“Il rosso fiore della violenza” – XL puntata

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Intanto Angela non perdeva di vista l’uomo dal pizzo caprigno il quale, dopo averla fissata per un po’, ingranò la marcia e ripartì a tutto gas. “Ascoltami Angela non essere così disperata. Il commissario Sirtori è un brav’uomo e mi ha promesso che se tu ti costituirai farà di tutto per aiutarti. Vieni a casa, ti proteggerò io fino all’arrivo del Commissario”. – “Papà non è più possibile. Se lo facessi il G.L.P. non ci metterebbe più di tanto a farmi fuori e poi ho paura di coinvolgere anche te. Addio Papà e cerca di volermi sempre un po’ di bene”. Rimontò sulla moto e ripartì con un gran rombo, scomparendo nel caotico traffico della città. Lei ripensò all’uomo dal pizzo caprigno e si convinse che quello non si trovava lì per caso. Aveva percepito nel suo sguardo freddo e tagliente che egli era lì per controllare proprio lei. E comunque non era di certo un poliziotto, altrimenti non l’avrebbe lasciata libera di condurre a termine la sua missione. Quando si avvicinò al luogo dell’appuntamento, il corteo le intralciava il cammino. Cercò una scorciatoia, ma tutte le strade d’accesso erano pattugliate. Capì d’aver commesso un grave errore a perdere tutto quel tempo. Cominciò a sudare freddo: Alberto non l’avrebbe mai perdonata. Calzò il passamontagna e s’intruppò in mezzo alla calca, poi, a spintoni cercò di farsi largo per avanzare più speditamente. La ragazza provava una sensazione fastidiosa come se uno sguardo invisibile ma molesto la stesse spiando continuamente: si girò di scatto e riconobbe l’uomo da pizzo caprigno che apparentemente seguiva il corteo dei manifestanti, urlando gli slogan. Angela fu afferrata da una paura folle e raddoppiò i suoi sforzi per allontanarsene il più possibile. Improvvisamente l’eco di una serie di scoppi fece arrestare di colpo quella marea di gente eccitata che non sapeva se avanzare o arretrare. Di ciò approfittò la ragazza per farsi largo più facilmente. Aveva capito che il suo gruppo aveva iniziato l’azione di disturbo e lei, purtroppo, era ancora lontana dal luogo dell’appuntamento. Il Padre, dal canto suo, era stato scosso dalla telefonata di Angela: lui piangeva mentre il cuore gli batteva forte. Stava nervosamente sfogliando l’elenco telefonico per cercare il numero della Questura, ma non ci riusciva. Voleva telefonare al commissario Sirtori per comunicargli che la figlia gli aveva telefonato. La moglie, irritata, glielo strappò con violenza dalle mani: “Abbandonala  al suo destino! Quale speranza hai sul suo recupero, lei è ormai una pera marcia. Da lei non puoi sperare altro che dolore!” – “Smettila Beatrice, tu non sai quello che dici! Mia figlia è sempre mia figlia, fosse anche seguace di Satana, lo vuoi capire o no?! Cosa ne puoi sapere tu dell’amore per i figli. Sbrigati a trovarmi questo maledetto numero!” Rispose angustiato dalla morbosa gelosia della moglie. La Tata sembrava la statua del dolore. Stava in un angolo a piangere e a pregare e a odiare quella donna fatua la quale a null’altro pensava se non al suo tran tran giornaliero, fatto di partite di canaste, di migrazioni di atelier in atelier alla ricerca di vestiti all’ultima moda, o la spasmodica ricerca d’un coiffeur, bello e disponibile. “Pronto, Questura? Vorrei per favore parlare con il commissario Sirtori. Come? Ah, è di servizio? Allora mi faccia la gentilezza di lasciargli un appunto, gli dica che ha telefonato l’avvocato Barilatti. Mi raccomando non se ne dimentichi, è importante! Grazie e buongiorno”. Riattaccò, coprendosi il viso con le mani per nascondere dolore e lacrime. La Tata gli si avvicinò timidamente: “Signor Avvocato, si faccia coraggio! Vedrà che la Madonna ci aiuterà. Non può essere che la nostra bambina ci abbandoni per sempre. Tornerà, lo sento, il suo cuore è troppo buono per non volerlo”. L’Avvocato l’abbracciò affettuosamente e le baciò i capelli bianchi: “Grazie Tata per le tue buone parole che la Madonna ti ascolti veramente!” Egli non poté fare a meno di considerare che dalle labbra di Beatrice erano state espresse frasi cattive e ingenerose: il suo atteggiamento lo addolorava quanto la fuga della figlia. Egli non poteva capacitarsi della freddezza e della durezza d’animo di quella donna volubile e capricciosa la quale, nonostante tutto, gli aveva regalato una seconda vita e ridonato emozioni che riteneva ormai perdute per sempre, dopo la morte della prima moglie. Beatrice, chiusa in un mutismo ostinato, guardava, attraverso la finestra, gli alberi che, intossicati dallo smog, stavano lentamente morendo, spogliandosi di foglie gialle nel pieno della stagione primaverile. Perciò non poteva fare a meno di pensare a un’altra morte, quella della figliastra, terrorista in clandestinità. Lei sperava, si augurava che la notizia giungesse quanto prima per il bene di tutti e, principalmente, per il suo, poiché percepiva che i suoi nervi non avrebbero retto ancora a lungo in quel clima di tragedia senza epilogo.   

continua

5 novembre 2017

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