Difficile ricostruire la storia con i documenti adattati al volere del potente di turno

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È un privilegio papale falso? Si tratta di una Bolla a favore del Monastero di Fonte Avellana, rilasciata dal neo papa Gregorio VIII a Ferrara il 3 novembre del 1187, a nemmeno una settimana dalla sua consacrazione, che conferma il possesso delle precedenti proprietà, elencandole una per una. Questa è riportata fedelmente col n. 312 nelle Carte di Fonte Avellana di Pierucci e Polverari.

Prima di passare a esporre gli indizi, le prove e le conseguenze della possibile falsificazione, penso sia opportuno premettere un breve cenno sulle vicende di quel periodo, in verità molto confuso e ancora poco conosciuto a livello locale. Nel 1159 in San Pietro viene eletto papa Rolando Bandinelli, ma il cardinale Ottaviano, filo imperiale, mentre il neo eletto si accinge a indossare il manto papale, glielo tira via di dosso e lo pone sulle proprie spalle. Comincia il parapiglia; il neo papa ripara a Ninfa, dove viene consacrato col nome di Alessandro III; il cardinale Ottaviano si reca a Farfa e pure lui viene consacrato papa col nome di Vittore IV. Subito si appella all’imperatore Federico Enobarbo (Barbarossa) il quale, tramite un concilio, avalla la sua nomina. Vittore subito scomunica il papa legittimo Alessandro III. Quest’ultimo ricambia e raddoppia scagliando l’anatema pure contro l’imperatore. Inizia uno scisma che durerà un ventennio.

Federico Barbarossa per quanto riguarda l’Italia Centrale mira a toglierla al papa, lasciando così alla Chiesa di Roma soltanto il Ducato Romano (il Lazio), politica poi proseguita dal figlio Enrico VI e dal nipote Federico II. Nelle Marche stazionano per anni le truppe imperiali comandate dall’arcivescovo di Magonza, Cristiano, il quale si scaglia contro le città che vogliono seguitare a essere fedeli al papa. Ancona, assediata, viene presa per fame e, subito dopo, si arrende anche Fermo. Fatalmente la maggior parte dei centri marchigiani finisce per parteggiare per l’imperatore, ma le incertezze sono tante…

Proprio in questo periodo il Monastero di San Clemente di Pescara venne a perdere le numerose proprietà che aveva in tutte le Marche, dopo che quelle abruzzesi erano state inglobate dai normanni. La sconfitta di Federico Enobarbo a Legnano, per opera della Lega Lombarda, nel 1176, cambia le cose: nella pace seguente l’imperatore è costretto a concedere ampia libertà ai Comuni; nel centro Italia ne nascono tanti nuovi… e cominciano a litigare fra di loro! Nel Cronicon Casauriense, la cronistoria del Monastero di San Clemente in Casauria, a Pescara, si trovano ben tre lettere scritte dal papa Alessandro III, risalenti all’anno 1170, con cui intima la restituzione delle proprietà usurpate a tale Convento, pena la scomunica. La prima diretta all’arcivescovo Cristiano di Magonza, ancora presente nella regione con l’esercito imperiale, le altre due a tutti i vescovi di Ascoli, Fermo, Camerino, Osimo, Senigallia, e in una viene inserito pure il priore di Fonte Avellana. Intimano ai vescovi e anche al priore di restituire subito il maltolto o farlo restituire se l’usurpazione sia stata fatta da qualche loro “parrocchiano”, pena l’immediata scomunica. Da ciò la possibilità che il Monastero fosse direttamente coinvolto.

A quanto pare tutti fecero orecchie da mercante. Le proprietà del Convento abruzzese nella nostra regione erano parecchie, l’unico documento sicuramente certo che le elenca, si riferisce a periodo anteriore all’anno 967 (Cronicon Casauriense col 819): Loro Piceno, Caldarola, Vestignano, Pieve Favera; nell’osimano: S. Vincenzo con 11mila modioli di terra, Rotella, Briccia, poi ancora 22 corti sparse nella regione, fino a Fano. Una ventina di anni dopo gli inviti, appare il citato diploma di Gregorio VIII del 1187, probabilmente un falso scritto negli anni successivi. Ecco i motivi principali che fanno pensare a un atto spurio:

* Gregorio VIII avrebbe emesso il documento a nemmeno una settimana dalla sua consacrazione, a Ferrara, quando probabilmente i componenti la cancelleria non erano ancora arrivati, quindi con l’elenco delle proprietà non compilato.

* La presenza di un grosso errore, inammissibile che fosse opera della Cancelleria e che fosse sfuggito al Priore destinatario, qualora il Documento fosse veramente scritto in tale data. Questa presenza ci indirizza pure nel capire il periodo in cui fu scritto. Si tratta del fatto che sia stato inserito pure il Monastero di San Vittore alle Chiuse come dipendente da S. Croce di Fonte Avellana, che era indipendente (diventerà soggetto al vescovo di Camerino solo nel 1240) e a quei tempi proprietario di innumerevoli beni fondiari. In nessuno degli altri documenti del tempo esaminati, giustamente, compare mai. Il Priore di S. Croce, Marco, visto che in quel monastero situato nelle vicinanze di Fonte Avellana si notava un preoccupante lassismo sia spirituale, sia nella conduzione delle proprietà, chiese al papa l’autorizzazione di poter intervenire onde ripristinare ordine e moralità. Se fosse stato di proprietà di Fonte Avellana la richiesta sarebbe stata superflua! Il papa Clemente III autorizzò il Priore con lettera del 16-3-1189, riportata nelle Carte con il n. 316, per cui il priore si recò a S. Vittore dopo tale data. Il falso documento dovrebbe essere stato predisposto da persone che non conoscevano bene la situazione poco prima del 1202, in modo che facesse da base a quello di Innocenzo III, quasi fotocopia di questo. Dall’osservazione attenta delle varie Bolle papali si nota che la precedente costituisce la base per la successiva, si aggiungono o tolgono le varianti intervenute nel frattempo. Da questo si può concludere pure che rimane significativa e sospetta la scomparsa della Bolla del papa Celestino III del 1196!

* Questi gli altri riscontri che inducono a pensare alla falsità del documento e che fanno nascere altri interrogativi: nelle Carte di Fonte Avellana, le Bolle papali del tempo, confermative delle proprietà precedenti, contenenti l’elenco delle stesse, presentano diversità evidenti e indicative. Quelle emesse nel periodo che ci interessa sono cinque:

1) Privilegio di conferma di Innocenzo II del 1139;

2) Bolla di Gregorio VIII del 1187 (Doc. n.312 in Carte Fonte Av.);

3) Privilegio di Celestino III del 1196 (Doc. 351  in Carte Fonte Av.);

4) Privilegio di Innocenzo III del 1202 (Doc. 382 in Carte Fonte Av. );

5) Bolla di Onorio III del 1218 (Doc. n. 428 in Carte Fonte Av.)

In queste, oltre a quanto già accennato, si sono notate le seguenti anomalie:

* corrispondenza della progressione geografica nell’elenco delle proprietà in tutte le Bolle, solo in quella di Gregorio VIII si nota una certa diversità, in quanto ci sono diverse posposizioni.

* Nel diploma di Celestino III compaiono meno proprietà rispetto al precedente di Gregorio VIII e alcune diverse.

* Le proprietà ricompaiono tutte nel successivo privilegio di Innocenzo III, nell’ordine preciso di Gregorio VIII, con la sola assenza del Monastero di S. Vittore (improponibile) e l’aggiunta di S. Fortunato e S. Cristoforo, avute nel 1172.

* nel privilegio di Gregorio VIII compaiono almeno altre quattro proprietà che, presenti in Innocenzo III, non si trovano più nel successivo Privilegio di papa Onorio III e, insieme a tante altre non vengono trascritte nemmeno nella Monografia di Don Alberto Gibelli del 1895 che riporta pure le trascrizioni negli Annali Camaldolesi. Sono queste: San Bartolomei de Fauce (Foce di Montemonaco), San Petri de Argilone, S. Claudii Fusinatis, S. Andreae de Laureto.

Quante fra queste e quante altre potrebbero essere state usurpate al Cenobio di San Clemente, già in declino? Come e da chi?

Giusto per fare qualche cenno:

Per quanto concerne Foce, dal Diploma dell’imperatore Ottone II del 969 sappiamo che fosse proprietà del Cenobio pescarese e che, nel 1178 risultasse già dell’Avellana con la chiesa di S. Bartolomeo e sue proprietà; che Vestignano nel 1170 fosse già di proprietà del nuovo monastero cistercense di Fiastra; S. Angelo ad Favaram, stessa situazione, che Loro Piceno fosse passato sotto il dominio dei Brunforte in data sconosciuta, così come Cessapalombo e altre località; che Sant’Andrea di Laureto, nel fanese fino al 1185 metà di proprietà del Vescovo di Fossombrone, mentre era stata donata per intero a Fonte Avellana dalle duchesse Beatrice e Matilda nel 1072.

Poi per tornare all’inizio della ricerca, ossia come mai nel Diploma di Gregorio VIII la Filottrano di allora venga chiamata Mons Filiorum Otrani – appellativo usato solo localmente, con tre parole – mentre negli altri diplomi c’è Filotrani (Filatrani), così come sempre successivamente a Roma e negli atti papali, ci suggerisce pure dove possa essere stato scritto: localmente e non a Ferrara o a Roma! Si deve ammettere che è calato un bel nebbione sugli eventi di quei tempi, ma che, comunque, le lettere di Alessandro III sono indicative per poter delimitare le future ricerche.

Giustino Falasconi

28 settembre 2023

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