Cara nonna, ti scrivo… espressioni non più in uso e modi di dire oggi sconosciuti

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Non ti chiedo come stai: tu sei venuta in questo mondo nel dicembre del 1885 e sei “passata a miglior vita” nell’aprile del 1970. Nelle condizioni di vita già esistenti in cui bisognava lottare per vivere, giorno dopo giorno, hai dovuto subire la prima guerra mondiale poi il fascismo, con la crisi finanziaria del 1929, l’autarchia, le sanzioni, la seconda guerra mondiale, la guerra civile. Certo sono state condizioni di vita, per noi, inimmaginabili, incredibili. Ma ti sei sempre fatta forza. Ti ricordo, quando già ultrasessantenne, ti impegnavi nel sostegno alla famiglia.

A volte mi tornano in mente tue parole e tue espressioni che non si usano più, archiviate. A esempio, ti sentii dire: sò frecato un pugnu de fascioli sotto terra che tradotto, per chi ascolta oggidì, si dovrebbe dire: ho sottratto dalla mia dispensa una piccola quantità di fagioli borlotti e li ho seminati, a rischio, prima dei giorni propizi, con la speranza di poterne mangiare in anticipo sulla stagione.

Già prima che tu te ne andassi, timidamente apparivano sui campi trattori usati per arare e poco più, adesso si fa tutto con quelli. Bovini non si vedono più sui campi; quasi più nelle stalle, e nelle proprie stalle non ci sono più maiali, pecore, conigli o animali da cortile, a eccezione di alcune galline per avere uova “fresche” tutti i giorni. Siamo arrivati alla cosiddetta “meccanizzazione” che consente di non avere più la necessità di usare vanghe, zappe, forconi, rastrelli, ecc. Pensiamo, a esempio, alla raccolta del grano: una persona che conduce una mietitrebbia, godendo dell’aria pulita e rinfrescata dal condizionatore, riesce a fare il lavoro che ai tuoi tempi necessitava di decine e decine di persone, nel caldo opprimente e con la polvere irritante la pelle e le vie respiratorie.

Ricordo di quando ti allontanavi da casa dicendo: vaco pe’ lu fasciu, oppure vaco a siccumi, o anche vaco a cacacerque, non ho ben capito il perché dei tre indirizzi, in quanto tornavi sempre con una grossa fascina sulle spalle; lavoro, questo, che facevi andando nei fossi, sfidando cadute, burroni, rovi e anche insulti di chi ti vedeva addentrata nel suo territorio, ma era tutto indispensabile perché non c’erano altre fonti di calore, bisognava arrangiarsi con qualsiasi cosa adatta a bruciare, per cucinare e riscaldarsi. Anche in questo settore siamo entrati in un’altra “era”.

Ai tuoi tempi si cercava di ottimizzare il tutto, seguendo l’esperienza e il buon senso, valutando ogni punto di terreno e ogni tipo di vegetazione a quel terreno più confacente. Le potature si facevano ogni anno agli alberi da frutto, alle viti e agli aceri a queste associati; ogni due o tre anni si tagliava tutta la vegetazione, in zone alternate, lungo gli argini dei corsi d’acqua, a volte lasciando qualche capitozzo ai bordi del campo; per le querce era normale una leggera potatura adatta a diradare i rami ogni sei anni. Oggi per riscaldarci e per cucinare usiamo il gas e l’energia elettrica; a chi usa la legna per queste attività, dicono che avvelena il mondo. I campi sono tutti  brulli perché gli alberi erano d’impiccio per i mezzi meccanici venuti in uso; corsi d’acqua e scarpate sono lasciati a se stessi. Pertanto, dopo decenni che parole quali BIO, VERDE ecc. si usa masticarle come dolci cioccolatini, in qualunque direzione guardi vedi alberi secchi. Tu, con l’ansia che ti dava l’assoluta scarsità di legna, ne faresti certamente cumuli enormi. Il mondo è cambiato, tu non lo riconosceresti. Grazie anche alle esperienze che mi hai trasmesso, sono in grado di barcamenarmi in questo presente.

Mario Graziosi

23 novembre 2023

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