Non il politico ma l’uomo Aldo Moro nel privato

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Avevo appena terminato di pranzare quando all’uscio di casa si affacciò il curato di San Firmano. Accomodatosi e preso fiato, stentava a iniziare il discorso. Lo pregai di tirare fuori le parole senza tanti giri. Accettò a un mezzo sorriso, per tranquillizzarmi.

 

La notizia segreta

La notizia che aveva da darmi  doveva rimanere assolutamente segreta. Nel pomeriggio di quel sabato, 30 agosto 1975, sarebbe venuto in visita privata il Presidente del Consiglio, professor Aldo Moro. Vedendomi alquanto perplesso, aggiunse che era testimone al matrimonio di un suo ex allievo. Tenne a ribadirmi che nessuno era a conoscenza della notizia, per motivi di sicurezza. In quel periodo era in pieno sviluppo il terrorismo e fatti eversivi accadevano giornalmente. Erano responsabili più i “rossi” che i “neri”; viceversa, invece, per la cultura dominante di sinistra.

 

Cosa sapevo di Aldo Moro

Don Armando mi suggerì di riferire la notizia anche al Sindaco, mantenendo il segreto. Confesso che della vita privata della famiglia Moro nulla sapevo. Ignoravo che avesse sposato una ragazza marchigiana, Eleonora Chiavarelli di Montemarciano e che in quel paese avesse celebrato le nozze. Di Moro, personaggio pubblico, sapevo che, oltre a insegnare Istituzioni di diritto e procedura penale nella Facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza di Roma, era un politico cattolico democristiano di primo piano, proveniente dall’Azione Cattolica, eletto deputato a soli 34 anni, protagonista indiscusso dell’Assemblea Costituente per aver dato un importante contributo nella elaborazione della Costituzione Italiana. Convinto sostenitore della repubblica parlamentare riteneva ogni diversa organizzazione dello Stato lesiva dei diritti fondamentali della persona.

 

Non piaceva a molti iscritti DC

Nella DC rappresentava una corrente minoritaria, di modestissime proporzioni e non era ben visto dalla stragrande maggioranza degli iscritti al partito. Era colui che aveva perorato l’ingresso del PSI nel governo del Paese. Non piacevano i suoi discorsi concettosi e di difficile comprensione, tuttavia aveva una tale personalità e un tale carisma che dominava la scena politica, oscurando tutti gli altri interpreti. Un politico lungimirante che, dopo la batosta della DC nelle elezioni amministrative del giugno 1975, faceva intendere maturo l’incontro con il PCI di Berlinguer, allo scopo di renderlo sterile, secondo l’opinione di alcuni. Se la DC doveva essere ricostituita, si augurava che rinascesse “libera dall’arroganza del potere”. Un’affermazione forte, da costringere i democristiani a una seria riflessione, che stentava a farsi strada. Moro in televisione appariva come una persona sofferente di sonnolenza, se così posso dire, con lo sguardo rivolto in basso. Se era un atteggiamento somatico o una malattia cronica non era dato conoscere. Mentre ero immerso in questi pensieri, il parroco se ne era già andato.

 

Sindaco incredulo e le due richieste

Il neo Sindaco Domenico Capricciosi e il neo Consigliere provinciale Raffaele Alberico subito non mi credettero, pensando che avessi architettato una ingegnosa “bufala”. Convintisi a fatica, decidemmo, per trarre profitto dalla inaspettata visita, di preparare due richieste di contributo: una per la biblioteca comunale in corso di allestimento e l’altra per il rilancio del movimento giovanile della DC. Il compito di consegnare le richieste spettava a me e al Sindaco, che già appariva emozionato, assai emozionato.

 

Segreto non mantenuto

L’amico Alberico, notevolmente sollevato per essere libero da impegni, con un mezzo sorriso che era tutto un programma, promise di mantenere il segreto… di Pulcinella. Il matrimonio era fissato per le sei e trenta del pomeriggio. La giornata era grigia, il sole pallido, coperto da una leggera cappa di nebbia, più novembrina che di fine estate. Nel bar di San Firmano non c’erano avventori e mentre sorseggiavo un aperitivo per ingannare l’attesa, due signori ben vestiti mi scrutavano con insistenza.

 

Polizia e guardie del corpo

Dovevano essere sicuramente poliziotti o guardie del corpo. La piazzetta della chiesa, da deserta, si stava riempiendo di persone sconosciute, vestite con abiti da cerimonia. Un agricoltore del posto, abbastanza preoccupato, mi fece notare che le vie di accesso a San Firmano erano rigorosamente controllate da molti poliziotti. Nel frattempo era giunto il Sindaco. Titubanti ci eravamo sistemati in posizione non troppo defilata, per salutare l’illustre ospite. Le persone, all’arrivo dell’auto presidenziale, si erano spostate ai margini della piazzetta e così ci trovammo soli e inchiodati nel mezzo.

 

L’incontro

Fu un attimo. Il Presidente, sceso dall’auto, ci venne incontro stringendoci la mano con molta cordialità. Mi presentai per la modestissima carica che ricoprivo e presentai il Sindaco, dietro di me. Mi scusai per il disturbo e che era nostra  intenzione  porgere un saluto di cortesia. Moro, in vece, si mostrò ben lieto della nostra presenza e ci fece comprendere di non essere affatto disturbato. Presi il coraggio per dire che la DC a Montelupone aveva vinto le elezioni provinciali, regionali e stravinto quelle comunali. Il Presidente era a conoscenza dei risultati elettorali del nostro paese, facendo notare, ma non con tristezza, che lo stesso risultato non si era verificato a livello nazionale. Non aveva voglia di tuffarsi nell’atmosfera della festa e salutare gl’invitati alle nozze. Prese a dire che tornava volentieri nella nostra regione; di essa serbava un buon ricordo e la teneva in grande considerazione. Si allontanò da noi allorché don Armando apparve sulla porta della chiesa.

 

Il matrimonio

C’era il problema di consegnare le due lettere di richiesta contributo. Lo seguimmo in sagrestia sperando di trovare l’occasione opportuna. Mentre noi entravamo, io per primo seguito come un’ombra dal Sindaco, Moro aveva dato le proprie generalità, come si conviene a un teste di matrimonio, riprodotte da don Armando nell’apposito registro parrocchiale, sicché dovemmo desistere. Inciampò, poi, sul gradino posto all’uscita della sagrestia e mentre accennavamo a venire in suo soccorso, spuntò tra noi due una grande mano che lo sorresse sulla schiena per non farlo cadere. Era la mano del maresciallo Leonardi, il capo delle guardie del corpo. La messa per il matrimonio venne celebrata nella parte alta della chiesa, che si era riempita anche di persone del luogo. Tutti notarono il contegno esemplare tenuto dal Presidente. La signora Eleonora indossava un abito semplice semplice e un foulard in testa, tanto che la si poteva scambiare per una donna del luogo.

 

La consegna delle lettere

Dopo la messa Moro volle visitare la cripta e invitò don Armando a illustrare le meraviglie della monumentale abbazia. Lo fece da perfetto cicerone, in modo appropriato e sintetico. Il nostro Sindaco, cavaliere Domenico Capricciosi, era sempre dietro di me e fremeva per la consegna delle lettere. Moro, sorridendo, comprese il nostro imbarazzo e ci invitò a consegnargli, senza tante manovre, quel che avevamo in mano. Finalmente un sospiro di sollievo. Spiegai il motivo delle nostre richieste, profondendomi in mille scuse. Il Presidente m’interruppe dicendo che la presidenza del Consiglio dei ministri disponeva di un proprio bilancio e libero era l’utilizzo dei fondi; pertanto la nostra richiesta era corretta e legittima. Prese le due buste e le mise in una tasca della giacca, assicurandoci che avrebbe provveduto di persona a consegnarle alla sua segretaria per l’invio dei contributi. Ci si allargò il cuore. La nostra missione poteva dirsi finalmente compiuta.

 

Ciaffi, Tambroni, De Cocci e Foschi

All’uscita dalla chiesa avvenne una sorpresa, che Moro non gradì affatto. L’autore dello scoop era stato quasi certamente Alberico, che aveva avvertito alcuni onorevoli. Sulla piazzetta di San Firmano erano piombati   Ciaffi, Tambroni, De Cocci e Foschi. Moro, seppur garbatamente, li rimproverò. Si vedevano sempre a Roma mentre lì era in visita privata. Fece intendere che voleva essere lasciato in pace.

 

Il barista Bartò

Il Sindaco e io, su di giri per aver assolto al nostro compito, ci eravamo sistemati ai margini della piazzetta. Il Presidente, inaspettatamente, dopo le foto di rito con lo sposo tra la gente del luogo, venne presso di noi a scambiare ancora qualche parola di circostanza. Non potevo crederci. Una delle più alte cariche dello Stato che preferiva la nostra compagnia a quella degli illustri parlamentari. Il barista, Arduino Sampaolo, detto Bartò, voleva stringere la mano al Presidente ma era titubante. Moro, appena se ne accorse, andò verso di lui e lo accontentò.

 

La passeggiata in riva al mare

Subito dopo risalì in auto e si diresse alla pineta di Porto Recanati. Ci fu riferito che, sottrattosi alle guardie del corpo, avesse preso a camminare lungo la riva del mare, con le scarpe in mano e i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia. Se fosse vera la notizia non saprei dire, certamente quella era una abitudine cara al Presidente, che in passato era stata riportata diverse volte sulla stampa con tanto di foto.

 

Le brigate rosse

Circa un mese dopo la storica visita nell’abbazia di San Firmano ricevetti due assegni circolari a me intestati: uno di 200mila lire per la biblioteca comunale, l’altro, non ricordo bene se di 200 o 100mila lire per il Movimento giovanile della DC di Montelupone. Quasi tre anni dopo tutti sappiamo come andò a finire. Le sedicenti brigate rosse per tutti divennero le brigate rosse. Criminali assassini. Niente di più, niente di meno. L’apice dell’allucinante sequenza di violenze delle brigate rosse venne raggiunto in quel periodo. Non esiste una parola di sprezzo tanto forte che possa rendere conto degli anni Settanta, dei terribili anni Settanta.

 

Immagini che non si dimenticano

L’immagine del maresciallo Oreste Leonardi, capo delle guardie del corpo, il sorriso appena accennato, misterioso e pieno di dolcezza di Aldo Moro, tornano di frequente nella mia mente. Ci sono storie che restano per sempre nella memoria. Questa è una di quelle. Moro è sepolto a Torrita Tiberina, parrocchia dalla quale proveniva lo sposo, Antonino Cannata, a cui aveva fatto da testimone al matrimonio. L’ex allievo mi ha confidato che per circa un anno la salma del Presidente fu posta nella tomba della sua famiglia, in attesa di una propria. Montelupone, al pari di tanti altri paesi e città italiane, ha intitolato una via all’illustre statista e leader democristiano.   

Piero Giustozzi

24 luglio 2018

 

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