Il “grippe” a Montolmo nel 1837: è l’antenato del malanno di questi ultimi 3 anni?

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In periodo di epidemia non mi poteva di certo sfuggire una pubblicazione edita in Bologna nel 1837: Bollettino delle Scienze Mediche, della Società Medico-Chirurgica del capoluogo Emiliano. In essa si può leggere un lungo studio del dottor Angelo Sorgoni di Recanati, primo medico di Montolmo, dal titolo Annotazioni cliniche sul Grippe secondo le osservazioni fatte in Montolmo, nelle Marche, provincia di Macerata.

Cosa fosse il grippe non è proprio chiaro, possiamo solo definirlo genericamente come una epidemia influenzale ma di certo non è classificabile. Lo stesso termine di origine francese non ha una chiara etimologia: c’è chi lo fa derivare dal tedesco ‘Krip’ poiché gli ammalati avevano la faccia raggrinzita, contratta e smagrita, chi dal polacco ‘krypka’ che significa raucedine. Una vera pandemia che, come precisa il Sorgoni, si manifestò per la prima volta a Parigi nel 1729 e da lì in tutta la Francia e l’Europa, per poi ripresentarsi molte altre volte in anni successivi.

L’epidemia di Pietroburgo del 1782 ha qualcosa di leggendario: si dice che all’origine ci fosse stato un improvviso cambiamento della temperatura: il 2 gennaio da -35° si passò in poche ore a 5°. Il giorno successivo 40mila persone si ammalarono tutto di un colpo; tutta la guarnigione militare rimase  bloccata a letto. Fortunatamente però, in questo caso, pochi furono i decessi.

Il Sorgoni analizza l’evoluzione del morbo che aveva colpito Montolmo nel 1837 specificando che in alcune parti d’Europa come Inghilterra e Francia aveva provocato molte vittime mentre nelle nostre zone vi era stata un’evoluzione benigna. Il grippe era apparso nell’Italia settentrionale in marzo dopo un lungo periodo di forti piogge; ad aprile si propagò nelle Marche e ad inizio maggio “una gran parte della popolazione ne era affetta”.

Si manifestava abbastanza repentinamente, passando “dalla più florida salute alla malattia” ed era preceduto da spossatezza delle estremità inferiori e mal di testa. Quindi compariva la febbre che poteva durare un paio di giorni oppure  protrarsi fino a una settimana. I sintomi, oltre la detta febbre, erano un dolore diffuso in tutto il corpo, sensazione di freddo lungo la schiena e alle gambe con “punture dolorose sul dorso della pianta dei piedi, delle ginocchia e dell’esterno coscia, con contratture a guisa di granchio delle estremità”: un effetto che sicuramente avrà spaventato sia gli ammalati che i famigliari. Inoltre era sempre presente un forte mal di testa, contrazione dei muscoli facciali e inoltre, per non farsi mancare niente, anche insonnia. La contrazione delle fauci del viso a volte sfociava in mal di gola, tosse secca, difficoltà respiratorie e dolore al petto. Nel decorso più lieve, come detto, la febbre scemava dopo un paio di giorni con una abbondante sudorazione e frequenti minzioni. Rimanevano però sia il dolore agli arti inferiori che la muscolatura contratta.

Ricordiamo che gli antidolorifici in questo periodo non erano di certo molto efficaci e comuni: unico degno di nota l’oppio e poi la morfina commercializzata solo negli anni ‘20 dell’800. La china veniva usata come antipiretico, il calomelano (solfuro nero di mercurio) come purgativo e il tartaro (tartaro di potassio e antimonio) come emetico, cioè per provocare il vomito. Il salasso veniva usato ormai dai secoli come panacea di moltissimi mali. Nell’ipotesi della durata della febbre per una settimana, spesso sopraggiungevano problemi gastrointestinali, forti dolori, fitte e contrazioni degli arti, repentini sbalzi di temperatura e mal di testa talmente forte da provocare “un torpore delle funzioni intellettuali”.

Con il perdurare della malattia comparivano anche malattie polmonari, specialmente tra chi ne soffriva, e problemi gastrointestinali. Cessata la febbre, la completa guarigione arrivava solo dopo 3 o 4 settimane: rimaneva spesso il forte mal di testa che si riproponeva stranamente sempre nelle stesse ore del giorno. Per la cura il Sorgoni non seguiva il metodo dei salassi del francese Lepelletier, perché riteneva che il grippe si curasse principalmente promuovendo una forte sudorazione nel paziente. A tal fine veniva utilizzato il tartaro emetico per farlo vomitare, infusi di fiori di sambuco per aumentare la sudorazione e per i suoi effetti diuretici, e altri rimedi di questa natura, ottenendone, come scrive, “sommo profitto”: nessun suo paziente era deceduto.

Quando si avevano problemi gastrointestinali il medico recanatese procedeva con purghe e solo in  casi estremi e con molta prudenza con salassi. In casi di congestione al petto potevano avere effetti benefici “bagni tiepidi delle estremità superiori e inferiori”. Nel caso fossero insorte polmoniti e itterizia, si consigliava procedere con le solite cure. Dopo una lunga e articolata dissertazione, il Sorgoni ipotizza che il grippe sia una “nevrosi che ha sua sede essenziale nel sistema cerebrospinale” e che per varie cause concomitanti, specialmente atmosferiche, esplodesse e si propagasse.

Sicuramente la cosa che trapela dalla relazione medica è la professionalità e cura con cui il Sorgoni, certamente in un contesto epidemico e sociale non facile, si occupa dei suoi pazienti; inoltre crea quasi stupore come un normale medico potesse effettuare ricerca e proporre le sue osservazioni e tesi in un contesto di carattere nazionale ed europeo. Ormai siamo abituati a una società in cui la ricerca viene effettuata solo da grandi multinazionali farmaceutiche o da enti statali, e la relazione del Sorgoni, chissà, forse scritta di notte per non togliere tempo ai suoi pazienti, ha qualcosa di “romantico” e sicuramente di molto umano.  

Modestino Cacciurri

1 maggio 2022

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