Tassello in favore di Aquisgrana in Val di Chienti: le Clusae Langobardorum e la sconfitta di re Desiderio

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La tradizione storica locale identifica come clusae langobardorum, la celebre fortificazione teatro dello scontro di Carlo Magno re dei Franchi con Desiderio re dei Longobardi, tra il 771 e il 774; è la poderosa struttura difensiva che fiancheggia il rio Pracchio, nel territorio comunale di Chiusa San Michele, in val di Susa (Torino). Questa attribuzione resta ancora fortemente dubbia, non avendo concreti riscontri archeologici; le prove sulla localizzazione delle Clusae Langobardorum in val di Susa, sono abbastanza fragili e facilmente contestabili. La ricerca che segue ha per obiettivo principale la ricollocazione delle Clusae, tramite l’esame di documenti antichi, e la conseguente dimostrazione di quanto sia credibile la esistenza di una Francia Picena, con relativa localizzazione della principale Aquisgrana in un luogo diverso da Aachen.

Per quanto ho potuto appurare, le criticità delle Clusae in Val di Susa sono fondamentalmente tre.

  1. a) Chiusa di San Michele è stata chiamata così, in epoca successiva, presupponendo lì la presenza precedente delle fortificazioni longobarde. È il solito riferimento al “si dice”, alla tradizione, che diventa verità storica senza prove specifiche. Quindi senza alcun valore documentario.
  2. b) La localizzazione in quel posto delle Clusae in quanto costruite a difesa dalle invasioni dei confinanti Franchi. A parte la difficoltà di transito di un esercito, con salmerie, equipaggi ecc, su di un valico angusto e scosceso, c’è da considerare pure che, almeno fino al re franco Pipino il Breve, non risulta ci fossero mai stati grossi screzi fra i due regni, anzi il contrario. A tal proposito riporterò in seguito un passo di quanto scritto dallo storico Troya.
  3. c) L’unica possibile vera prova l’ho individuata in un Capitulare di Carlo Magno dell’806. Nel documento con cui l’imperatore si impegna a spartire l’impero fra i tre figli, nel descrivere i confini di una porzione di questo, si trova scritto: Moncenisio, val Sigusina fino alle chiuse (clusas, con lettera minuscola). Sembrerebbe un fatto conclusivo, ma potrebbe non essere così.

Analisi delle parole – In tempi successivi, l’Annalista Saxo, riguardo allo scontro fra Pipino e Astolfo del 755, al posto di Clusae Langobardorum, scrive claustra. Anche nel Chronicon Harimanni, anno 773, nella descrizione della campagna di Carlo Magno contro Desiderio, troviamo scritto Claustra al posto di Clusae. Si tratta di possibile errore, ma questo ci fa pensare che al posto di clusa si potesse scrivere pure claustrum, cioè che le due parole, in certi casi fossero sinonimi. Considerato che claustrum si riferisse a caratteristica fisica del territorio, che clusae, quindi, senza specificazioni e con lettera iniziale minuscola, avesse pure il significato di strettoie della valle, di gole. Nella bassa valle di Susa la strettoia è una, da cui Chiusa di San Michele e non (plurale) Chiuse. In Annales Regni Francorum, anno 817, troviamo un altro passo che, a ben vedere, indirizza verso il significato ipotizzato: “iam omnes aditus, quibus Italiam ingreditur, id est clusas, impositis firmasse praesidis…” che già in tutti gli ingressi, con cui si entra in Italia, cioè le chiuse… (Le chiuse quindi, erano tutti i passaggi ristretti che permettevano di entrare in Italia!).

La ubicazione più esatta – Considerato che non si trova altra indicazione precisa sulla ubicazione delle fortezze longobarde, neanche nelle indicazioni dei confini, non si può essere certi che alla fine della Val di Susa ci fossero le credute fortificazioni. Neppure l’attenta lettura di quanto riportato nel Chronicon Mossiacense contribuisce a fugare i tanti dubbi. “Illi vero missi promittebant non aliter domnum Pippinum a finibus LANGOBARDIAE esse profecturum… Pippinus igitur iter coeptum peragens ad Clusas Langobardorum pervenit.” In Italiano: In verità quei messaggeri assicurarono che in caso contrario Pipino non si sarebbe allontanato dai confini della Lombardia… Pipino proseguendo il viaggio intrapreso, arrivò alle Chiuse dei Longobardi. Le chiuse dei Longobardi, pertanto, si trovavano ai confini della Lombardia. Né Torino, né la Val di Susa si trovavano ai confini della Lombardia, nemmeno allora.

Fondati dubbi – Da quanto annotato c’è la necessità di ricercare altri indizi  per avere più certezze. Leggendo attentamente gli Annales Regni Francorum, anno 773 (ma forse si trattava del 772, come si può dedurre  da diversi documenti), a cui, fra l’altro, fanno riferimento le tante memorie storiche scritte successivamente, si rafforzano i fondati dubbi sulla ubicazione delle Clusae Langobardorum, opere di difesa longobarde, credute essere nella bassa Val di Susa, precisamente nell’attuale territorio del Comune di Chiusa di San Michele. La descrizione dei fatti sembra precisa, articolata e ricca di particolari, per cui dire che sia errata, senza saperne il perché, in maniera preconcetta, penso che non possa essere condivisibile. Consigliando di tenere in vista la cartina delle Alpi Occidentali per una opportuna valutazione sulla collocazione dei fatti descritti, riporto la mia approssimativa traduzione del passo.

La traduzione – “…Allora il detto glorioso re tenne un’assemblea generale con i Franchi nella città di IENUAM-GENOVA (non Geneuam, ossia Ginevra). Qui, dividendo l’esercito, il già citato signore si diresse egli stesso verso il Moncenisio e mandò suo zio Bernardo con altri suoi fedeli verso il Monte di Giove (creduto erroneamente il Gran S. Bernardo) e, di seguito, quando i due eserciti si riunirono alle Chiuse, Desiderio stesso venne contro il re Carlo. Frattanto il signore re Carlo insieme con tutti i Franchi pose l’accampamento vicino alle stesse Chiuse, dopo aver mandato piccoli contingenti dell’esercito sui paesi montani. Accortosi di questo (cioè dei movimenti di truppe sia verso il Moncenisio sia verso il Monte di Giove) Desiderio abbandonò le Chiuse (lasciandole sguarnite) e il sopraddetto Carlo insieme ai Franchi con l’aiuto di Dio, tramite l’intercessione del Beato Pietro Apostolo, senza alcuna lesione o altro impedimento, aperte le Chiuse entrò in Italia con tutti i suoi fedeli. Arrivò a Pavia e assediò la città con il re Desiderio”.

Interpretazioni fantasiose – Nel passato questa descrizione è stata interpretata in tanti modi, i fatti anche in maniera fantasiosa; la collocazione delle Chiuse dei Longobardi venne sempre creduta essere stata nella bassa Val di Susa. Tutti gli studiosi, inoltre, sono stati concordi nell’identificare Ienuam, la città di partenza, con Ginevra. C’è chi afferma che Carlo Magno avesse evitato le Clusae (fortificazioni longobarde), riuscendo ad aggirarle; chi sostiene che Bernardo, passando per il Gran San Bernardo (mons Jovis), fosse riuscito a sconfiggere il principe Adalgiso (Adelchi), figlio di Desiderio, e raggiungere così Ivrea. Particolarmente fantasiosa la descrizione dei fatti negli Annales Novalicenses (annali del Monastero di Novalesa, situato vicino il passo del Moncenisio, poco a monte di Susa), risalente ad alcuni secoli successivi.

Il miracolo – Vi è riportato che Carlo Magno e il suo esercito vi si fermassero per lunghissimo tempo, tanto a lungo che finirono tutte le scorte alimentari del convento, obbligando di fatto l’abate di nome Frodoino, a ricorrere a un grosso miracolo, con questo a ripristinare le scorte alimentari e a riempire di buon vino le botti che i franchi avevano svuotato. Mentre Carlo Magno e i suoi bivaccavano tranquilli, poco più sotto, a pochi chilometri da lì, per Desiderio e i Longobardi il clima era ben diverso. Questo, ritenendo il suo esercito troppo piccolo, aveva chiesto altre truppe ai vari duchi, che avevano risposto picche e consigliato di costruire un lungo muraglione nella valle, da monte a monte.

La ricompensa e il dubbio – Così, mentre i franchi più in alto erano intenti a consumare le scorte del monastero di Novalesa, in basso i Longobardi erano impegnati a costruire un muro lungo più di un chilometro, che poi non servì a nulla! Il tutto mentre a Pavia il vescovo Teodoro era impegnato nella consueta attività, cioè episcopabat… (qui tunc episcopabat). Ometto il finale e ritengo che, quanto riportato, giustificasse l’attesa di una bella ricompensa ai frati, appena finita la campagna. Invece non fu così: Carlo Magno si affrettò a fare grosse elargizioni solo al cenobio di Bobbio! Comportamento da ingrato o i fatti si svolsero in altri siti? Tutte le varie descrizioni, spesso arricchite con aggiunte immaginate, contrastano, almeno in parte, con una interpretazione letterale con quanto contenuto negli ARF (Annales Regni Francorum): proprio questo contribuisce a rafforzare l’ipotesi che i luoghi siano stati diversi.

Un punto di difficile comprensione – Si è creduto che, fatta l’Assemblea a Ginevra, l’esercito fosse stato diviso in due parti, una si avviasse verso il Gran San Bernardo, l’altra verso il Moncenisio e che, subito dopo, riunitosi, si posizionasse sul Moncenisio, proprio al di là delle Chiuse dei Longobardi, situate nell’attuale comune di Chiusa di San Michele. Non si comprende come abbia fatto la parte dell’esercito con lo zio Bernardo, che si era diretta verso la Valle d’Aosta, a ritrovarsi puntualmente sul Moncenisio, al di là delle presunte Chiuse, quindi passando obbligatoriamente dalla Francia, per riunirsi a Carlo Magno.

Altro punto di difficile comprensione – Non si capisce nemmeno come mai Desiderio “hoc sentiens”, sentendo che c’erano movimenti di truppe, sia nei paesi montani del Moncenisio, sia sul passo del Gran San Bernardo, fuggisse a gambe levate con tutti i suoi soldati per rifugiarsi a Pavia, senza nemmeno tentare una manovra difensiva. In fondo c’erano il tempo e lo spazio. Da Susa a Pavia sui 200 Km! Da sottolineare “hoc sentiens”, cioè sentendo gli informatori, quindi non vedendo i movimenti di truppe. I franchi andati sui paesi di montagna erano lontani… le scaras non si riuscivano a vedere dalla valle di Susa dove era Desiderio. I finti movimenti di truppe non si svolgevano nei paraggi!

Ennesimo punto di difficile comprensione – Un altro punto difficile da capire è il perché i vari duchi avessero lasciato solo il loro re. Si potrebbe comprendere per quelli di Spoleto e Benevento, che erano lontani, ma non per quello di Torino, proprio nel presunto territorio interessato agli eventi. Oltre a quanto sottolineato ci sono pure altri motivi che fanno pensare a diversa  collocazione delle Chiuse e a uno scenario diverso in cui i fatti siano avvenuti.

Genova o Ginevra? – La città di partenza IENUA si è sempre creduto che fosse Ginevra, che a quei tempi si chiamava GENEUA. Ienua assomiglia di più a IANUA, ossia Genova. Soltanto negli Annales qui dicuntur Einhardi, vi è riportato Geneuam , seguito da “Burgundiae civitatem prope Rhodanum sitam (situata presso il Rodano). Penso che le considerazioni da fare siano tre:

  1. a) La città rivierasca, già importante nel medioevo, non aveva bisogno di essere così particolarmente localizzata.
  2. b) In tutti gli Annali detti di Eginardo tale precisa puntualizzazione del sito, non viene mai usata per altri centri, eccettuato lo sconosciuto villaggio di Saltz, in Germania, dove c’era un palazzo di Carlo Magno e quello piccolissimo di Caffesstein.
  3. c) Detti Annali non si sa con certezza da chi siano stati scritti, né soprattutto, quando.

Depistaggi? – Viste le tre cose non si può non pensare a possibile depistaggio o ad aggiunta successiva. Da sottolineare (anche per pareggiare i conti), che nel Codex Petropolitanus (la parte scritta nel Monastero di San Medardo Suessonico), nel riportare il medesimo fatto, si trova scritto proprio Ianuam (Genova). Subito vien da pensare che Genova non potesse essere, in quanto stava nel ducato di Liguria, possedimento longobardo fin dal tempo del re Rotari (643). Corrispondeva al vero, almeno sulla carta, ma quasi tutto il territorio, compresa la stessa, era possedimento del Monastero di Bobbio, che vi esercitava un potere di fatto esclusivo. Leggo in “Dai Carolingi all’anno 1000”, su Genova: “…in quanto i Genovesi erano diventati parte del regno longobardo, ALMENO IN TEORIA. Nessuna moneta longobarda o ceramica sono state trovate a Genova”.

Il percorso “facile” – Si comprende come il Monastero di Bobbio fosse praticamente padrone della regione, per questo avrebbe potuto “accogliere liberamente” Carlo Magno e il suo esercito. A ben vedere poi, fin dai tempi precedenti i Franchi percorrevano tranquillamente la regione, tramite la “litoranea”, ossia la consolare Aurelia, per passare dalla Provenza alla Tuscia e poi nel Piceno e a Farfa (nella Francia Antiqua o Picena) e viceversa. Indicativo, puntuale e gratificante fu l’operato di Carlo Magno nei confronti del Monastero di Bobbio, quasi a dimostrare che c’erano dei doveri concordati, come in seguito cercherò di spiegare.

Le terre cedute – Per il momento penso che sia opportuno analizzare altri aspetti contrari alla possibilità che le Clusae Langobardorum fossero proprio al termine della Valle di Susa, sul Moncenisio, nel comune di Chiusa di San Michele. In merito ai possedimenti longobardi in Val di Susa, sono rimasto sorpreso nel leggere quanto in “Storia d’Italia del Medioevo” di Carlo Troya ( vol. IV): “Le due Rezie dai giorni d’Augusto sino a quelli d’Odoacre e di Federico (Teodorico?) appartennero all’Italia, ma negli ultimi anni de’ Goti caddero in mano de’ Franchi. Né ai Longobardi sopravveggenti bastò il cuore di pensar solo a riaverle. I duchi anzi cederono il giro dell’Alpi a’ Franchi, abbandonando loro le due Valli di Susa e d’Aosta con la terra di Amategis, oggi detta di Matio di Lorenzo (Mattie), a poca distanza da Torino. In tal modo i Franchi stanziaronsi nel cuor della nostra penisola ed ebbero i varchi e le chiavi dell’Alpi”. Incomprensibile perché i Longobardi avessero lasciato ai Franchi l’alta valle di Susa, molto più adatta per sbarramenti e poi costruire muraglioni più in basso dove gli spazi sono ben più ampi. L’unica spiegazione: fra i Longobardi e i Franchi non c’era ostilità. A tal proposito penso che sia utile ricordare che nel 738 il re longobardo Liutprando aiutò Carlo Martello a scacciare gli Arabi dall’Aquitania e che, l’anno precedente, aveva addirittura adottato suo figlio Pipino, in modo che avesse le carte in regola per diventare il futuro re dei Franchi.

Fortificazione o opera idraulica? – Per quanto riguarda le fortificazioni poi, la tradizione locale identificava come opere di difesa longobarde alcune mura, costruite lungo il rio Pracchio di Chiusa di San Michele, probabilmente a difesa della frazione dalle alluvioni. Si trattava quasi sicuramente di un’opera idraulica a ridosso delle case. Anche i resti di mura megalitiche escludono i longobardi, sia per l’eccezionale grandezza delle pietre, sia per il taglio delle stesse. Forse sono i resti delle mura ciclopiche della mitica città preistorica di Rama. Attualmente si pensa che siano opera difensiva longobarda i  resti di un muro quadrato sottostante la chiesetta sconsacrata di San Giuseppe. Questo parere sembra azzardato, principalmente per le dimensioni troppo ridotte del manufatto. In conclusione si può affermare che nessuna prova, nessun indizio concreto siano sopraggiunti, anzi forse il contrario! L’inverso, pensando che la zona abbia assunto il nome di CHIUSA di San Michele, proprio perché lì c’erano le CHIUSE dei Longobardi, come si sostiene. Ad esempio, San Vittore alle CHIUSE (comune di Genga), si chiama così perché lì si pensa che ci fossero le Chiuse dei Franchi (Clusae Francorum). Da Clusae = Chiuse e non Chiusa. Chiusa fa pensare a un’ opera idraulica oppure a un restringimento della valle, come c’è effettivamente, e non a diverse fortificazioni. Anche dalle dette considerazioni si può cominciare a pensare che la località dove erano situate le fortificazioni fosse diversa dalla val di Susa.

La nuova ipotesi – Carlo Magno nel 773 (o meglio, nell’autunno del 772, come tanti documenti lasciano dedurre), mossosi da Theodone-ville (attuale Diedenhofen), sostò a Genova e non a Ginevra, aveva non solo il permesso ma anche il sostegno dei monaci di Bobbio. Ora propongo la rilettura del brano tenendo in vista l’atlante geografico, ciò anche per valutare il grado di attendibilità della diversa visione. Carlo Magno col suo esercito era arrivato a Genova (Ianua), lì organizzò l’Assemblea con i Franchi per attuare quanto aveva già deciso. Finse di applicare la consueta strategia vincente: la manovra a tenaglia, per circondare e sconfiggere facilmente l’avversario. Questo per poter superare le forti difese dei Longobardi erette in valle Scrivia, nei pressi della vecchia via Postumia. Queste difese, di cui, a ben vedere, restano testimonianze importanti, delle quali si parlerà in seguito, erano forse le più imponenti di tutto il regno e costruite a difesa della capitale Pavia, distante una sessantina di chilometri. Quello era il punto vulnerabile, da lì i re longobardi pensavano che potesse provenire un attacco, preoccupante soprattutto per la vicina capitale. Da lì, più che dagli innevati e pericolosi valichi alpini poteva attaccare un esercito nemico!

La manovra a “tenaglia” – Carlo divise l’esercito in due parti a Genova, una iniziò a dirigersi verso ovest, verso il Moncenisio e l’altra verso est, verso il monte Giovo (di Giove), ma poi tutto l’esercito si ritrovò in Valle Scrivia, poco più a sud delle fortificazioni degli Arimanni longobardi, situate sui colli a ridosso della Scrivia, sulla collina che ancora si chiama Armaneina e nelle vicinanze, a ridosso di Serravalle Scrivia e Libarna. Alcuni squadroni, però, continuando il viaggio, sia verso il Moncenisio sia verso il monte Giovo, cominciarono le esercitazioni, dando l’impressione che tutto l’esercito si muovesse per scendere in pianura. Appena arrivato in pianura, una parte dai pressi di Torino, l’altra dalla zona di Piacenza, la cavalleria pesante del re franco, in pochissimo tempo sarebbe arrivata a Pavia senza difese, e Desiderio, rimasto escluso, inesorabilmente sconfitto. Per questo si affrettò a lasciare le Chiuse con tutti i suoi Arimanni (i soldati al diretto comando del re). Più che comprensibile il comportamento di Desiderio, che era caduto nella trappola preparata da Carlo Magno. Se le Clusae fossero effettivamente situate a CHIUSA di San Michele la fuga sarebbe stata un po’ meno comprensibile. Lasciando alcuni suoi contingenti a difesa della gola, avrebbe benissimo potuto sconfiggere Bernardo, che scendeva dalla valle d’Aosta per poi dare man forte agli altri. Poi, come accennato, non si capisce nemmeno perché non abbia tentato un’azione difensiva prima di rinchiudersi in Pavia, in fondo c’erano il tempo e lo spazio per approntarla.

Il monastero di Bobbio – Un ulteriore indizio sta proprio nel comportamento di Carlo nei confronti del Monastero di Bobbio. Il giorno 5 giugno del 774, addirittura prima essersi nominato re dei Franchi e dei Longobardi (10 luglio), rilasciò un Diploma, il solo nei confronti di soggetti italiani, con una grossa elargizione al cenobio di Bobbio, un tratto di territorio tanto desiderato dal monastero, che gli avrebbe permesso il transito delle merci fino al porto di La Spezia, ma non solo. Il dono della collina degli Arimanni (Serravalle Scrivia) con le caserme e connessi, forse anche il monte Spineto con il piccolo Monastero di San Michele, dall’altra parte del fiume, permettendo così la padronanza assoluta dell’ex via Postumia! Il fatto che, anche oggi, l’altura a monte della statale SS 35 vicino Libarna sia conosciuta come colle degli Arimanni, non solo, ma che, dall’altra parte del fiume il monte Spineto (in comune di Stazzano) nell’alto medioevo fosse chiamato monte Arimanno…, che le caserme e le fortezze potessero contenere cinquemila soldati, ci fa giustamente pensare: eccole le Chiuse dei Longobardi! Penso che potrebbero trovarsi ancora dei resti di queste. In quel luogo potrebbe esserci stato pure un posto di blocco doganale, come erano soliti fare i Longobardi ai confini, che ostacolava il libero transito delle merci, poco sopportabile per i monaci bobbiensi.

Accordi preventivi – Un regalo, quello di Carlo, talmente mirato e tanto tempestivo da far pensare, più che a un correlato sentimento di gratitudine da parte del re, ad accordi precedenti le azioni militari per un qualcosa che Bobbio aveva fatto. Aveva accolto e sostenuto Carlo e il suo esercito durante la campagna militare. Se i fatti si fossero effettivamente svolti in Val di Susa simile comportamento si sarebbe atteso per il Monastero di Novalesa e non per quello di Bobbio, che lassù non aveva alcuna proprietà. Le conseguenze di quanto affermato sarebbero importanti, confermative della presenza di Franchi nel Piceno durante l’alto medioevo, presenza massiccia tanto che la regione era chiamata Francia (Picena o Antiqua).

La Francia Picena – I Franchi per tutto il medioevo poterono spostarsi dalla valle del Rodano utilizzando, almeno in parte, la litoranea ligure, ex Aurelia, oltre che la via Francigena. Dalla Liguria alla Tuscia, poi nel Piceno e a Farfa. Questa fu la strada che pure gli esuli “occitani” avevano utilizzato per stabilirsi nel Piceno, per sfuggire agli Arabi, poi fermati da Carlo Martello. La concreta possibilità che Aquisgrana, la capitale di Carlo Magno imperatore, che non era Aquis-villa, chiamata pure Aquispalatio, oggi Aachen, fosse nel Piceno. Che Pipino il Breve, nel 754 si trovasse nella Francia Picena e risalisse la Tuscia per arrivare alle Clusae, fatto testimoniato pure dal viaggio fatto l’anno prima da papa Stefano II per raggiungerlo in Francia, a Ponticone (forse Sant’ Angelo in Pontano). Il poter constatare che allora erano considerate Alpi anche l’Appennino Settentrionale (Alpes Appenninae) aiuta molto nella valutazione di questa ipotesi. Conoscenza da approfondire adeguatamente, potendo contare sulle accresciute possibilità di indagine dell’archeologia.

Giustino Falasconi

6 maggio 2022

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