Piccola storia del gabinetto: parte dalla strada, passa per “lu rinale”, finisce nel water

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Cari amici, vorrete perdonare questo povero vecchierello se vi parlerà di una cosa non proprio profumata? Sembrano essere passati secoli da quando le famiglie vivevano in ristrettezze igieniche dovute agli scarsi servizi presenti nelle abitazioni. Il mondo occidentale era spaccato in due: Ricchi e Popolino. Oggi mi attira parlare della Toilette. Eh sì, perché da sempre fare la cacca è stata una cosa normale e indispensabile, mentre oggi sembra che nessuno, a parole… la faccia più! Addirittura si vorrebbe imporre metaforicamente un “tappo” per i cani che fanno la passeggiata col padrone e…

Visitando una Reggia sono stato colpito molto vedere che nel 1700 non c’erano i gabinetti. Mi è stato spiegato che i nobili si mettevano in un angolo della stanza e, poi, i servitori avrebbero pulito. Diversa, invece, è stata sempre la situazione della gente normale o, addirittura, povera. Girando per le nostre città si vedono antiestetiche scatolacce pensili “appiccicate” alle case. Sono quelle che i tecnici chiamano “superfetazioni” e che il popolo chiamava “rettacchi”, cioè stanzette necessarie per realizzare un bagno, che in quell’appartamento non era stato previsto al momento della costruzione della casa. Cerchiamo ora di ripensare al passato e in questo modo a quale fosse la nostra vita fino alla metà del 1900.

Per i propri bisogni, di notte si usavano i vasi da notte o pitali o, più confidenzialmente… rinali, che si tenevano sotto il letto o nei comodini. Ce n’erano di vari tipi e misure: di ferro o di latta, normalmente smaltati di bianco magari con un bordino colorato di azzurro; i signori disponevano di quelli in ceramica, più costosi ma da usare con attenzione per non romperli. Dopo gli anni ‘50 sono arrivati anche quelli in plastica Moplen. Il Moplen era una rivoluzionaria plastica inventata in Italia nel 1954 dall’italiano Giulio Natta.

Lu rinale (il pitale)

Intanto, però, si era iniziato a costruire i gabinetti dentro case. I primi a usarli hanno ricevuto molte critiche: non era un accessorio da fare perché si pensava che la puzza rimanesse in casa. In quegli anni arrivò pure una grossa novità: la carta igienica. L’hanno inventata gli americani e da noi è arrivata solo intorno agli anni ‘60, quando si è cominciato a mettere le fosse biologiche (coi giornali si rischiava di intasarle). Questa nuova carta si usava con parsimonia perché aveva un costo ed era considerata un lusso.

Torniamo, però, un po’ indietro. In città, in mezzo al cortile, c’era la latrina per tutte le persone che lì abitavano. In campagna, invece, la cosa era più articolata. C’era “lu stabbià”, come si diceva allora, cioè un quadrato di mattoni dove veniva buttata la paglia sporca degli animali; lì si svuotava anche il contenuto dei vasi da notte e altri rifiuti degradabili come le interiora degli animali da cortile: galline, papere, conigli e piccioni. Il gabinetto, chiamato anche latrina o cèsso, era il luogo deputato all’espletamento dei bisogni fisiologici. Ai giorni nostri “cèsso” è una parola considerata sinonimo di un qualcosa di sgradevole e volgare, ed è usato anche come insulto per indicare qualcosa o qualcuno di decisamente brutto. Il termine cesso, per indicare il gabinetto, in realtà ha una origine neutra: deriva dal latino “secessus”, che si traduce come luogo isolato e appartato, perché originariamente era un servizio rudimentale sempre lontano dall’abitazione.

Quando ero bambino ancora molte case, sia in paese che nelle borgate, non avevano il bagno (allora era considerata una cosa da ricchi) ma erano provviste solo di cesso, che stava all’esterno della casa, nel cortile e tante volte era unico per tutte le famiglie che ci abitavano. Era un localino quadrato chiuso alla meglio, con un rialzo col buco dove si stava accucciati, non era propriamente igienico, soprattutto d’estate quando giravano mosche e animaletti vari. Chi doveva andare in bagno durante una notte fredda e piovosa, oltre che munirsi di ombrello doveva anche vestirsi per non prendere una polmonite.

La carta igienica, come ho detto, è un’invenzione piuttosto recente, quando io ero piccolo si usavano fogli di giornale tagliati nel giusto formato e appesi a un chiodo o raccolti in apposite cassette di legno. Per l’uso mi era stato insegnato a stropicciare il pezzo di carta prima di usarlo per renderlo più morbido e più assorbente. Apparentemente tutto funzionava abbastanza bene, a parte il fatto che l’inchiostro della stampa qualche volte verniciava il culetto. Poi venne l’uso della carta velina e infine della carta igienica in rotoli. Igienica per modo di dire perché era una cartaccia riciclata e crespa, colorata di rosa, di celeste o grezza. È chiaro che anche le cose più banali hanno una loro storia e una evoluzione tecnologica. La qualità della vita è data dal progresso tecnologico.

 La latrina, poi, la si ripuliva ogni tanto con un secchio d’acqua. In campagna (ma anche in città per chi aveva i cavalli o i somari) la gente andava nelle stalle per fare i bisogni e si puliva con le foglie, o alla meglio. Tutto ciò che cadeva nella fossa sottostante faceva poi da concime per la campagna. Molto tempo prima, poi, non c’erano i giornali e la carta si utilizzava per altre cose. Ogni sistema un po’ igienico era sconosciuto o aveva il suo costo. Per i bambinetti, le mamme di buona condizione sociale usavano degli asciugamani di lino (fasciatori) che non graffiavano i teneri sederini. Poi, naturalmente questi tessuti dovevano lavarli e…  non c’era la lavatrice ma la lavandaia!

I gabinetti scaricavano nei pozzi neri fatti in maniera da poter togliere ogni tanto il “grosso” con un secchio e vuotarlo nell’orto come concime. Quando lo spazio di raccolta era colmo, si svuotava a mano con la pala e la carriola. In campagna, quando ci si vuotava, il problema di nettarsi non si poneva proprio in quanto la prassi prevedeva l’uso di darsi una pulitina con le foglie, larghe, e morbide se sapientemente usate dalla parte giusta. Le foglie nella buona stagione erano ovunque disponibili. Per quanto riguarda il letame, c’è da dire che allora era una cosa preziosa e nessuno si schifava. La cacca delle mucche, unita a quella umana, era un bene prezioso, e poveri erano i contadini che non disponevano di letame per concimare i campi. È vero che i paesi profumavano di stalla, ma era una cosa naturale e la gente non aveva la puzza sotto il naso come al giorno d’oggi: nessuno faceva caso all’odor di stabbio.

E che dire per le mani? Per lavarsele non c’era acqua vicino alla latrina e si possono immaginare le conseguenze. Quando da piccolino mi portarono per la prima volta a Milano, notai che nelle città, siccome c’erano condomini di quattro o cinque piani, e scendere al piano terra ogni volta che si aveva bisogno era una bella fatica col rischio poi di non arrivare in tempo, si costruivano gabinetti di pianerottolo o ringhiera; uno o due, in fondo al balcone, in base al numero delle famiglie lì residenti. Una usanza che poi si è diffusa anche nei paesi dove in un cortile si potevano vedere balconi con due latrine alle estremità, altri appesi ai muri (superfetazioni) o incassati nelle pareti. A volte erano bugigattoli stretti da starci a fatica. I tubi di scarico erano in bella vista e scendevano fino a terra in un pozzo di raccolta da svuotare periodicamente.

Le latrine in legno o in canne, che si vedevano accanto alle case coloniche, spesso non coprivano alla vista e non erano certo un idoneo ambiente per dare opportuna riservatezza alle giovani donne, che erano spesso al centro di attenzioni inopportune. Ecco, miei cari, sono arrivato alla fine e aggiungo solo che mi viene da sorridere quando vedo i miei civilissimi concittadini fare, e postare su facebook, la foto della cacca di qualche povero cane per denunciare l’inciviltà dei proprietari. Sarà, forse, che sono condizionato dall’aver conosciuto le latrine di qualche loro Nonno, che era costretto a farla “anche” lungo la strada, come un cagnolino? E che dire delle donne le quali, senza mutande, andavano alla messa o al mercato? Quando la vescica era gonfia, si fermavano lungo la strada, divaricavano le gambe e in terra scivolava una pioggerellina dorata. Di asciugarsi o pulirsi non c’era verso. Ma allora non c’erano i telefonini con la telecamera e non c’era facebook per documentare lamentazioni schifate.

Alberto Maria Marziali

19 febbraio 2023

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