Quanta fatica in campagna quando ci dicevano: “Vànne a ‘bberà le vèstie!”

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Decenni fa in campagna in ogni casa c’erano molti animali e non potevano mancare le mucche, che erano i trattori dell’epoca. C’erano anche animali da carne come i vitelli, i torelli, i maiali e gli animali da cortile.

Le mucche da lavoro, in particolar modo, avevano bisogno di molta acqua e se non c’era una fonte, bisognava tirarla su dal pozzo o, in ultima spiaggia, si portavano gli animali a dissetarsi al pantano dell’acqua piovana. Ogni mattina, e più volte, quando faceva caldo le bestie si dovevano portare a bere fuori, sull’aia, all’abbeveratoio: prima i torelli, poi le vacche e infine i vitelli. Per questo lavoro spesso erano impiegati i ragazzini di casa o le donne, che cominciavano presto a prendere confidenza con questi grandi animali e con il lavoro della stalla. Era cosa abituale fischiare alle bestie per invitarle a bere.

Ricordo che da piccolo sentivo girare la storia di un contadinello che fu preso a pedate dal padre per sollecitarlo a “’bberà le acche”. Il ragazzino stizzito sembra che abbia risposto: “Ce le porto, ma non gné fischio”. Si fischiava, infatti, per sollecitarle a bere. Quando nella stalla c’erano parecchi buoi, fischi, grida e pacche sui gropponi erano anche cosa necessaria per evitare la calca avanti l’abbeveratoio. Molti contadini non avevano l’acqua nell’aia e dovevano portare gli animali al fiume o alla fontana del paese: quanta fiducia e responsabilità veniva data a un bambino addetto a questo lavoro, e quanto poteva essere pericoloso.

Per far bere le bestie, nell’acqua si metteva anche una manciata di crusca o di fave secche. Il problema era che bisognava tenere pieno, per tempo, il vascone dove si abbeveravano, perché l’acqua non doveva essere fredda. Per riempirlo, se era acqua di pozzo, occorreva lavorare molto con la pompa, quando c’era, o tirare su con la catena decine e decine di secchi pieni. Nella stalla bisognava slegare un certo numero di animali, portarli all’abbeveratoio e poi attendere che il gruppo avesse bevuto a sufficienza, riportarlo nella stalla e poi riprendere con un secondo gruppo.

Da quanto ho raccontato si può comprendere che avere un pozzo con acqua potabile era fondamentale, in campagna, se non altro per far bere le bestie della stalla almeno due volte al giorno. Per questo motivo un tempo erano sparsi in campagna e alle porte dei borghi molti abbeveratoi e fontane, “per le necessità di uomini e animali”. Nella terra marchigiana ci sono ancora i resti di questi “monumenti”. L’abbeverata era un rito che di norma avveniva due volte al giorno, la mattina e la sera, ma nelle calde giornate estive le volte salivano a tre, o anche a quattro.

Per combattere l’arsura e la fatica, i contadini quando era troppo caldo facevano lavorare le mucche al mattino presto e la sera tardi facendole riposare quando il termometro saliva troppo. Quando arrivarono nelle case coloniche le pompe elettriche o l’acquedotto, nelle stalle si montarono finalmente gli abbeveratoi automatici, con le tazze a pressione nelle quali sgorgava acqua in seguito alla pressione del muso dell’animale. In estate, chi teneva le mucche al pascolo, sistemava dei grossi contenitori, come vecchie vasche, bidoni, vasconi di cemento, mastelli, fusti da 200 litri tagliati a metà in orizzontale e altro, pieni di acqua in modo che la bestia poteva dissetarsi a piacere. Concludo con un detto usato come esempio per le persone che non hanno voglia di obbedire: “Se la véstia non vòle bée, avòglia a fischià!”

Alberto Maria Marziali

2 settembre 2023

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