La vita inquieta di Corrado Corradetti un sanseverinate, personaggio risorgimentale

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In una lettera datata Pausula (odierna Corridonia) 17 ottobre 1862, Concetto Procaccini rivolto a Corrado Corradetti lo ringrazia per la sua stima e lo consola per le false calunnie che aveva ricevuto, definendole “le armi dei moderati”: “tutti gli uomini che ebbero alcun merito di virtù cittadina”, furono sempre calunniati, come avvenne per Mazzini, “primo apostolo dell’Unità”. Lo avverte che a breve avranno notizie dal “Partito di Azione” dato che si ritiene dover tornare a agire “pel bene dell’umanità e della patria”. La firma “tuo aff.mo amico Concetto Procaccini” dimostra la stima e l’amicizia che intercorreva tra i due uomini del Risorgimento.

Appare chiaro che per molti che avevano partecipato attivamente al processo di unificazione, questa era stato solo un primo passo poiché delusi dalla situazione politica e sociale che si era venuta a creare, tentarono senza successo di cambiare le cose. Oltretutto carbonari, mazziniani e repubblicani erano guardati con molta diffidenza dal governo nazionale e, non di rado, dovettero subire prima le persecuzioni e le carceri dei governi pre-unitari e poi quelle del Regno d’Italia. Di Procaccini (Montolmo 1828-Napoli 1893) abbiamo già scritto in un articolo (La rucola n° 239 – aprile 2018 – https://www.larucola.org/2018/06/08/concetto-procaccini-un-montolmese-mazziniano-e-garibaldino/): fervente mazziniano, garibaldino e repubblicano (mai rinnegò questa sua fede), partecipò alla Spedizione dei Mille con la prima colonna di rinforzo del generale Medici, finendo poi nel 1869 incarcerato, come cospiratore mazziniano, a Castel dell’Ovo di Napoli in una cella che “aveva appena la larghezza di un tavolo”. Tra Procaccini e Mazzini è intercorsa una fitta corrispondenza durata quasi fino alla morte dello stesso.

Corrado Corradetti nasce a San Severino Marche nel 1829: nel 1849 partecipa con il fratello Nicola alla difesa della Repubblica Romana. Nel 1850 viene arrestato dalla polizia pontificia e viene condannato a 2 anni di reclusione per i fatti di Roma, prima nelle carceri di Ancona e poi in quelle di Paliano. Rilasciato nel 1853 prima della fine della pena su intercessione del Vescovo di San Severino Marche, nel 1854 sposa la diciassettenne Angela Nisi da cui avrà due bimbe purtroppo morte pochi anni dopo. Nel 1858 dando alla luce il terzo figlio muore anche la moglie. Lasciato il neonato alla madre, il Corradetti si reca a San Marino per unirsi ad altri profughi politici che nel 1859 all’approssimarsi della guerra all’Austria si spostano a Cesena e vengono aggregati nel 4° Battaglione del 19° Reggimento dell’esercito Sardo.

Trasferito come sottufficiale a Pisa, viene inglobato nella Brigata Ravenna (19° e 20° reggimento), costituita da volontari marchigiani, umbri e romani. Questa viene trasferita a Bologna dove alla nomina degli ufficiali, nonostante la sua esperienza militare, il Corradetti fu scartato perché, come gli fu detto, “questi signori temono i figli della rivoluzione e preferiscono piuttosto i venuti dalla sagrestia”. La Brigata verso la fine del 1859 si trasferisce a Cattolica in preparazione di una sommossa in Ancona dove nottetempo ammassano armi trasportate via mare. Arriva pure Garibaldi che dovrebbe guidare l’operazione ma il generale Fanti blocca tutto e comanda lo stesso a Bologna insieme con la Brigata. Nell’aprile 1860 questa viene arretrata ulteriormente ad Alessandria e quindi a Cortona.

Il Corradetti si ammala e finisce all’ospedale. Durante la convalescenza viene contattato da un compagno di lotta il quale chiede una lettera di raccomandazione per potersi arruolare nella spedizione garibaldina che si andava apprestando a Genova. Pertanto scrive una lettera al Procaccini che per un errore chiama Modesto e non Concetto (quale strana coincidenza…). Nel mentre diversi patrioti che facevano parte della Brigata disertano per partecipare alla spedizione ma non conoscendo le strade si perdono e vengono catturati: il ministro Farini aveva emanato una circolare che vietava di partecipare all’impresa a qualunque militare dell’esercito. Il Corradetti in convalescenza si reca a Genova (aveva chiesto inutilmente il congedo) e tenta di arruolarsi nei garibaldini che ufficialmente, almeno per la circolare del Farini, non lo potevano accettare; prova addirittura a raggiungere in altomare la spedizione ma all’ultimo minuto anche questo progetto salta.

All’inizio del 1860 viene nominato ufficiale e il suo reggimento, diventato nel frattempo il 37°, viene  spostato a Novi Ligure. Comunque, non avendo firmato la “riafferma”, a fine aprile del 1861 si congeda e dopo 4 giorni di viaggio (non esisteva la tratta ferroviaria Bologna-Ancona), arriva a San Severino Marche. Il Corradetti sognava che con l’Unità sarebbe nato un “dolce e solenne patto di fratellanza” ispirato agli ideali per cui aveva combattuto. Invece proprio da adesso iniziano i suoi guai seri, specialmente con due concittadini: il conte Carlo Luzi e Giuseppe Coletti (1841-1910), che da carissimo e fraterno amico, sostenitore di Garibaldi, diventerà un suo acerrimo nemico. Per un periodo entrambi formarono una stessa fazione che lo osteggiò fortemente, e se i racconti del Corradetti sono veritieri, bisognerebbe parlare di un vero e proprio odio e accanimento mirato ad annientarlo, distruggerlo nella reputazione, moralmente ed economicamente. Bisogna precisare che la fonte principale a cui ho attinto è il copioso e puntiglioso libro di 623 pagine “Storia di 18 anni” (non è suddiviso neanche in capitoli) pubblicato a proprie spese nel 1881 dallo stesso Corradetti; occorrerebbe quindi per precisione approfondire se l’autore sia stato querelato per ciò che scrive e nel caso come sia finito il processo.

Almeno sotto il governo pontificio sapeva chi fossero gli amici e chi i nemici, tutto era più chiaro. Giuseppe Coletti fu una figura politica molto importante del periodo post-Unitario: fu sindaco per trent’anni di San Severino Marche, consigliere comunale dalla maggiore età alla morte, consigliere provinciale per vent’anni, fu nominato infine anche commendatore.  Sotto i suoi mandati San Severino Marche ebbe la stazione ferroviaria, un importante collegamento stradale, un cimitero monumentale, l’illuminazione pubblica (1886) e un curato giardino (1873) a lui ora intitolato; nella prima metà del XX secolo gli fu dedicato un busto ancora esistente. Il figlio Francesco (1866-1940) è stato un importante economista ed esperto in agricoltura; fu professore all’università Bocconi, Pavia, Macerata, Roma, Sassari e Cagliari. Fu anche consigliere provinciale nel 1895 e in quell’occasione gli avversari politici suoi e del padre, ritirarono fuori con un libello anonimo la questione della borsa di studio che nel 1866 il comune di San Severino Marche, mentre il padre era sindaco, aveva istituito e che lo stesso Francesco aveva vinto.

Torniamo al Corradetti che giunto a San Severino Marche viene nominato, non senza problemi e polemiche, istruttore (non comandante) della Guardia Nazionale. Abbracciando il progetto garibaldino di prendere Roma e Venezia, si impegnò a costituire nel comune un comitato e una sottoscrizione (“Fondo Sacro”) per l’impresa. Va notato come in tutto s’instauri un’area di sacralità (“Santa Istituzione”), una religione laica dove i partecipanti sono dei missionari pronti al martirio (“Virtù”): basterebbe leggere le lettere che il comitato scrive a Garibaldi in cui la riverenza assomiglia a quella che si potrebbe attribuire al Papa se non addirittura a qualcuno in odore di santità! Ovviamente il motto era: “Italia Una e Vittorio Emanuele”. Anche in questa iniziativa non mancarono le accuse a Corradetti da parte del Conte Luzi che, fresco senatore, lo accusò di intascarsi l’obolo del “Fondo Sacro”. Va ricordato che il presidente del comitato garibaldino era il Coletti citato futuro sindaco. Il Corradetti per le polemiche scoppiate fu licenziato il 31 dicembre 1861 dalla Guardia Nazionale.

Avendo appreso ottimamente in gioventù il mestiere di tipografo riuscì a ottenere una rappresentanza per le Marche dell’editore Daelli (1816-1882) di Milano. Nel 1862 il Corradetti istituisce a San Severino la prima Società del Tiro a segno nazionale di cui addirittura riuscì a far accettare la presidenza onoraria allo stesso Garibaldi. Questa associazione non era un’istituzione militare ma faceva capo al Ministero degli Interni; fu istituita con R.D. il 1 aprile 1861 e doveva far si che i cittadini fossero istruiti quanto possibile alle arti belliche. Corrado fu anche promotore dei Tiri a segno di molti paesi delle Marche come Ancona, Ascoli, Tolentino, Pausula, Mogliano, Civitanova, Pollenza, Morrovalle. Fu anche uno dei fondatori della locale Società Operaia, nonché segretario per diversi anni. Sarebbe troppo lungo parlare di queste organizzazioni ma basti pensare che nello statuto, quella di San Severino Marche contemplava per i soci un magazzino cooperativo “con panizzazione”, bottega con vendita di beni di prima necessità, un Monte per prestiti e microcredito, e addirittura una società filodrammatica per ragazzi e ragazze minorenni figli dei soci.

All’avvicinarsi della famosa spedizione di Garibaldi per la conquista di Roma, fermata sull’Aspromonte, i comitati garibaldini e Corradetti in prima persona, furono messi in movimento per il reclutamento di uomini. Il 21 agosto  1862 i volontari di San Severino Marche ricevettero l’ordine di  portarsi per il 31 a Sarnano ma il 28 una lettera da Genova intimava loro di sospendere l’operazione e di lì a poco dai giornali seppero del “massacro di Aspromonte”. La mattina del 31 la polizia si presenta presso la sede garibaldina di San Severino Marche e il Corradetti si assunse tutte le responsabilità (anche se non vero) dell’associazione, come fondatore, presidente, segretario e cassiere. Il 5 settembre viene arrestato  per “attentato alla sicurezza interna ed esterna dello stato”, imputazione per cui rischiava perfino la fucilazione. Tradotto prima alle carceri cittadine, effettuò un pellegrinaggio per le regie galere (Treia, Pausula, Fermo, San Benedetto) fino ad Ascoli dove fu messo in cella insieme a  molti briganti. Il 9 mattina venne scarcerato. Corrado non voleva andarsene se non prima di aver ricevuto un regolare processo per potersi pubblicamente difendere ma 5 bersaglieri, ridendo, gli dissero che se non se ne fosse andato spontaneamente lo avrebbero buttato fuori dalla galera con la forza, poiché non poteva rifiutare il Decreto di Amnistia. Il governo approfittando delle future nozze della figlia di Vittorio Emanuele, cercò di sanare una scomodissima situazione che si era venuta a creare con i volontari della spedizione di Garibaldi.

Al ritorno a casa incominciarono di nuovo i problemi con il Luzi che questa volta lo accusò di abuso di potere nella gestione della Società Operaia. Tra accuse, libelli di difesa, assoluzioni pubbliche e infamie varie, alla fine per sopravvivere nel 1863 fu costretto a trasferirsi a Milano dove l’editore Daelli gli offrì un lavoro come direttore della sua tipografia. Aveva ricevuto un’offerta di lavoro anche a Genova dal Procaccini ma rifiutò ritenendo più di prestigio l’incarico di Milano. Nel giugno sposa in seconde nozze la ventenne Pudenziana Scuderoni che gli darà 10 figli, di cui Gino e Ferruccio, di una certa fama (che vedremo in dettaglio in un successivo articolo).

Tralasciamo le vicende milanesi che si conclusero con il fallimento della sua tipografia a causa del socio, un avventato compaesano che gli procurerà non pochi problemi. Pertanto nel 1866 fu costretto di nuovo di tornare a San Severino Marche dove aprì nuovamente una sua tipografia grazie all’aiuto economico di diversi amici tra cui il Coletti (non lo avesse mai fatto). Appena arrivato gli amici gli riferirono che la Prefettura aveva redatto una lista di 70 persone da arrestare, persone legate sia al vecchio regime (anche preti), sia ritenute mazziniane, garibaldine o cospiratori in genere. Considerando che nella lista il sindaco Coletti aveva un paio di parenti e non poteva pertanto agire direttamente, caldeggiò il Corradetti di occuparsi della questione direttamente con il Prefetto. Cosa che fece portandogli di persona un memoriale e discutendo con lui a lungo della questione, cercando di convincerlo che a San Severino Marche non vi erano cospiratori di sorta. Si occupò anche della decina di arresti effettuati, tra cui un sacerdote, certo Giambattista Marcucci della parrocchia di Stigliano. La sua liberazione non fu facile perché sia il prefetto, sia il procuratore del Re, sia la polizia negava di averlo arrestato e a forza di insistere riuscì alla fine a farlo liberare.

Anche questo lodevole gesto, fatto come afferma solo per motivi di giustizia, gli procurò problemi: il nipote del sacerdote lo accusò di essersi fatto pagare per farlo rilasciare (aveva ricevuto solo il rimborso delle spese vive documentate e poi anche fosse stato?), mentre gli amici anticlericali di essere passato dalla parte dei preti. Accusa ulteriormente rincarata nel 1867 dal giornale “Corriere delle Marche”, quando Corrado appoggiò pubblicamente la candidatura alla camera del conte Gentili di Rovellone, ritenuto del partito dei preti, contro Ferdinando Ravelli appoggiato oltretutto dal conte Luzi. Nel 1868 il Corradetti viene nominato, prima segretario generale e quindi presidente della Società Operaia. Come al solito altre accuse verso di lui e la nuova amministrazione della Società: si fa circolare la voce che vogliano “saccheggiare” le casse ma invece a quanto pare il motivo degli attacchi era che l’amministrazione uscente avesse concesso prestiti mai rimborsati a loro stessi e a diversi soci.

Comincia così una lunghissima diatriba fatta di attacchi e repliche, messe in stato di accusa davanti l’assemblea, resoconti, e nuove repliche. Le vicissitudini del Corradetti sembrano non finire mai: racconta perfino che una donna pagata dai suoi avversari arrivò a convincere la moglie che le sue assenze da casa non erano dovute agli impegni lavorativi e associativi ma addirittura alla frequentazione di un’amante. E fu dura convincere la moglie che fosse tutta una calunnia. Il caso volle che la donna che lo accusava arrivò a casa del Corradetti dicendo alla moglie di seguirla per cogliere in flagranza il marito che era imboscato in campagna con l’amante. Per fortuna invece Corrado era in casa e quindi la congiura sfumò. Volendo credere al nostro personaggio, si resta impressionati dall’accanimento e dall’odio dei suoi avversari: non si tratta più di disputa politica, si vuole annientarlo moralmente e economicamente.

Nel 1872 il Corradetti fu uno dei fondatori della Banca di Credito di San Severino Marche di cui fu nominato primo segretario mentre il Coletti divenne presidente dopo le dimissioni del Gentili Revelloni. La situazione degenerò completamente quando alle elezioni provinciali del 1876 il Corradetti appoggiò pubblicamente Gentile Revelloni contro il Coletti e andò addirittura a dirgli in faccia di ritirarsi perché non era all’altezza del suo avversario. A questo punto, sempre a detta del Corradetti, il Coletti gli disse che si sarebbe vendicato e lo sollevò immediatamente dall’incarico di segretario della banca. Nella presentazione del suo ultimo resoconto finanziario, lo stesso Corrado rimarcò una piccola differenza tra i libri contabili e la cassa e ritenendolo solo un errore di scrittura, dato che le quote sociali della banca erano state versate dai soci anche in piccole rate, chiese del tempo per una disanima più accurata delle stesse scritture contabili. A questo punto il Coletti, siamo nel 1876, sporge denuncia contro di lui per appropriazione indebita e falso in scrittura pubblica dopo che, come afferma il Corradetti in una memoria difensiva diretta ai soci, lo aveva perfino fatto minacciare verbalmente e fisicamente da suoi sostenitori. Per peggiorare la sua situazione, i Carabinieri, istigati sempre dal Coletti, secondo Corrado, incominciarono a perseguitarlo come “internazionalista”, cioè come aderente al partito socialista od anarchico. Il Corradetti racconta pure di aver intrapreso la fondazione di un ricovero per anziani e invalidi ma che il Coletti si appropriò  della sua iniziativa estromettendolo: alla fine non giunse a nulla lasciando per strada tanti poveri vecchi.

Per finire questa “diatriba” (termine sicuramente troppo leggero) tra i due, il Coletti, che come detto al ritorno del Corradetti da Milano gli aveva prestato del denaro per l’apertura della tipografia,  lo citò in giudizio affermando che tale prestito non gli era stato del tutto rimborsato; produsse inoltre uno scritto che secondo lui lo faceva perfino proprietario della tipografia. Non sappiamo come la cosa finì, occorrerebbe indagare negli archivi, ma sta di fatto, anche per il motivo che il Comune aveva tolto tutte le commesse alla tipografia, Corradetti nel 1882 si trasferì a Roma dopo aver chiuso l’attività e lì morirà nel 1917 all’età di 88 anni. Un uomo il quale da quello che afferma si dedicò, come si dice, anima e corpo al prossimo, una persona che tutto sacrificò per i suoi ideali e, nonostante le “persecuzioni”, mai si fermò e rinnegò le sue  idee: una specie di “santo”, di “martire” laico.

Modestino Cacciurri

19 agosto 2023

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