Racconto d’altri tempi: la S. Cresima e la bambola di pezza

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Frequentavo il catechismo per prepararmi alla Santa Cresima. Un giorno mia madre mi disse che si doveva andare al paese per fare delle spese. Abitando in campagna, c’incamminammo di buonora, la mia mano nella sua: ero ancora piccola e non abituata alle strade dove transitavano le auto.

Le strade e il traffico – A quei tempi il sacramento della Cresima si prendeva all’età di sette, otto anni, cioè quando si frequentava la seconda o la terza elementare. In quegli anni, sebbene di auto ve ne fossero poche, di biciclette o motocicli se ne incontravano già molti… si vedevano calessi e biroccini trainati da cavalli e carri agricoli trainati da buoi, lenti e ingombranti. Le strade non erano larghe come le attuali, nemmeno erano asfaltate, quindi bisognava stare attente a non inciampare in buche insidiose e a non cadere.

La bambolina – Si andava in paese perché la mamma doveva acquistarmi il necessario per fare la cerimonia della Cresima in parrocchia ed essere “al pari” con le altre mie compagne. Dovevamo acquistare i calzini bianchi, un paio di mutandine, il tessuto per la sottoveste, per l’abitino… e le scarpe nuove! Ci recammo quindi da Gioà e Nunziatina e mentre la mamma era intenta a fare acquisti, consigliata  dal commerciante, io mi ritrovai a essere completamente conquistata da una grossa bambola posta a un lato dello scaffale; vicina ad essa… un’altra bambolina molto più piccola ma anche molto più bella. Rimasi per tanto tempo a rimirarla e quasi non profferii parola, perché sognavo a occhi aperti i vestitini che avrei potuto realizzarle e quanti giochi con essa avrei potuto fare.

La scelta del tessuto – Poi andammo da Aduccia per acquistare il tessuto per l’abitino (a quel tempo ognuno si vestiva come poteva) e fummo accolte con cortesia da una giovane signora, che poi nel corso degli anni diventerà mia suocera. La signora ebbe cura di mostrarci diversi tessuti leggeri e trasparenti dai colori delicati, con la mamma che lasciò a me la possibilità di scegliere il tessuto che più mi piaceva. Scelsi, consigliata, una stoffa leggera di organza rosa che aveva disegnati dei quadratini.

La sarta – Dopo di che andammo da Sirvè, la nostra sarta di fiducia, la quale mi diede in mano un giornale ricco d’immagini di bambine e di tanti vestitini belli: scelsi un abitino con un “volant” nello spallone, il colletto rotondo, la gonna arricciata con tanti volant che si ripetevano.

Le scarpe – Infine andammo da Dedalo de Crispì, amico di tutti i clienti e fu lì che acquistammo  un paio di scarpine bianche, rese ancora più belle da una  fibbia laterale. Avevo paura di toccarle… per il timore di sciuparle e mi ritrovai a essere felice, anche se il mio pensiero era ormai fisso sulle bambole. Fu solo al ritorno che parlai di quella bambolina a mia madre ed espressi il desiderio di averne una. Ma la mamma mi fece chiaramente capire che non poteva comprarmela, perché cosa non necessaria per il sopravvivere della famiglia e che avrei potuto giocare con altre cose. Aggiunse poi, intenerita, che avrebbe fatto il possibile per regalarmela se… fossi stata brava e buona. Non tornai più con lei sull’argomento.

La bambola… fatta in casa – Un giorno però, a proposito, zia Riga e le mie sorelle, Giulia e Nena, si misero all’opera su qualcosa che a me appariva misterioso… e misterioso non fu più allorquando compresi che loro stavano disegnando su carta la silhouette di una bambola. Silhouette che poi ritagliarono e appoggiarono come modello su una tela grezza, sulla quale cominciarono a lavorarci sopra. E fu così che in poco tempo una  bambolina venne realizzata. Le sopracciglia vennero fatte a “punto erba” con il  cotone  nero; gli occhi erano due semplici puntini neri e al posto del naso due piccoli segni realizzati con del filo colore avana, mentre la bocca era somigliante a una mezza luna rossa. Il tessuto, ormai cucito e confezionato, venne riempito dalla parte della testa con della crusca di grano, la semplice semola che si aveva in casa. Dapprima preoccupata per quella semplice accozzaglia di poche cose, la scoprii poi graziosa e piacevole, perché risultò… divertente al tatto, con il corpo ben sostenuto. Con il rossetto le vennero sfumate le guance e con del filo nero di lana, a quella che stava cominciando ad acquistare la somiglianza a una bambola, le vennero fatti i capelli, alla fine raccolti in graziose trecette.

Isabella – Con i cugini e i bambini del vicinato, venne fantasticato il battesimo con tanto di  pranzo, che consisteva in una fetta di pane e mezza mela per ciascuno. Chiamammo con il nome di  Isabella quella bambolina, che ben presto divenne la compagna dei nostri giochi e dei nostri includenti lavori. Ci dilettavamo a crearle sandali con il cartone e dei nastrini, a farle dei vestiti con gli avanzi dei lavori fatti in casa dalle sorelle. E Isabella era per noi sempre in bella vista anche quando eravamo impegnati in altri giochi. Un giorno vedendola imbruttita, decisi di lavarla con acqua e sapone, poi la misi ad asciugare esposta al sole, in un lato della nostra casa di campagna.

Le galline e l’ocone – Per qualche ora tutto andò bene. Questo “bene” durò fino a quando non s’incominciarono a udire schiamazzi di galline. Corsi velocemente verso la provenienza di quei tanti schiamazzi gallinacei e fui spettatrice della cruda realtà: le galline avevano strappato il sacchetto di tela e si erano tutte buttate, litigando per il primo posto, a spizzicare voracemente quella crusca per loro una vera manna! Uno spizzichìo che durò poco per il sopravvenire di un ocone maschio, il quale si mise a inseguire ogni altro animale presente per sgombrare la piazza. Al mio arrivo, intenzionata a salvare qualcosa, dovetti scappare perché l’ocone, anziché scappare costrinse me a farlo.

Fine di una bambolina di pezza – Alla fine di quella gallinacea orgia, di Isabella raccolsi quel poco che restava e lo riposi in una scatola ma era rimasto ben poco… bagnato da qualche dolorosa lacrima. Con quella bambolina morirono anche i miei sogni, si concluse la mia infanzia e, forse, ebbe fine il tempo della mia fanciullezza. Mi rimase solamente la struggente memoria di averla tenuta stretta stretta al mio cuore,  nonché la gioia provata ogni qualvolta ero riuscita a cucirle qualche vestitino.

Ieri e oggi – Che tempi, quei tempi fatti di quel poco che a noi tutti sembrava molto! E confermo a me stessa, costretta a veder sciupare oggi questo veramente tanto che la nostra epoca ci regala, che quel poco di allora era, per noi, davvero tanto, più di questo tanto di oggi che disimpara e diseduca, perché tutto pronto, tutto già confezionato, talmente ammannito che non allieta più nessuno!

La cerimonia – Non ho parlato del volto religioso della Santa Cresima perché ricordo poco, tranne quell’attesa, quell’ansia mista a qualcosa di grande. Nel fatidico giorno la chiesa era gremita di persone e il parroco aveva disposto i banchi per noi cresimandi a U: noi bambine e bambini tutti intorno, lasciando agli altri fedeli i lati. Il vescovo uno a uno ci ha poggiato la mano in testa facendoci il segno della croce in fronte, poi con fare garbato una carezza sulla guancia. Con quel gesto ci ha consacrato “soldati di Gesù”, pur se ero troppo piccola per capirne il significato sacro. Non rammento altri particolari, tranne il fatto che a casa c’erano gli zii e altri parenti che non conoscevo. Per me la cosa più cara era… “la bambolina di pezza”.

Emilia Violini

22 giugno 2020

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