Vicino alla fonte scorreva anche un fosso, non molto grande ma sempre provvisto d’acqua, che aveva favorito il crescere e il riprodursi di vasti canneti. I contadini lasciavano crescere le canne perché poi le usavano, praticamente gratis, nell’orto e in casa. In quegli anni, per una coppia di fidanzatini, trovare un luogo per appartarsi senza rotture di scatole era quasi impossibile. Lei, se non era scortata dalla mamma, aveva dietro il fratello o la sorella piccola che, impauriti dalla madre stessa con minacce, non lasciavano mai soli i due malcapitati. Le passeggiate dovevano essere sempre fatte in luoghi ben conosciuti e mai lontani. Premesso ciò era possibile dire ad una mamma: “Noi usciamo nel pomeriggio e andiamo con i compagni a fare una merenda a Fonte Canapina”. Il posto era vicino, conosciuto, frequentato da contadini e lavandaie e quindi “in un certo modo”, a detta delle madri, sicuro. Ma, sapete com’è, la necessità aguzza l’ingegno e un giovanotto aveva pensato bene di fare in un canneto uno stretto accesso  a zig zag che finiva al centro e qui, abbattute una trentina di canne e sfogliatele perfettamente, le aveva intrecciate a formare un letto e su di esse aveva posto le foglie a mo’ di materasso. La stradina se fosse stata dritta avrebbe consentito di vedere, da fuori, quello che accadeva dentro; invece l’andamento  spezzato dalle curve celava perfettamente il tutto e l’altezza e il fatto di essere fitte delle canne faceva il resto.   Gli altri,  complici,  facevano  la festa creando più caciara possibile, sicché tutte le persone della zona avrebbero giurato, a qualunque madre poliziotta, che i ragazzi erano stati lì tutto il pomeriggio a fare confusione insieme. Le coppie, a turno, godevano della possibilità di avere “l’alcova”  a disposizione gratuitamente. L’unico limite era che si poteva usare solo in caso di tempo buono perché non era coperta. Non nella stagione fredda perché non era… riscaldata. Poi il passaparola fece si che in ogni canneto se ne ricavasse una e ben presto, la gran quantità di merende fatte a “Fonte Canapina” insospettì le mamme più scaltre che, indagando a fondo, misero fine all’uso delle “alcove” usando, anche loro, il mezzo universale del passaparola. A questo punto, però, le pratiche “alcove” furono “occupate” da due prostitute molto note del Rione Marche. Queste, portandoci un materasso infilato in un grosso sacchetto di nailon per proteggerlo dalla pioggia, le trasformarono, per quando era tempo buono, in vere e proprie piccole “suite” assolutamente a costo zero, con tanto di servizi igienici forniti dal prato che era tutto intorno e dall’acqua della vicinissima “Fonte Canapina”. E la fonte, che per secoli era stata fedele compagna dei contadini nel loro lavoro, era così diventata “simpatica ruffiana” prima dei bollori dei “giovin signori maceratesi” e poi delle brame, insoddisfatte fra le pareti domestiche, di signori di mezza età che fra le canne trovavano il “surrogato” dell’amore.

30 settembre 2017

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