Blandino, emigrante maceratese approdò “nudo” in Argentina

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Nel 2001 ricostruii il naufragio del piroscafo “Principessa Mafalda”. Quel racconto fu subito apprezzato dai navigatori di Internet, che mi scrissero, numerosi, per posta elettronica, e dai lettori del bollettino n° 20 (aprile 2002) dell’Associazione Italiana di Documentazione Marittima e Navale (AIDMEN) di Milano. Fu anche tradotto in portoghese e ripreso da altri siti. Ne scrisse anche il giornalista Gian Antonio Stella nel suo libro “Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore” (Rizzoli 2004).

 

Blandino, uno dei sopravvissuti

Vediamo ora brevemente le vicende successive di uno dei 1.145 sopravvissuti. Blandino (classe 1909) è stato un emigrante del Maceratese sopravvissuto al naufragio del piroscafo italiano “Principessa Mafalda” diretto in Argentina, ma affondato nell’oceano Atlantico. La figlia, compianta professoressa Norma di San Isidro (Buenos Aires), diversi anni fa mi fornì delle notizie utili per tracciare, in parte, la vita del padre da quando sbarcò, senza nulla, al porto della capitale argentina.

 

Timore di andare in guerra

Dal 1926 la politica governativa per stabilizzare il cambio della lira con la sterlina a “Quota 90” causò un aumento della disoccupazione; furono colpite l’edilizia e le piccole imprese, ci fu una riduzione dei prezzi ma anche dei salari. Blandino aveva deciso di emigrare a seguito di una premonizione di quello che poi accadde nel decennio successivo. Con la politica espansionistica di Mussolini, una volta arruolato militare di leva, Blandino temeva di dover andare in guerra. Iniziò a dire: “Qui presto scoppierà una nuova guerra, me ne voglio andare prima che mi chiamino alle armi”.

 

Difficile rapporto con la madre

Raccontava che la madre Capitolina usava mettere i panni in una cesta, (cosa che faceva anche con la brocca dell’acqua), se la appoggiava in testa e si recava al fiume per lavarli. La madre era una grande lavoratrice, ma era difficile andare d’accordo con lei perché era la tipica vergara dell’epoca, che amministrava e decideva da sola. Negli anni Venti del Novecento la vita in campagna era dura, c’era miseria, si consumavano quasi solo i prodotti dei campi. Blandino era andato a lavorare presto, in una vicina fornace, e aiutava i genitori nei lavori agricoli. Il fratello, la sorella e Blandino stesso avevano compreso che la madre aveva una evidente predilezione per Clorindo, il figlio più grande, forse perché più bisognoso.

 

Partito a 18 anni

Il nostro giovane aveva solo diciotto anni, allora la maggiore età era a ventuno anni. Nelle pratiche per l’emigrazione si fece aiutare da tale Amedeo Gasparrini che abitava in contrada Monti. Il denaro per il biglietto se l’era guadagnato lavorando nella fornace. Capitolina gli fece un pacco con i vestiti e così, nell’ottobre del 1927, in partenza per Genova, salutò la famiglia, lasciando tutti di stucco, con una frase indimenticabile: “Ritornerò quando pioveranno le coperte!”  

 

Il naufragio

Ma la nave Principessa Mafalda, ormai vecchia, in Argentina non arrivò mai: affondò il giorno 25 ottobre 1927, al largo di Bahia (Brasile), a seguito dei danni causati da un guasto meccanico: si era sfilato l’asse portaelica di sinistra. Al segnale di “Abbandonare la nave” dato dal comandante Simone Gulì furono tratti in salvo prima le donne, i bambini e gli anziani; lui rimase tutta la notte a galla su un pezzo di legno sull’oceano. Fortunatamente non fu sbranato dagli squali, come avvenne ad altri naufraghi.

 

Sbarcato senza più neanche i pantaloni

Blandino raccontava alle figlie che era arrivato al porto di Buenos Aires senza neanche i pantaloni, a bordo di una delle cinque navi soccorritrici che recuperarono i naufraghi. Quel poco che si era portato dall’Italia lo aveva perso; si recò al Consolato italiano, ma non gli fornirono aiuto. Il nome della nave “Duca degli Abruzzi”, che lo soccorse, l’ho scoperto pochi anni fa in un supporto multimediale del museo dell’Emigrazione di Recanati.

 

Tra i sopravvissuti anche Ruggero Bauli, pasticcere di Verona

Tra i sopravvissuti di terza classe vi fu anche Ruggero Bauli, un pasticciere di Verona che aveva deciso di cercar fortuna in Argentina. Rientrato in seguito in Italia, proseguì la sua attività artigianale fino al 1950, quando, visto il successo dei suoi pandori e panettoni, decise di passare alla produzione industriale creando così l’attuale azienda dolciaria. La “Principessa Mafalda” giace tra la città di Caravelas e le isole Abrolhos a una profondità di circa 1.400 metri. Anche la nave italiana Rosalina naufragò in quella zona nel 1939.

 

Il lavoro in un vivaio di piante e fiori

Blandino trovò occupazione in un vivaio di piante e fiori a Martinez, dove lavorava tante ore e guadagnava poco. Gli fornirono anche un misero giaciglio per la notte, dove pativa il freddo: aveva pochi indumenti e spesso si svegliava di notte infreddolito e si alzava prima di quanto avrebbe voluto. Quando raccontava queste vicende, le sue bambine di pochi anni iniziavano a piangere. Facendo tesoro della sua recente esperienza vivaistica, a casa coltivava rose e altri fiori, e poi li vendeva in un chiosco davanti al cimitero di San Isidro. Ha lavorato anche nella fabbrica di biciclette “Legnano”. Da scapolo consumava i pasti nelle mense e nelle taverne.

 

Il matrimonio con Clorinda e la casa

Poi imparò il mestiere di muratore e sposò Clorinda, una ragazza di origine italiana giunta in Argentina, con i familiari, all’età di tre mesi. A San Isidro, in via Don Bosco, comprò una abitazione con un piccolo appezzamento di terreno, dove costruì un’altra casa: in quella vecchia restarono a vivere i suoceri e in quella nuova si trasferì lui con la famiglia. Tra le poche cose che Norma ricordava dei racconti del padre, era che proveniva da una famiglia di contadini (coltivatori diretti), con la stalla sotto casa. La meraviglia degli argentini per le nostre piccole realtà contadine è legittima: da loro i bovini pascolavano nelle immense pampas argentine. Tuttavia le stalle a piano terra delle nostre case coloniche avevano più di un motivo d’essere. Blandino non aveva potuto studiare perché la scuola, dove avrebbe dovuto recarsi a piedi, era troppo lontana. Per le esperienze passate aveva avuto una infanzia molto triste per cui, come tutti i genitori, desiderava il benessere per le sue figliole, per la sua famiglia.

 

Il ritorno in Italia per riabbracciare la madre

Quando raccontava del suo passato alle figlie, si rattristava e non parlava mai di ritornare in Italia. Fece una sola eccezione alla regola che si era autoimposta (ricordate la sua frase “Ritornerò quando pioveranno le coperte!”): compì un solo viaggio verso l’Italia, era intorno all’anno 1955, e lo fece solamente per il forte desiderio rivedere la madre, i fratelli e la sorella. E fu un bene perché la madre morì pochi mesi dopo quella visita, contenta di aver potuto riabbracciare il figlio emigrato. Quelle degli immigrati sono sempre delle storie particolari e questa, forse, più di altre. Comunque mi piace immaginare che sia rimasto nel suo cuore un po’ di dispiacere per non aver potuto seguitare a vivere nella nazione, nei luoghi dov’era nato.

Eno Santecchia

18 dicembre 2018

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