Usanze e tradizioni carnevalesche non più in uso del territorio maceratese  

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Da un articolo di don Pietro Diletti e da testimonianze di Dante Cecchi e Libero Paci: “Del Carnevale maceratese sono state tramandate molte descrizioni e i nostri nonni hanno ricordi ben vivi nella loro mente.

I festeggiamenti per il carnevale avevano un crescendo che si acuiva particolarmente nel periodo classico tra il giovedì grasso e il martedì detto appunto di carnevale. Si confezionavano e si mangiavano dolci tradizionali – scrive don Diletti – come gli scroccafusi, le frappe (o sfrappe) – li frittelli – le castagnole – la cicerchiata – li fiocchi”.

Antiche usanze – In ogni carnevale non mancava mai il cosiddetto “ballo dei vecchi”. In tale circostanza dovevano intervenire tutti gli ammogliati, soprattutto i più anziani. Una figurazione tipicamente caratteristica del giovedì grasso era quella de “lu lardellu” o de “lu coccocicciu”. Gruppi di bambini, tutti tinti in viso con il carbone, a guisa di spazzacamini, con uno spiedo in mano, andavano di casa in casa a chiedere in elemosina lardo, salsicce o addirittura denari: rappresentavano i bambini poveri, i cui genitori non avevano potuto ammazzare il maiale…Ma anche le donne adornate di lauro il crine e il guarnello, con uno spiedo alla sinistra e il cembalo alla destra si presentavano sull’aia delle case coloniche e cantavano, sui motivi di canzoni a ballo, agitando in alto il tamburello. A “lu lardellu” di Macerata corrispondono “lu coccocicciu” di Camerino, “il ciuccolaio” di Albacina, e, in forma più cittadina, il “ciccolaio” di Fabriano.

Gli scherzi – Il martedì di carnevale, vigilia della lunga astinenza quaresimale, si raggiungeva il massimo del frastuono e dell’allegria. E innumerevoli erano gli scherzi, alcuni di pessimo gusto, che si organizzavano nella circostanza. A esempio una operazione chirurgica, con cioccolato e salsicce al posto delle interiora del malcapitato finito – nell’occasione – sotto i ferri del finto chirurgo.

Adamo ed Eva nudi – Dante Cecchi, in uno dei volumi “Macerata e il suo territorio” editi dall’allora Cassa di Risparmio, in un capitolo dedicato alle Feste, scrive: “Nelle campagne, a carnevale, si intensificavano le ‘veglie’ con suoni e danze, con inviti reciproci e la confezione di dolciumi vari. Nei paesi avevano luogo i veglioni, con la partecipazione di operai e artigiani (nessuno si levava i guanti bianchi prima della mezzanotte!). Per le strade e lungo le vie principali c’erano corsi mascherati e figuranti che si mascheravano a rappresentare i mesi dell’anno, o le fasi della vita contadina in genere. Due buontemponi maceratesi nei primi anni del ‘900, esperti conoscitori della ‘Storia Sacra’ si camuffarono (si fa per dire) da Adamo ed Eva, sfidando il freddo e comparendo completamente nudi anche se opportunamente truccati, su un carro addobbato con finti rami e foglie”.

Le società organizzatrici – Furono costituite a Macerata varie società che si incaricavano di organizzare festeggiamenti e baldorie: La Compagnia dei Begli Umori; la Soc. dei Quarantacinque; la Foglia Verde; la Borghigiana; la Cairoli; la Cavour; la Cittadina ecc. Si legge che, in tempi passati, coincidendo il Carnevale con la festa del “San Gnulià d’inverno” i giovani osassero “commettere cose disoneste” (depravati mores è detto nello Statuto della città di Macerata impresso da Luca Bini nel 1553), per cui la festa del patrono fu spostata ai mesi estivi. Resta comunque assodato che anche nei secoli passati ci fosse l’usanza di bersagliare, specie le donne, con aranci e altra frutta, quasi fosse un omaggio, come dice lo Spadoni. Ancora oggi il Carnevale di Ivrea si caratterizza per questi lanci…

I giochi carnevaleschi del XIX secolo – Libero Paci racconta che grandi cose si facevano a Macerata nel corso del XIX secolo, a imitazione del Carnevale Romano: la corsa dei cavalli berberi, lungo lo stradone di “Porta Romana” attuale Corso Cavour; si estraeva una tombola allo Sferisterio (nel 1852 se ne fece una che aveva come premio 870 svanziche!); il martedì grasso si faceva la “processione de li moccoletti”, in cui i partecipanti sfilavano per le vie della città tenendo in mano un candelotto acceso e con esso tentavano di spegnere quello degli altri, cercando di difendere il proprio; veniva eletto un “Messer Carnevale” il quale – su invito delle autorità cittadine – verso la fine del 1800, pubblicò un manifesto in cui invitava i cittadini a “dimenticare rancori e odi per avere un sol pensiero:l’allegria!” e concludeva con un esilaranteVIVA IO”. In altre località del maceratese (Sarnano, Appignano. Montecassiano, Montefano, Pollenza,) si faceva il processo al Re Carnevale. Verso la mezzanotte del martedì grasso suonavano tutte le campane per avvertire che cominciava la Quaresima: entro le 23 si doveva consumare tutto il cibo rimasto sulle mense. Un’ora per procedere alla pulizia di tutto ciò che era servito per la cena, con il massimo scrupolo, perché non rimanesse nemmeno una traccia di grasso su piatti, pentole, posate ecc.

La cerimonia della “segavecchia” – Altrove – scrive don Diletti – sempre nel maceratese, “con apparato funebre buffonesco, un fantoccione immenso veniva portato sulla piazza principale e, quivi, tra la più gran gazzarra bruciato”. E, intorno tutte le maschere a ballare, ridere e gridare. In altre località si esponeva la figura enorme della cosiddetta “Vecchia” con la rocca e il “pennacchio”, pupazzone pieno di uova sode, frutta, fichi secchi, confetti, castagne ecc. Tale fantoccio nel pomeriggio del martedì veniva spaccato, segato, da cui la cerimonia della “Segavecchia” e il contenuto veniva distribuito a tutti, specie ai ragazzini che non aspettavano altro. Il sacerdote salesiano conclude il suo articolo riportando questi versi in dialetto: “È finitu Carnuà / e ste vèlle piagnerà / Lu piagnerà ste vèlle / che si son fatte sbaciucchià / Finitu Carnuà / Finitu amore / Tanto le vèlle quanto le vrutte / Fra Pasqual le confessa tutte / e in giro giretto / se sente scoccà / qualche vascetto”.

Goffredo Giachini

14 febbraio 2021

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