“Ricordanze”, un piccolo libro di appena 67 pagine, scritto da Gloria Castellana e stampato da Stampalibri – Book on demand di Macerata. L’autrice ha fissato brevi flash di avvenimenti che spaziano da storie vere, ancorché tragiche, che le sono state raccontate da chi le ha conosciute, o tratte dal web, o momenti di vita vissuti per strada, a situazione attuale di reperti architettonici vittime dei recenti terremoti. Ascoltatrice, osservatrice e narratrice.
Gli argomenti sono i più vari; inizia con un appunto su Luigi Fagioli, una vecchia gloria che gli appassionati di automobilismo ancora ricordano, pilota osimano che ha rivaleggiato con Tazio Nuvolari; per finire in quel di Fermo, con la immagine della Torre Matteucci, posta a ricordo (non per nulla il volumetto si chiama “Ricordanze”) del cinquecentesco Saporoso Matteucci, del quale narra la storia guerresca e amorosa, fatta di un amore impossibile che prima vede la coppia separata poi, alla fine della vita, in qualche modo riunita dalla morte, pur essendo i due lontanissimi tra loro nello spazio. Ci ha colpito la storia di quattro donne: Anna, Caròla, Palombella e Annetta. “Storie di tutti i giorni…” cantava Riccardo Fogli e, in effetti, i maltrattamenti verso il genere femminile, anche terribili, ci sono da sempre, come pure le vendette altrettanto tragiche ma anche le belle storie, di madri coraggiose e intraprendenti, che affrontano situazioni e viaggi mai vissuti nella loro quotidianità con al seguito un codazzo di figli in tenera età.
Poi ci sono le narrazioni che si facevano d’inverno, tutti riuniti davanti al caminetto nell’intimità della cucina. Qui scorrono racconti fatti di lupi mannari, di sette piccole anatre che seguivano la madre che reggeva in testa una pentola colma di monete d’oro, di vitelli e chiocce d’oro (altrove sono sette porcellini o sette pulcini, sempre con l’oro a fare da denominatore comune) e di luci misteriose e di fate che apparivano e scomparivano, eteree, come la bella Jana che a una spaventata lavandaia dice: “Jutatte nun possu, so’ senza polpa e senza ossu…”.
Non mancano i trafugamenti di opere d’arte né puntatine sull’archeologia. E della gastronomia rituale dei tempi passati ne vogliamo parlare? Cosa mangiavano i nostri avi nel giorno di Pasqua? Descrive l’autrice del libro: la prima colazione del mattino è all’asciutto e comprende: la frittata fatta o con le erbe (mentuccia, prezzemolo) oppure con pezzetti di ciauscolo, di salsiccia di fegato, di ventresca; la coratella di agnello, la pizza dolce e le ciambelle. A mezzogiorno invece si mangia: pizza di formaggio con il salato (antipasto), stracciatella (minestra in brodo), pastasciutta, agnello pasquale, uova sode con insalata (i gusci delle uova vanno bruciati e non buttati via perché benedetti).
Dunque “Ricordanze” e tra queste non potevano mancare strofette in voga al tempo di Leopardi. Eccone una: Facciate alla finestra, Luciòla, / decco che passa lo ragazzo tua, / e porta un canestrello pieno d’ova / mantato colle pampane dell’uva.
Fernando Pallocchini
24 febbraio 2024