Cronache Mesopotamiche: “Le discese ardite e le risalite”

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Forse i paesi collinari si assomigliano tutti, non so. Questi conosco, per esserci stata deposta per caso, alcuni decenni fa (“per caso” nel senso che i miei giovani genitori, che vivevano altrove, al mio apparire pensarono che sarebbe stato un bene piantare le tende al paesello di origine di uno dei due, Recanati, appunto, senza in realtà aver ben chiaro il loro futuro, credo. Da qui nessuno di noi si è poi mai mosso).

 

Colline e acque

Dicevo: sembra facile, la geografia, con tutti quei fiumiciattoli paralleli. E invece no: ogni collina sembra un pallone pieno d’acqua, fai un buco e sgorga una fonte. Le colline sono solcate da rigagnoli (fossi) che appaiono e scompaiono, formano avvallamenti, diventano pericolosi come torrenti quando piove tanto. Per arrivare a Recanati da Macerata c’è un ponte sopra un fantomatico (perché l’acqua non c’è) “fosso Ricà”: che tutti noi da bravi bambini traducevamo in buon italiano “fosso dei cani”, e che invece ha a che fare con l’antico toponimo di qui, “Ricale”. Ne parla pure Leopardi. No, non “quello”, che tutti qui chiamano Giacomo, ma suo padre Monaldo.

 

Le strade

Dicevo: in linea d’aria i paesetti collinari all’intorno sembrano a portata di mano, di fatto inerpicarsi su per i colli rende ogni vetta una conquista: le strade o sono dritte, brevi e con pendenze alpine, o procedono a zig zag, contorcendosi come serpenti e rendendo distanze minime (apparentemente), lunghissime. Quando nevica (e nevica tutti gli inverni) e le strade sono ghiacciate, capita di rimanere isolati. I paesetti tanto carini si stanno svuotando: molto più comoda la costa, ampi parcheggi, mega centri commerciali, autostrada. Insomma: bello, ma non ci vivrei. Le strade che seguono i corsi d’acqua, dalla costa all’interno, sono battutissime oggi, come lo erano un tempo. Come la regina delle strade, la strada Regina, bellissima storpiatura: il nome deriva da “Rècina”, Helvia Rècina, la città romana che sorgeva ai piedi della collina dove oggi sorge Macerata. Fiume + strada e in fondo, sul mare, Potentia, fondata nel 184 a.C. Per dare terre coltivabili a chi aveva combattuto la seconda guerra punica. A proposito, Potentia nel 56 a.C. fu squassata da un tremendo terremoto e fece fatica a riprendersi. Tanto per non dimenticare. Poi ci sono strade, anch’esse antichissime, che servono per andare al di là. Le strade che valicano e i paesi che fanno da sentinella.

 

Dalla finestra

Siccome, come si è capito, descrivo quello che vedo dalla finestra, per me la sentinella naturale verso l’altra valle è Montelupone, a guardia della mia Mesopotamia, e custode della Mesopotamia sorella, quella fra il Potenza e il Chienti. La strada antica è quella che congiunge Montelupone con San Claudio. C’è un posto magico, da quelle parti, fai cento metri e ti si apre ora la valle del Potenza, ora quella del Chienti, e tu sei lì, in alto, e vedi tutto, dal Conero fino ai monti d’Abruzzo, nessuna casa, ma c’è una orribile carrozzeria (cofani arrugginiti pneumatici e quel senso d’incuria delle vecchie officine). Questi posti proprio non hanno la vocazione al sublime.

 

Il Chienti

Il Chienti è un fiume grande (almeno nell’ordine delle misure nostrane, si capisce, mica sto parlando del Po; comunque nelle Marche è il secondo), deturpato, violentato, antropizzato quasi selvaggiamente. La zona verso il mare è quella più ricca di insediamenti industriali (zona di scarpari). Il suo corso è bloccato e irreggimentato da due dighe importanti (formano i laghi di Polverina e Caccamo). Riceve le acque di un piccolo corso d’acqua con due nomi Fiastrone/Fiastra: alla confluenza sorge un’abbazia famosa. Anche sul Fiastrone c’è una diga. Il punto in cui comincia il Chienti segna anche il confine con l’Umbria: Serravalle. Inutile dire che anche questo fiume ha una strada parallela, una strada di grande comunicazione il cui tratto più recente, che arriva a Foligno, è stato inaugurato nel luglio del 2016. La violenza della superstrada sul fragile territorio dell’entroterra è stata già raccontata da Loredana Lipperini, a cui rimando (“Questo trenino a molla che si chiama il cuore”).

 

Tutto tornerà come prima?

Per quelle strade, più di quarant’anni fa, ci portava a passeggiare sui monti mio padre, appassionato frequentatore delle Dolomiti, e ne scopriva la bellezza e il mistero. E scopriva con meraviglia la ricchezza delle acque, gli spazi intatti e il silenzio. E decise di costruire lì il suo secondo nido, in un piccolo borgo di cui dovrò parlare (per quanto sia doloroso). Da una cartina si capisce meglio: forse per chi non è di qui non è chiaro, per noi invece è chiarissimo tutto quello che il terremoto ha mandato in malora. Perché non è affatto sicuro che “tutto tornerà come prima”. Io di questo vorrei parlare, ora forse si capisce meglio perché.

16 dicembre 2017

 

 

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