“Giacomo Leopardi, ultime lettere postume”: libro sibillino quasi un contatto medianico

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“Di questo libro va detto che per leggerlo e capirlo con qualche profitto o divago occorre credere che Leopardi sia, in qualche modo, vivo e che ci si possa parlare. Che non esista più in alcun modo e che quindi non possa farlo non si ha, comunque, alcuna prova”. Inizia così il libro di Pacifico Fattobene, “Giacomo Leopardi, ultime lettere postume” edito da Edizioni Simple, alquanto sibillino, da far sospettare un contatto medianico con il nostro poeta recanatese, tanto da dettare queste sue “lettere postume”, dei messaggi dal mondo dello spirito. Chissà.

Ma non sottovalutiamo Pacifico che, piuttosto, da perfetto conoscitore della vita e degli scritti di Giacomino, li ha talmente compresi e interiorizzati da potersi permettere l’ardire di scrivere come scriverebbe Giacomo: una perfetta immedesimazione. Ogni capitolo è una lettera  indirizzata a personaggi più o meno noti, che in qualche modo (un avvenimento, una pubblicazione) coinvolgono la persona, o il pensiero, di Giacomo Leopardi, con un filo conduttore audace: la fede cristiana.

Lo spunto per questa idea viene dalla notizia che a Leopardi, in punto di morte, vacillò il pensiero laico e chiese di avere l’estrema unzione, dimostrando la sua onestà intellettuale nello smentire sé stesso, nell’ammettere la possibilità, e il desiderio, dell’esistenza di un aldilà, di una vita oltre la vita. Un aldilà più lieve di quella vita che gli è capitata, dominata dalla natura matrigna. Ma quanto ancora c’è da scoprire di Leopardi e della sua intima, taciuta spiritualità? E poi, come è morto veramente? Dove sono le sue spoglie, non trovate nella riesumazione del 1900? Quali altri scritti sono inediti, o poco noti, ai più? Questi arcani fanno apparire il Leopardi, se non vivo, ancora più attuale: lasciamo dunque che dica ancora la sua.

E così, eccolo criticare un autore per un libro che contesta il vangelo, suggerire al pellegrinaggio di Loreto d’inserire nel suo libretto di preghiere il suo inno a Maria, chiedere indietro a Corrado Augias i soldi spesi per il suo biasimevole libro su Gesù, spiegare a un maestro organista che la poesia è ritmo come la musica, e così via. Particolarmente… diretto nei confronti dei tolentinati, cui invia una lettera, con un passo che merita di essere citato: “Perché, voi organizzatori o voi del Rotary, invece di far vedere un letto del più famoso ladrone d’Europa, non tappezzate le pareti di Palazzo Bezzi-Parisani con le copie dei migliori quadri da lui sottratti al Piceno ed esposti altrove? Se lo farete, io troverò il modo per essere senz’altro uno tra i tantissimi visitatori. E per la prima volta firmerò anch’io una petizione: quella del ridomandare con fermezza i preziosi risultati delle nostre arti, gli oggetti che formavano la nostra compiacenza, il nostro innocente orgoglio, l’ammirazione dell’Europa e che  secoli  interi  non  basterebbero  a rimpiazzare. Io credo di poter protestare con voi a nome di tutti gli altri comuni del Piceno, e dire che i soldi di tutti vanno spesi meglio: per ricordare, se non altro, che chiese, monasteri, palazzi furono dispogliati anche dal Murat (ndr: gli hanno intitolato perfino delle vie…) di tutti i più preziosi volumi e nobili arredi; che se non venivano più spediti in lunghe file di carri ai musei di Francia, erano venduti a clienti (per lo più ebrei) al seguito di questo predone, e da loro rivenduti e quindi dispersi in tutta Europa e altrove. E questo spiega come e perché la nostra Marca abbia a far vedere oggi assai meno arte di Umbria e di Toscana. Perché di essa fecero man bassa due soci e grandi ladroni: Bonaparte e Murat”.

Ma non vogliamo svelarvi tutto. Pacifico, da osservatore del mondo, sempre capace di entusiasmarsi per una nuova scoperta e dispiacersi per le brutture, con questo libro ha voluto giocare e dire la sua in quel modo da letterati che in pochi oggi sanno fare, in questo mondo dove lo spazio per il pensiero e la comprensione delle parole diminuisce sempre più, verso un globalismo “onomatopeico” che Leopardi, e tutti gli altri intellettuali che furono, per fortuna mai vedranno.

Simonetta Borgiani

23 maggio 2023

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