Seconda parte – dalla Siberia in Mongolia – In pochi chilometri, appena il tempo di varcare il confine, il paesaggio cambia completamente. Una steppa verde, pochi alberi, terreno sabbioso, grandi pianori circondati da colline. Greggi di pecore, mandrie di mucche e cavalli al pascolo, e le tende mongole, le caratteristiche tende circolari, di feltro, con una sola apertura sempre verso Sud, e il tubo della stufa che esce al centro della cupola. Il paesaggio è stupendo, il sole illumina le creste delle colline e fa sembrare ancora più verde l’erba dei pianori. Non c’è agricoltura, i mongoli sono sempre stati un popolo di nomadi, le loro case sono le tende, non si sono mai dedicati all’agricoltura.
Scendiamo verso Sud in direzione di Ulaanbaatar, la capitale, dove vive la metà della popolazione, un milione e mezzo su tre milioni. Ci sorprende subito la cordialità dei mongoli, tutti ci salutano al nostro passaggio, soprattutto i bambini. È una riprova del tradizionale senso di ospitalità dei mongoli. Ci fermiamo in un campo tendato, sono un po’ come i nostri campeggi, tende per i turisti e un fabbricato per il ristorante e i servizi. Le tende, le gher nel linguaggio locale, sono dotate di ogni confort, in alcuni campi hanno addirittura l’aria condizionata.
Visitiamo il monastero di Amarbayasgalant, uno dei più antichi della regione, ora in fase di restauro per riparare i danni inflitti durante il periodo staliniano, quando la Mongolia, pur formalmente indipendente, era uno stato vassallo dell’Unione Sovietica. Vicino al monastero una famiglia ci accoglie nella sua tenda e cerchiamo di comprendere, pur nella difficoltà del linguaggio, la loro vita. Qualcosa è cambiato rispetto al passato, pur nella tradizionale vita nomade. Fuori della tenda c’è il fuoristrada, una moto, un generatore di corrente, un pannello solare e la parabola per la televisione.
Le mandrie e le greggi pascolano allo stato brado, vengono raccolte per la tosatura, per la mungitura oppure per il trasferimento in altri pascoli. Le capre hanno corna molto lunghe, sembrano quasi degli stambecchi. Incontriamo un gruppo di francesi che con delle 2 CV e altre vetture è diretto in Russia di ritorno da Pechino. Tanta cordialità e tanto entusiasmo per la nostra Itala. Fino a Ulaanbaatar il paesaggio non cambia, sempre un susseguirsi di pianori circondati da colline. Viaggiamo accanto alla ferrovia che, staccatasi dalla Transiberiana, attraversa tutta la Mongolia e va fino a Pechino. È comunemente chiamata la “Transmongolica”.
Nella capitale ci aspetta una festa in nostro onore, con musiche caratteristiche, attori e cantanti nei costumi locali. Siamo ricevuti dal Sindaco, felice per questa rievocazione di un evento di cento anni fa. Una breve visita alla città che ha un traffico caotico, nulla di meno delle nostre città. Un traffico incredibile, veramente quasi un totale ingorgo, una delle cose che più ci ha colpito. Ci dirigiamo verso l’antica capitale, Karakorun per visitare le sue rovine e il famoso monastero di Erdene Zuu. I monasteri sono tutti buddisti, la religione della quasi totalità della popolazione. L’asfalto finisce presto, la strada è in costruzione e viaggiamo su piste parallele al cantiere, che a noi ricordano quelle percorse in Afganistan, accanto alla strada rovinata da anni di incuria. Ci fermiamo nel Parco Nazionale Khustai, celebre per i cavalli selvatici di razza Prjewalsky Taki.
Ritornati ad Ulaanbaatar ci dirigiamo verso Sud, verso la Cina, attraversando il deserto del Gobi. Viaggiamo su piste, le strade nel Sud del paese non esistono, solo piste verso molte città e villaggi. Ci sorprende questa mancanza di strade, incredibile per noi europei. Il paesaggio cambia, non più pianori e colline ma un terreno piatto, con sabbia e piccoli cespugli. Non ci sono alberi, la Mongolia deve importare tutto il legname di cui ha bisogno e sulla ferrovia vediamo lunghi convogli di treni con vagoni carichi di legname provenienti dalla Siberia. Poi la sorpresa, la sabbia nasconde un terreno argilloso, è piovuto e ci imbattiamo in pantani viscidi dai quali è difficile uscire. Ne soffre più di tutto Paolo con la Ducati Multistrada, una moto splendida su strada ma non adatta al fuoristrada. Su questo terreno ci sembra di essere tornati in Kenia, durante Overland 3, con le piogge che ci resero difficile la vita. Chi ha visto i nostri documentari ricorderà certamente quelle immagini.
Vicino a Dalanzgabad assistiamo a uno spettacolo che ricorda la passione dei mongoli per la lotta e per le corse dei cavalli. Sono bambini e ragazzi che lottano e corrono a pelo sui cavalli. Meravigliati vediamo addirittura una bambina di soli tre anni arrivare al traguardo della corsa dei cavalli. Invero lei aveva la sella ed era legata alla sella e alle staffe ma ha sorpreso tutti per la sua partecipazione. Vicino al nostro campo anche un sito con resti di dinosauri che milioni di anni fa abitavano questa regione. Da Dalanzgabat ci spostiamo verso est per raggiungere di nuovo la strada che dalla capitale va verso la Cina. È il Gobi dell’Est, il paesaggio cambia ancora. Terreno più sabbioso, scarsa vegetazione, scarsa la presenza umana.
I pastori che incontriamo in 600 chilometri non sono più di una decina, non c’è pascolo per le greggi e questo giustifica la scarsa presenza di pastori. Vi sono solo villaggi sorti vicino alle miniere. Ne incontriamo quattro, sono villaggi vivi, con bambini che ci salutano festosi e si avvicinano curiosi. Questi villaggi non sono collegati da strade ma solo da piste, però il telefono cellulare funziona sempre perfettamente. Tutte le città e i villaggi sono collegati con il telefono cellulare. In alcuni vi sono anche generatori eolici per la produzione di elettricità. La pista segue i pali della luce, e questo nostro andare ci fa tornare in mente il viaggio dell’Itala del 1907 quando tutta la Mongolia fu attraversata seguendo la linea del telegrafo. (continua)
Gianni Carnevale
28 luglio 2022